Antropologia e educazione per l’Information Overload

Dice una pagina autorevole in inglese segnalata da Giuseppe Granieri che il problema dell’information overload in realtà va almeno un po’ rivalutato, nel suo porsi stesso.

Infatti, le giaculatorie di filosofi e pensatori che si lamentano della progressiva scarsità di attenzione delle persone esistono dal Cinquecento con il diffondersi dei libri, Diderot in seguito si preoccupava che il numero dei libri è destinato a salire e quindi diventerà per noi difficile (!) apprendere dai troppi libri e bisognerà inventarsi qualcosa, ogni tanto un guru a noi contemporaneo fa notare pensosamente come ci siano sempre più informazioni, sempre più veloci, e sempre minore sia la nostra capacità di attenzione.

Ma questa affermazione contiene una sua tutta sua logica peculiare, che la fa funzionare e in grado di essere giudicanta coerente e di buon senso.
Ci sono degli impliciti, che se indagati non si rivelano poi così lampanti, dice l’autore del pezzo, Stowe Boyd.
A esempio, la cornice di queste argomentazioni presuppone un “c’era una volta, molti anni fa” un mondo in cui l’attenzine non era scarsa, in cuii non soffrivamo di troppa informazione, e tutti avevamo un sacco di tempo per ragionare sul mondo, su qual era il nostro posto, e magari anche prendere decisioni più sagge e ragionate.
Insomma, un tipico meccanismo da “fuga nell’Età dell’Oro”. Un sacco di gente e di gruppi sociali si inventano il mito dell’età dell’Oro, perché narrativamente poi torna molto comodo impostare questa Età dell’Oro in modo che poi venga facile capire dove ci troviamo adesso. E se quella là era l’Età dell’Oro, questa qui è sicuramente qualcosa di peggiore, dove la civiltà è decaduta, i costumi degli antichi sono andati perduti, e le innovazioni moderne minacciano di distruggere tutto ciò che c’era di buono e giusto. Già questa è una credenza poco razionale.

Poi, l’altro classico argomento è che la specie umana non ha proprio la capacità di padroneggiare tutta la massa smisurata di informazioni che si riversa addosso a ogni individuo con la forza di un torrente, nella liquidissima società odierna. L’uomo non è cognitivamente adeguato a fronteggiare tutti questi stimoli.
Ma in realtà cosa ne sappiamo noi nel cervello? delle sue potezialità di attenzione e di selezione del flusso? E non dimentichiamoci di cosa avviene su scala generazionale, e basta guardare i ragazzi e i bambini per vedere come abbiano già diverse nuove competenze (nuove strategie) per gestire i rapidi e multipli flussi informativi veicolati da nuovi strumenti – videocamere e videoregistratori, videogames, web, cellulari propri della loro generazione, ma non di quella adulta. E anche gli adulti di oggi sono a loro volta cognitivamente diversi dai loro genitori, essendo a differenza di loro cresciuti immersi nel flusso televisivo commerciale, molto più rapido.

Pensiamoci: come specie ci siamo sviluppati in un mondo naturale e antropico (manufatti tecnologici) che offre un infinito ammontare di stimoli e informazioni; abbiamo sviluppato utensili concreti e concettuali – la scrittura, la matematica, le mappe e il disegno, il metodo scientifico – per capire meglio il mondo, sviluppando insieme le nostre capacità emotive e cognitive di comprensione; siamo oramai dentro un mondo postindustriale, dove abbiamo creato dei sistemi di supporto all’informazione su scala planetaria in tempo reale, dove il web è diventato tra i più importanti artefatti umani, in quanto sostegno alla comunicazione e alla relazione interpesonale; stiamo costruendo in questo stesso momento artefatti e strumenti ancora più complessi, come la realtà aumentata, Luoghi sociali di massa, dispositivi di connessione mobile ubiquitarii, e al contempo ci inventiamo le nuove norme sociali e le struttre che ci assistano in queste nuove attività umane.

Quindi, non si può in realtà “rispondere” a quelli che parlano di information overload, se non dicendo loro che non possiamo rispondere a qualcosa dentro cui siamo coinvolti personalmente fino al collo, nell’inventarci quotidianamente nuovi usi sociali e nuove possibilità di espressione personale proprio con gli strumenti stessi, che conosciamo forse da cinque anni (web20, videostreaming, socialnetwork): stiamo sperimentando.
E le nuove tecnologie, il web o la scrittura o la stampa o l’invenzione dei soldi e della medicina scientifica sono innanzitutto ponti che ci portano verso qualcosa di nuovo, verso cui siamo socialmente evoluti o di cui perlomeno abbiamo sentito la necessità e operato per rimediare alla mancanza, e non sono delle ruspe con cui demolire il passato.

