Venezia naviga

(E’ tutto un lungo delirio pieno di parentesi, ma volevo parlare di Venezia digitale, e di come vedremo emergere nuove forme di socialità e di autocoscienza, di come una parola nuova permetta la nascita di tante nuove idee. E Venezia sta per pronunciare concretamente parole nuove, nel dialogo interumano)

Quando studiavo psicologia, leggevo di come ad un certo punto verso i primi anni Sessanta fosse arrivato il Cognitivismo a rimettere le cose nella giusta prospettiva, rispetto al Comportamentismo, nella considerazione dei processi mentali di acquisizione e gestione delle informazioni, quindi nel dare alcune coordinate improntate a migliori ipotesi sul funzionamento della memoria, dell’apprendimento, della mente e del ruolo attivo dell’individuo.

Nutrito da suggestioni derivanti dalla cibernetica anni Cinquanta, molto cognitivismo (la cosa si riprodusse poi negli anni Ottanta, con i neo-connessionisti) provò a seguire la metafora dell’uomo-macchina, ovvero a spiegare certi fenomeni psicologici con un parallelo basato su un trattamento dell’informazione di tipo “ingegneristico”, o proto-informatico.
Certo, parlare del cervello come hardware e della mente come software viene facile, innesca fughe. C’è la memoria a breve termine (la RAM?) quella a lungo termine (il disco fisso?), le pipeline di collegamento intracraniche, le interfacce (gli organi di senso, con la loro autonoma elaborazione dell’informazione dal percetto al concetto), i driver.

D’altronde, un pensiero vive dentro l’ambiente pensieroso che lo pensa (che è maggiore di una scatola cranica, ed è un ambiente sociale), dentro i tempi che lo vedono emergere come catena significativa di correlazioni di idee e di emozioni, quindi perché stupirsi che l’informatica assomigli alla psicologia cognitivista? E’ la stessa generazione di persone ad aver prodotto quei ragionamenti, gente che al liceo aveva letto gli stessi libri di filosofia.

L’episteme dell’epoca faceva convergere lì, ecco.
Ed è inutile mettersi a discutere se il computer sia un cervello o se la mente lavora come un computer, perché i nostri giudizi vivono dentro quel contenitore della pensabilità, e comprendiamo la realtà da lì dentro. E lì dentro le cose filano fluide, e per nessun bambino di dieci anni il concetto di “cervello elettronico” risulta assolutamente inconoscibile, fatto salvo lo stupore iniziale dell’accostamento dei termini. Ovvero, quel concetto è già nella sua mente, perché la cultura in cui cresce concepisce serenamente quel concetto.
E per dirla tutta, non è più il caso di concepire la mente come individuale, noi siamo multipli e sociali, l’Io nasce dal Tu, la coscienza è una autonarrazione che noi stessi facciamo a noi stessi diuturnamente, smettiamola con l’Io e il non-Io, io sono sono rete.

Ma certamente etica scientifica vuole che la metafora, benché altamente illuminante, vada compresa per quel che è. Una metafora esplicativa. Domani ce ne sarà un’altra, migliore.
Non stiamo parlando della realtà, stiamo parlando delle parole con cui pensiamo la realtà.

Anche studiando la psicologia dei gruppi, nell’individuare un “discorso” soggiacente al “fare” del gruppo, bisogna porre attenzione a non antropomorfizzare troppo, appunto perché il gruppo vive in dimensioni psicologiche (affettive e cognitive) gruppali, pratica altri linguaggi espressivi, è “inumano”, è differentemente cosciente di sé, e occorrono strumenti specifici per individuare prima e analizzare poi i suoi comportamenti, nn si può tic-tac trasporre concezioni di psicologia individuale al nuovo oggetto di studio (il gruppo, “la più grande invenzione del XX secolo”, come disse quel guru vero di Rogers, sottolineando così come il gruppo di per sé non fosse mai stato preso in considerazione né percepito come “oggetto di studio”).
Un altro esempio? Quando Dennett e/o Hofstaedter, trent’anni fa, studiavano cosa fosse la coscienza, dovevano dedicare metà dei loro libri a spiegare come fare per non concepire la coscienza come qualcosa di “individuale” (con tutto il problema della storia del linguaggio della psicologia come retaggio), ma fosse una caratteristica emergente dei sistemi complessi, come nel famoso caso del formicaio, che è cosciente di sé (adotta comportamenti nel suo insieme) benché le formiche non lo siano (forse).

Anche il territorio può essere letto con queste metafore. Ad esempio riuscire a leggere il territorio come un ipertesto, come più volte qui ho fatto, mi è stato reso possibile da un pensiero capace di individuare nodi e collegamenti tra le varie parti che lo compongono, siano essere relative a questioni di produzione e distribuzione di materia, energia o informazione, giusto per usare la nota triade fondamentale per uno studio della Cultura Tecnologica e TecnoTerritoriale (appunto). Quali percorsi legano il rubinetto della vostra cucina alla diga su in montagna? L’ufficio dei servizi sociali del vostro Comune allo schermo del vostro PC? Quanti gradi di separazione tra me e il Sindaco, visto che gli umani sono materia energia (vedi Matrix, il film) e informazione in rete (vedi Internet, tutta), e i linguaggi (le idee, memi) sono virus che si propagano da una testa all’altra?

