Un gioco di faccia

La Reputazione, come misura della qualità con cui viene tenuta in considerazione la nostra persona, negli ambienti sociali. Nomea, fama, stima in cui si è tenuti dagli altri. Oppure “… La reputazione di un organizzazione è la fusione di tutte le aspettative, percezioni ed opinioni sviluppate nel tempo da clienti, impiegati, fornitori, investitori e vasto pubblico in relazione alle qualità dell’organizzazione, alle caratteristiche e ai comportamenti, che derivano dalla personale esperienza, il sentito dire o l’osservazione delle passate azioni dell’organizzazione.” (Bennett e Kottasz (2000), trovata qui in un articolo simpatico sul blog del Centro per gli Studi Accademici sulla Reputazione, apperò. Alcune caratteristiche dell’Oggetto di Valore Reputazione, con cui in quanto Eroe del mio racconto desidero congiungermi: si forma nel tempo, non è uguale per tutti ma dipende da chi guarda (e come) la nostra rappresentazione o la nostra storia, dipende dalle azioni, atteggiamenti e comportamenti da noi adottati in passato. La Reputazione si fonda sulla Memoria. E pirandellianamente, noi siamo quel che facciamo.
Leggete quel link là sopra, nell’articolo sono molto interessanti anche le definizioni di reputazione che potrebbero essere date da punti di vista diversi, come a esempio da sociologi “la reputazione è un indicatore di legittimità che racconta dell’operato di un’organizzazione in relazione alle aspettative e alle norme della società; le “classifiche reputazionali” sono dei costrutti sociali che parlano delle relazioni che le organizzazioni hanno con i loro portatori di interesse, in un ambiente sociale condiviso” oppure dagli esperti di organizzazione “la reputazione è un interpretazione cognitiva dell’organizzazione usata dagli osservatori esterni per costruire significato e dagli interni e il top management per dare significato” (ovviamente, mi piace l’idea della Reputazione come macchina-di-senso, allineare e dare forma ai significati)… anche gli psicologi potrebbero leggerla come un’operazione di proiezione di significati, strutturazione leggibile di una nebulosa di contenuti “La reputazione di un’organizzazione costituisce un sistema di significati che gli individui usano per organizzare le impressioni sull’organizzazione, un semplificatore della realtà circostante.”.
Quindi è una interpretazione che gli altri fanno del mio fare. Quindi posso escogitare strategie affinché le cose che faccio ricevano una forma comunicativa adeguata, e strategie affinché l’interpretazione che gli altri ne fanno sia favorevole, ovvero mi procuri buona reputazione. Ovviamente, ragiono per nicchie: è importante che certe cerchie sociali sappiano alcune cose, per l’apprezzare la mia partecipazione, o per valutare il mio appartenere a certe cerchie sociali. Valori come Reputazione (la nuvola che mi circonda), Fiducia (credibilità), Influenza (indurre comportamenti), che emergono come riferiti alla mia persona e diffusi nella pubblica opinione. L’immagine di me presente negli interlocutori, che condiziona ogni messaggio in produzione o in ricezione.
“Definire la reputazione non è semplice. È il valore informazionale delle nostre azioni. È un meccanismo psicologico di attribuzione di intenzioni. È uno strumento valutativo che si nutre delle interazioni passate proiettandosi sul futuro. È uno scorciatoia sociale e cognitiva che ci consente di configurare lo spazio in termini di ruoli, posizioni, caratteri e tipi umani. È un criterio razionale di filtraggio delle informazioni, un setaccio della pertinenza del sapere. È una condizione preliminare all’acquisizione e valutazione di ognicorpus di conoscenze. È un affidabile strumento sociale dal carattere predittivo. È parte costitutiva della nostra identità e fattore importante nella definizione di questa. Tutto questo è reputazione.” dice qui (nel 2008, apperò) Gaia DelPrato sul suo blog Questioni di reputazione.

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