Non vi è nessun passato dorato da cui siamo decaduti, ed è improbabile che nel nostro futuro raggiungeremo i limiti umani che ci impediscono di cogliere meglio e di comprendere più in profondità il mondo in cui viviamo.
Quello che da sempre l’umanità sta facendo è estendere costantemente la cultura affinché ci aiuti a riformulare il modo in cui percepiamo il mondo e il nostro posto in esso.

Questo il ragionamento espresso in quell’articolo.
Sul breve periodo, ci saranno burrasche notevoli. E’ come un movimento tettonico, dove ampie aree continentali collidono, e si creano catene rocciose. Sto pensando al destino degli organi di informazione tradizionali, ai supporti che veicolano queste ultima (giornali, libri, video), ma anche alle mareggiate subite dall’idea stessa di privacy e di anonimato, di competenze per la gestione cognitiva e affettiva del proprio abitare in un Mondo connesso, un pianeta su cui dall’invenzione del web in qua è possibile comunicare multimedialmente il proprio pensiero a tutti in tutto il mondo, in tempo reale, e l’umanità può ragionare tutta insieme come se fosse un sol’uomo (o donna), dove democraticamente ognuno di noi volendo interviene liberamente nel dibattico pubblico.
Le vecchie logiche non “tengono”, la vecchia crosta raffreddata di consuetudini e costumi obsoleti in quanto non più adeguati, codificati poi in leggi e senso comune non può sostenere un magma che da sotto ribolle, fatto di nuovo ritmo e accresciuta potenza mediatica e smisurato numero di partecipanti. Si proverà un po’ a irrigidire le difese, ma non servirà. Ci han provato l’industria musicale con gli mp3 di Napster, ci han provato i mercati del cinema, ci sta sbattendo contro il mondo della carta stampata oggi, semplicemente all’apparire diffuso di supporti mobili con uno schermo decente, iphone compreso. Ci stanno avendo a che fare la Scuola e le Istituzioni tutte con questo “cambiamento necessario”, e non si accorgono che stanno cambiando.

Quindi: cercare di comprendere a fondo le dinamiche di quanto sta avvenendo, tenendo sempre presenti il carattere ipoteticissimo attuale delle nostre interpretazioni a causa della rapidità dei cambiamenti attuali, e fiducia nella conversazione, perché con molta probabilità molti che ragionano tutti insieme vedono meglio il problema rispetto a una persona sola.

E poi: l’eterno unico strumento per migliorare l’ambiente di vita futuro, visto che è nel futuro che vogliamo agire, ovvero l’Educazione.
Una Educazione che sappia anche raccontare innanzitutto come funzionano le cose di oggi, le autostrade e i bancomat e le Istituzioni e le filiere economiche concrete di un territorio, per meglio lasciar libere le nuove generazioni di vivere nel loro mondo, dove non vincolati possano cercare a loro volta di seguire il loro ideale di Benessere, senza essere costretti a vivere male a cause di nostre scelte sbagliate, magari radicali e indelebili.
Se così faremo, quando i nostri figli si guarderanno indietro ci giudicheranno per i nostri valori e pratiche di possibilistica apertura al nuovo, cioè al mondo che loro abiteranno, piuttosto che per nostre stolte scelte di un pensiero unico e troppo schematico in cui loro un domani si troveranno impacciati a doversi dibattere per liberarsene.

2 pensieri su “Antropologia e educazione per l’Information Overload

  1. Prof. Daniele Pauletto

    stiamo sperimentando …anche nell’educazione aperti al nuovo…nonostante le Resistenze dell’ottocentesca pachiderma burocratico Scuola …
    insieme a nativi digitali… impegnati in percorsi e strumenti cognitivi innovativi e creativi …
    spremendo le nostre menti postgutenberiane ,attenzione compresa, evitando “future shock”

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  2. Gianni Marconato

    E’ il solito vizio di:
    1) considerare il passato sempre migliore del presente (non bnecessariamnete solo in termini economoici)
    2) leggere il presente in termini di “differenza” con il passato, e vedere questa in termini sottrattivi (cosa manca).Questo atteggiamento porta a sviluppare stereotipi che non servono a comprendere cosa stia realmente accadendo e a banalizzazioni e a facili generalizzazoni (anche tra le menti più “attente”. Vedi l’espressione circolata nel nostro ambiente un annetto fa: “Non c’è più il futuro di una volta”. una balla, non c’è mai stato in tutte le epoche il futuro di una volta).
    Ogni epoca pone alle persone nuovi “problemi” per “adeguarsi” alla resaltà, per non “abitarla”(usando un termine a te caro) in modo inadeguato. Anche oggi abbiamo le nostre sfide; tutte nuove, altrimenti non sarebbro sfide e l’umanità starebbe regrdendo. Cosa che non credo

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