Ma il territorio può essere benissimo letto con la metafora del sistema operativo, informaticamente inteso. C’è una lunga tradizione. Ci sono appunto i luoghi energetici, le condutture, i processori dedicati all’elaborazione dell’informazione, le banche dati, i sistemi di controllo. Emerge l’amministrazione, la coscienza del territorio che sa di essere territorio e sa cosa non è territorio che può governare, emergono forme di indirizzamento sulle priorità (politiche) di elaborazione amministrativa, ecco la governance come ragionamento sull’efficienza del sistema amministrativo, ecco le interfacce.

Ok, la smetto.

Però indubbiamente connettere tutto un territorio, come la città di Venezia (Mestre compresa) in banda quasi larga (20Mb sono già una cosa dignitosa, su fibra ottica) farà emergere nuove idee di sé, permetterà alla mente collettiva veneziana (cittadini, imprese, amministrazione) di forgiare strutture sociali (di atomi, di bit, come una banca di mattoni che è anche una idea di banca ed è anche un flusso di informazioni) ora difficilmente immaginabili, anche se ieri Michele Vianello, viocesindaco di Venezia, ha provato a suggerire qualcosa, nel corso della presentazione delle iniziative per Veneziadigitale.
Qualcosa di molto bello, detto con parole giuste e concrete, e con coraggio visionario, e sbeffeggiando alcune impostazioni 1.0, ancora lineari e industriali, che molti spacciano per innovazione. Forse è la prima volta che sento un pubblico amministratore parlare di modernità socialweb credendoci, e non per fare il bullo con parole che qualcun’altro a malapena comprende, esponendo concetti di condivisione della conoscenza e di opportunità sociale e di cittadinanza digitale che ti accorgi subito se sotto c’è il vuoto di una prassi mai praticata.
E quelle di Venezia non sono parole futuristiche, le infrastrutture tecnologiche ci sono già, sono anni che mettono fibre ottiche nelle strade ogni volta che devono rifare un allacciamento del gas, e ieri sono state esplicitamente chiamate le imprese e i consorzi e le università a partecipare all’innovazione culturale, a diventare partner di progetto, e smettiamola di parlare della rete come fattore tecnico. C’è un mondo intero da inventare, e da abitare, subito.

7 pensieri su “Venezia naviga

  1. Irada

    L’episteme dell’epoca odierna converge sulla teoria dell’emergenza della complessita’ che suona un po’ come un ossimoro.
    Splendida nota, sebbene adesso ci hai incuriositi di conoscere i contenuti e le parole espresse dal vicesindaco. Magari la prossima volta mi piacerebbe partecipare se si puo’… non ho capito se e’ solo per un gruppo ristretto di attori, quelli della tavola rotonda di precendente post?. Altrimenti confido in uno streaming con partecipazione live/chat visto che di condivisione sociale e di abitare la rete si parla. Grazie!

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  2. w2wai - luigi bertuzzi

    Se questo post fosse “la porta”, tra le cose che sappiamo del Web Universo e quelle che non sappiamo .. allora io sono uno di quelli che avrebbero bisogno di “una chiave” per aprirla, questa porta.

    Mi ci vuole una “chiave di lettura” che ne permetta “una trasposizione” nell’universo dei discorsi di un territorio di montagna.

    In montagna la cittadinanza digitale non può nascere come a Venezia, portando la rete nel territorio, mettendo in primo piano una piacevolezza tecnologica.

    Il “foreground culturale” della montagna non può essere lo stato dell’arte tecnologico; in altre parole: il territorio e le sue realtà “analogiche”, non possono mettersi a rimorchio dell’evoluzione tecnologica.

    Martedì scorso mi sono alzato alle 4:30 per scendere dalla montagna e raggiungere Venezia in auto + treno; ho dovuto andare a Ca Foscari per chiedere un certificato; ho fatto la fila; mi hanno detto: ma questa richiesta sua figlia l’ha già fatta; avevano ricevuto da lei un’email ma .. non le avevano mai risposto; a me il Call Center ha detto; deve andare a farselo fare; quando sono arrivato, prima di mandarmi in giro per calli a cercare un tabaccaio che avesse la macchina per fare una marca da bollo .. una gentile operatrice mi ha detto: ma sua figlia poteva ricrearsi un numero di matricola e scaricarsi direttamente il documento :-(((

    Se due laureati, padre e figlia, non sono stati capaci di scoprire l’arcano mistero nascosto nelle pieghe del sito di Ca Foscari .. che cavolo di cittadinanza digitale potrà mai esserci a Venezia, solo perché la Rete è In Città ??

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  3. Giorgio Jannis

    La montagna forse potrebbe abitare il foreground di questi ragionamenti forse meglio di una città, Luigi.
    Perché in questo caso le distanze fisiche non sono un problema, perché il sentimento di appartenza è già forte e radicato in una identità precisa, perché le politiche anti-digitaldivide (almeno dalle mie parti, in Carnia) tengono in considerazione proprio quelle fette di popolazione difficilemtne raggiungibili.

    Se superiamo l’aspetto tecnico della connettività, e guardiamo decisamente ai modi per innescare forme di abitanza digitale, il lavoro da fare su Venezia o sulle valli montane è sempre quello, con alcune maggiori difficoltà logistiche che la Rete per fortuna riesce a diminuire.

    Se poi parliamo di Cultura delle persone, nell’imparare a usare la Rete e nell’essere efficienti ed efficaci (come quelle impiegate che hai trovato a CaFoscari), è un altro discorso ancora.
    Sono cambiamenti lenti, epocali e collettivi, ma le persone stanno imparando.
    Tieni duro per la montagna, è una battaglia che anch0’io sto combattendo aiutando alcuni amici in Carnia, è una questione di civiltà, pura e semplice, è una questione di Cittadinanza.
    Ciao.

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