Ibridazioni narrative

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Narrazioni prevedibili. È sempre accaduto, siamo lì e ci annoiamo. Ma la fiducia è sempre ben riposta, per questa spinta che possediamo a nominare le cose e a raccontarle. Il poeta è proprio lì come avanguardia della specie, e mica trova solo cose nuove da dire, trova parole nuove per dire cose vecchie, o parole nuove per dire cose nuove che in lui son nate per una sensibilità a rilevare in modo nuovo cose vecchie, e nascono nuovi contenuti che magari lui riuscirà a mettere in forma. Ma a me questo interessa, la narrazione delle forme narrative. La nascita dei generi, a esempio, e lì i protopoeti di cui sopra sempre quelle strade praticano, per spezzare i linguaggi: quel contenitore di storie che può essere un sonetto, una canzone, un panegirico, un’ode, un’invettiva, una tragedia, una commedia, una farsa, un cinque atti, un intermezzo musicale, un videoclip, un format televisivo qualsiasi, viene stiracchiato spezzato specularizzato serializzato estraniato nelle sue componenti figurative o attoriali, e da questa crosta di linguaggio sedimentario fuoriesce magma nuovo che sempre ribolle sotto, nuove urgenze espressive, parole nuove che con facilità permetteranno ai poeti e poi a noi tutti di individuare nuovi modi per raccontare le cose, e auspicabilmente anche cose nuove da raccontare, perché i sentimenti umani e gli atti cognitivi trovano nuovi stampi dove riversarsi e prendere forma. Dove prima c’era il silente che non poteva essere detto, ora c’è l’espressione vagamente intuita, uno spiraglio della porta che permette di sbirciare al di là, un possibile che diventa essere, un Es che diventa Io.
E se i ritmi dei media classici sono lenti, le parodie o i camuffamenti letterari o comunque le nascite di nuove forme prendono il tempo dei decenni, o dei secoli. Passano tre o quattro secoli dal romanzo cavalleresco a Ariosto o a Don Chisciotte di Cervantes impazzito dalle troppe letture, e la sensibilità dei tempi fa compiere ai poeti giganteschi mashup e vulcaniche rotture di paradigma narrativo, portando alla luce riflessioni che mai avrebbero potuto prima emergere, proprio perché da quelle ormai classiche nutrite.
Ma la TV ci ha messo poco tempo per inventare le parodie o per far nascere Blob, ancor meno ci metterà il web a stufarsi dei format attuali, che nelle forme dei social in 140 caratteri o del grande stabilimento d’umanità privato e commerciale – Facebook – sono ancora pesantemente novecenteschi. Già s’intravedono le prime incrinature, zigzaganti crepe interrompono la superficie dei luoghi di narrazione contemporanei, incapaci di incanalare forze espressive sotterranee che faticano a trovar contenitori adeguati. Twitter è vecchio, prevedibile, prevedibili sono le sue narrazioni e i suoi schemi d’interazione, i commentarii esplodono dando vita a nuovi generi letterari come accadde per i manoscritti chiosati medievali, nascono ibridazioni come già accadde per serial o sitcom televisive dove da un episodio nasce uno spin-off autonomo, le generazioni vivono ciascuna un Eterno Settembre e giudicheranno male i nuovi arrivati niubbi e menefreghisti rispetto alle regole di una grammatica che i fondatori ritengono sacrosanta e invece come tutte le grammatiche di una lingua viva non può far altro che evolversi, magari nascerà un ornitorinco con le zampe e il becco d’anatra che fa le uova e poi allatta i cuccioli, ci sono social network (tipo in Cina, toh) che mischiano pesantemente skype e twitter e facebook e soprattutto ospitano nativamente profili e narrazioni e interazioni commerciali, e di sicuro il mainstream delle forme narrative della contemporaneità supererà rapidamente questa segmentazione a comparti stagni e ad account proprietari, perché con il cellulare always on io voglio essere dappertutto sempre e non saltare di qua e di là in luoghi senza più confini, dove i confini dentro una Rete non hanno più decisamente senso.

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