Ma come mi tratti?

Immaginatevi una Anagrafe digitale pubblica, gestita da Pubbliche Amministrazioni. Qualche server beneducato a non dimenticare nulla, dei database per ogni cittadino, e se per cominciare rendiamo disponibile dieci megabyte per ciascun italiano, alla fine ce l’asciughiamo con 600 terabyte, tutte robe tecnicamente fattibilissime.
Le tabelle cominciano a popolarsi nel momento in cui nasciamo, anzi prima ancora dal momento della visita in ginecologia in cui viene sancita dal medico la presenza su questo pianeta di una nuova vita. Ovviamente, il momento dell’apertura del nuovo file nell’Anagrafe Pubblica è esattamente il momento di passaggio, e facilmente i prossimi riti tecnosociali prevederanno cerimoniali specifici su come svolgere al meglio questo iniziale gesto di attribuzione di identità al nuovo nato.

Cominciamo a riempire il database. I genitori hanno obblighi specifici, scelgono il nome del pàrgolo, sottoscrivono il proprio impegno nel provvedere alla sua inculturazione, riporteranno via via gli episodi salienti della vita del figlio. Ma un mucchio di altra gente potrà scrivere ufficialmente (tracciando gli autori) su quel database, ad esempio il medico che diagnostica malattie infantili allega le cartelle (digitali) cliniche, poi le cure dentarie, poi gli insegnanti che annotano i percorsi di apprendimento intrapresi, la maestra di ballo e la psicologa certificheranno questo e quello, e di tutti questi dati bisognerà stabilire quali sono pubblici, e quali invece possono essere compulsati solo dopo consenso del titolare, oppure su ordine della magistratura.

Al compimento del diciottesimo anno di vita, al nostro ragazzo del 2027 verrebbe ufficialmente consegnata dal Sindaco la password per l’accesso al proprio database, di cui diventa unico responsabile dinanzi alla collettività. Ci son degli obblighi di legge, bisogna aver cura del profilo identitario e scriverci delle cose sopra, documentare sé stessi e prendere posizione rispetto ad alcune scelte etiche che la società ci chiede di intraprendere.
Ad esempio, a diciotto anni ciascuno di noi dovrebbe cominciare a redigere e aggiungere alla propria identità tecnosociale un documento in grado di esprimere esplicitamente la nostra personale visione del mondo rispetto al Senso della Vita e della Morte, e quindi in grado di orientare poi i comportamenti da tenere nei miei confronti in modo che nulla possa avvenire contro la mia volontà, anche me assente o impossibilitato. Un testamento biologico.

Del mio corpo, della mia mente decido io, e sorreggo l’affermazione con la stessa responsabilità civica di cui mi faccio carico dinanzi alla collettività riguardo le conseguenze delle mie azioni.

Ahimè, chissà quando vedremo realizzato e operante quel database identitario pubblico. Nel frattempo utilizzo questo semioblog, mio luogo di espressione con nome e cognome.

Udine, 8 febbraio 2009

Io sottoscritto Giorgio Jannis, nato a Udine il 21 giugno 1967, nella pienezza delle mie facoltà fisiche e mentali, dispongo quanto segue.

Qualora fossi affetto:
da una malattia allo stadio terminale,
da una malattia o una lesione traumatica cerebrale invalidante e irreversibile,
da una malattia implicante l’uso permanente di macchine o altri sistemi artificiali e tale da impedirmi una normale vita di relazione,
non voglio più essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico.

Nelle predette ipotesi:
qualora io soffra gravemente dispongo che si provveda ad opportuno trattamento analgesico pur consapevole che possa affrettare la fine della mia esistenza;
qualora non fossi più in grado di assumere cibo o bevande, rifiuto di essere sottoposto a idratazione o alimentazione artificiale;
qualora fossi anche affetto da malattie intercorrenti (come infezioni respiratorie e urinarie, emorragie, disturbi cardiaci e renali) che potrebbero abbreviare la mia vita, rifiuto qualsiasi trattamento terapeutico attivo, in particolare antibiotici, trasfusioni, rianimazione cardiopolmonare, emodialisi.

Sempre nelle predette ipotesi:
Rifiuto qualsiasi forma di continuazione dell’esistenza dipendente da macchine.

Detto inoltre le seguenti disposizioni:
non richiedo alcuna assistenza religiosa;
il mio corpo può essere donato per trapianti;
il mio corpo può essere utilizzato per scopi scientifici e didattici.

Lo scopo principale di questo mio documento è di salvaguardare la dignità della mia persona, riaffermando il mio diritto di scegliere fra le diverse possibilità di cura disponibili ed eventualmente anche rifiutarle tutte, diritto che deve essere garantito anche quando avessi perduto la mia possibilità di esprimermi in merito.
E questo al fine di evitare l’applicazione di terapie che non avessero altro scopo di prolungare la mia esistenza in uno stato vegetativo o incosciente e di ritardare il sopravvenire della morte.

4 pensieri su “Ma come mi tratti?

  1. luber

    In vista della possibilità, che ti si prospetta il 13 Marzo, di conoscere il primo esemplare di e-nonno nella storia del Web italico, ti ringrazio per avermi fatto scoprire che esiste e si può parlare di inculturazione.
    Nella storia dell’evoluzione dell’ITC manca certo un anello; gli “oggi nonni” che avrebbero potuto contribuire a far nascere le e-persone, prima dell’e-mail, dell’e-commerce,dell’e-learning, dell’e-democracy, dell’e-government … e-ccetera … e-ccetera … non riuscirono a farlo perché … tenevano famiglia :-(
    Adeeso .. con e-persone che pubblicano post come il tuo .. si potrà tentare un e-recupero del backgound culturale del Web.
    Luigi

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