Dover fare il Fatto Quotidiano

Che strana perorazione, proclama, forma di coinvolgimento, interpellazione diretta, esposizione, annuncio di cooptazione ha pubblicato Il Fatto Quotidiano. A firma di Gomez e Travaglio. Un testo fattitivo, prescrittivo, di quelli impostati sul far-fare qualcosa al destinatario. Qui il link.
Vuole tamtam, partecipazione, opera di diffusione, coinvolgimento nostro personale e dei nostri Luoghi web. Una crociata imposta, per come viene emanata.

Del titolo, lasciate perdere “sbarca sul web”, so nineties, e guardate quel chiedere aiuto, che stabilisce la cornice dell’atto comunicativo, connotandolo. Già abbiamo l’azione, e le posizioni attoriali, dove pescando nell’enciclopedia comune ciascuno di noi si sente coinvolto nel rispondere, come prestiamo attenzione appunto a una esplicita invocazione d’aiuto. Qualcuno è in difficoltà, deve superare una prova, e come puoi non prodigarti. Catturata l’attenzione in quel modo, sei affettivamente preso.

Però poi il testo insiste fortemente sul nostro dovere aiutare (“tutti … devono dare una mano”, nel sottotitolo), pubblicare, alimentare, insomma fare cose. Chi mi chiede aiuto mi impone di farlo, portando l’accento sull’obbligo? Sul mio dover fare? Curioso. Anzi, sul mio dover poter fare, quindi secondo una figura di manipolazione affine all’Intimidazione.
Si potrebbe parlare dello stile con cui la comunicazione è stata redatta, stringato e “concreto” (compreso un berlusconismo come “siamo al lavoro”), spezzettato e operativo.
Poi si ribadisce un “dovrà avere tantissimi visitatori”, e questo dovere viene sostenuto dal valore della sopravvivenza del sito stesso, e anche qui siamo dentro una manipolazione che qualcuno potrebbe definire “ricatto morale”.

Lentamente, un “dobbiamo” diventa un “vogliamo”, e cambia la manovra e la strategia retorica.

“Vogliamo che tutti, ma proprio tutti, sappiano che il nuovo sito de il Fatto Quotidiano sta venendo alla luce”. Qui cambia la figura della manipolazione sul destinatario, si cerca di far leva sul far sapere, ovvero tra la Seduzione e la Provocazione, per come veniamo coinvolti nel nostro volere/dovere sapere.

L’eroe ci chiede di essere suoi aiutanti, brandisce la libertà di informazione come Oggetto di Valore, manipola la nostra coscienza e i nostri affetti (argomenti e richiami “morali”, il tono/stile prescelto), il nostro essere e il nostro fare, con una comunicazione ben specifica.
Ci concede un “se siete disposti a ospitare” banner e elementi di rimando ipertestuale verso il sito de Il Fatto, e qui ci innesca come attori performativi, visto che in seguito alla nostra scelta cosciente e all’azione concreta di ospitare e aiutare diventiamo personalmente promotori dell’iniziativa, ovvero secondo la figura della Tentazione veniamo coinvolti a questo punto nel nostro voler poter fare.

E quindi, tra dichiarazioni esplicite e richiami a universi di discorso sottointesi, il Fatto le prova tutte. Corre su tutto il quadrato (vedi immagine). Cerca in tutti i modi persuasivi, con schiettezza, di renderci attivi nell’aiutarlo.

Tutti quei “ci siamo” iniziali, “lavoriamo”, “vedremo ascolteremo lanceremo”, insomma quel noi che è sempre un io che si riferisce soltanto al personaggio multiplo (la redazione) rappresentato da il Fatto e che parla soltanto di sé, non comprende in realtà il destinatario nel discorso. Lo tiene distinto.

Solo dopo averci circuìto in tutti i modi, instillando ri-orientamenti morali e facendo leva su precisi valori, solo dopo averci costretti nel dover fare, appare un vero Noi interpersonale nel discorso che riesce a includere l’intelocutore in modo collaborativo e rispettoso, scegliendo come verbo modale un poter fare, lì dove dice “Perché l’informazione libera è un bene di tutti e solo tutti assieme possiamo difenderla”.

Uno che chiede aiuto, e fa richieste dettagliate e circostanziate. C’è il richiamo all’Oggetto di Valore, e poi la difesa, la minaccia, l’urgenza morale, la delineatura di un contesto guerrigliero, la chiamata nel coinvolgimento, il dover comportarmi così e cosà.
Chissà se Gomez e Travaglio l’hanno progettata, una simile strategia enunciativa, o se gli è venuta così di getto, essendo loro stessi coinvolti affettivamente nella nascita del nuovo contenitore giornalistico. Mettetevi nei loro panni, capirete tutti quei “dovete dovete dovete”.

Ma non mi piace. Questione di stile, eh. Si può far di meglio, nel motivare la blogosfera e quelli che posseggono e gestiscono spazi web personali di informazione e opinione, confidando maggiormente nella Conversazione, senza quei toni impositivi.

3 pensieri su “Dover fare il Fatto Quotidiano

  1. Giorgio Jannis

    Con agile francesismo, “s’inculino”. Già mi capita di sharare cose di tutti ovunque, muovo più informazione io del TG1 (beh, qui vinco facile) ma mettermi un banner non se ne parla proprio.

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