Riprendiamoci il potere di dire cos’è arte

L’arte è il luogo che ci siamo inventati per raccontarci. Più di uno specchio, perché è situata. Contiene in sé una proposta di lettura, prevede un percorso dello sguardo, nasce da uno sguardo che nota qualcosa, un click, e magari possiede anche abilità artigianali per rappresentare questa visione in un qualsiasi media.
E’ il luogo dove riflettere (su) chi siamo, dove nascono i punti di vista per dare il nome al nostro abitare sul pianeta, per svelare i paradossi di quello in cui crediamo, per fare lo sgambetto, chiudere il circuito, mostrare ciò che sta dietro e a fianco dei messaggi che girano impazziti per tutta la semiosfera.
“Hey, ma l’Economia gestisce i Musei!” han notato gli attivisti dellal protesta Occupy.WallStreet, e adesso occupano i Musei, e giustamente De Biase rileva l’artisticità dell’azione.
Cerchiamo di ristabilire chi è che ha il diritto di dare un nome alle cose, e di smascherare inganni. Nel mondo moderno, NOI TUTTI diciamo cosa è arte – potendolo finalmente fare – e non di certo il mercato.
ps ho scritto “Hey” perché l’ho scritto in inglese americano.

2 pensieri su “Riprendiamoci il potere di dire cos’è arte

  1. samsara

    Buongiorno Giorgio,
    giunta qui attraverso l’e.indicazione da parte di una amica comune, mi sento subito chiamata a partecipare…
    La questione dell’arte è un poco ingarbugliata. Penso, e non sono solo io a farlo, ma per forza di cose qui espongo il mio punto di vista che condensa spunti e concetti per ovvie ragioni in parte mutuati, che l’arte includa due gandi famiglie di processi. Se da una parte il processo creativo, ovvero il percorso che ognuno di noi può compiere predisponendosi nel mondo in una certa guisa, è doverosamente annoverabile tra le esperienze che tutti hanno diritto di fare, altro dicorso è l’esperienza di fruizione, o esperienza estetica, che l’opera una volta finita è in grado di evocare nell’osservatore. Oramai nel definire cosa è arte, siamo nell’era della confusione non tanto fra i livelli, quanto fra i metalivelli. Da un punto di vista dell’esperienza la nostra realtà è espansa, facciamo esperienze visive o video musicali pressochè estreme, dove spesso tocchiamo e superiamo in parte i limiti fisiologici dei nostri sistemi sensoriali e quindi alla nostra consapevolezza mancano alcuni degli ingredienti necessari per effettuare una analisi completa, che vada al di là dell’effetto sorpresa (quello che per interdeci permeava, riferendosi ad epoche ben diverse, mode come per esempio quella dell’anamorfismo). Mi sembra fosse proprio Blake colui che disse qualcosa di severo a aproposito della tendenza alla generalizzazione… ecco, io tifo per un aumento di libertà personale nello stabilire, scoprire e ricercare per sé quale sia la giusta dimensione dello spazio dell’esperienza. Il che, ne sono certissima, evoca un grosso contributo da parte dell’autoregolazione nel prendere parte all’evoluzione di un sistema complesso. Diversamente, quando “del dare un nome alle cose” si usa appunto il potere nominale si sceglie inconsapevolmente una meta che assomiglia ad una certa città chiamata Babele…
    Quindi, come hai detto tu “Cerchiamo di ristabilire chi è che ha il diritto di dare un nome alle cose” oppure, parafrasando, cerchiamo di stabilire quale componente dell’umana forma ha la capacità di dare un nome alle cose!
    A presto rileggerti,
    samsara

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  2. Giorgio Jannis

    ciao samsara :)
    io parlavo di arte come luogo abitato dagli umani, non di estetica (di cui credo entrambi abbiam letto abbastanza per “metterla da parte” eheheh).
    Mi interessava questa cosa, secondo cui oggi con social e webconversazioni ci stiamo come collettività riappropriando (disintermediazione, la keyword) di alcuni poteri sul nominare le cose che prima appartenevano a elite culturali, necessariamente composte di poche persone in quanto il sistema (industriale) della critica artistica non poteva né economicamente né tecnologicamente sostenere circuiti ampi di metadiscorsi sul nostro umano fare artistico.
    E le parole che io citavo, il dare i nomi, non è solo un fatto linguistico, c’entra l’ascolto e la postura, tutto quello che viene prima di quel verbo, e insieme, e intorno.
    Nel frattempo “io tifo per un aumento di libertà personale nello stabilire, scoprire e ricercare per sé quale sia la giusta dimensione dello spazio dell’esperienza” è diventata la mia frase preferita per far girare l’anno vecchio e l’anno nuovo :)
    ciao

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