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Diffamazione depenalizzata

Questa notizia qui riportata da Mario Tedeschini Lalli è strana.
Sembra uno di quegli aneddoti sulla vita di corte a Versaglia, uno spunto curioso sulle abitudini alimentari durante il Rinascimento, oppure un esercizio di fantastoria dove per gioco ci si chiede cosa sarebbe successo se invece di fosse avvenuto che.

Perché più ci penso più questa cosa mi sembra piovuta da un altro mondo, da tempi che non possono essere i nostri in cui viviamo.

Soprattutto quelli in cui viviamo noi qui in italia, dove sul meccanismo della diffamazione si costruiscono rispettabilità e perfino intere carriere politiche. Dove la diffamazione è un delitto punito con la reclusione per aver offeso l’altrui reputazione.

Quindi: in Inghilterra hanno depenalizzato la diffamazione e ogni reato a essa connessa.
Scusate, non ci credo, mo’ me lo riscrivo da solo: hanno depenalizzato la diffamazione. Che poi scopro non esistere nemmeno negli Stati Uniti.
E lo hanno fatto espressamente per favorire la libertà di espressione e di stampa, per evitare che il pensiero critico nei media venga frenato da un ennesimo “ma come si permette, lei non sa chi sono io” etc.

Intendiamoci: se dici una bufala su di me, io ti denuncio e dimostro la verità e poi vorrei tu pagassi la tua leggerezza, giusto per insegnarti che le parole e le conseguenze delle parole possono essere assai pesanti. Sono cose che si possono risolvere con civiltà, e senza farla tanto grossa comminando anni di carcere.
E’ più importante che tutti possano parlare, che i giornalisti possano fare inchieste scomode, valutando il rischio commisurato a una sanzione, non a una reclusione che fa tanto passare la voglia di farsi delle domande. E di farle.

Ma un reato come la diffamazione a mezzo stampa ha senso appunto con la stampa o con la televisione, quando sono pochi quelli che parlano e molti quelli che ascoltano. C’è un’industria dietro, un’economia, una visione del mondo implicita e una da veicolare. E quelli che parlano o scrivono sono giornalisti iscritti a un albo, con un codice deontologico. Ovvero, sanno quello che possono o non possono dire.
Ma oggi tutti parliamo con tutti, dentro i nostri blog e sui socialcosi.
E parliamo come parliamo al bar (qualcuno forse crede di essere addirittura nel suo salotto, e sbaglia la misura), liberamente. E non credo quelle forme legislative pensate decenni fa possano ancora essere adeguate oggi, in questo nostro diverso ecosistema dell’informazione e della pubblica opinione.
Lo stesso vale per le immagini, se ci pensiamo: una volta c’erano tre macchine fotografiche per ogni regione italiana, poi la diffusione di massa delle polaroid e delle videocamere e oggi dei cellulari rende probabile la mia presenza nelle foto della luna di miele a Venezia di molte coppie di giapponesi, metti caso io stessi passeggiando in piazza San Marco.
Se sto camminando in piazza, la mia immagine è pubblica, ciascuno può prenderla e farne ciò che vuole. Se poi usa una mia foto a mia insaputa per reclamizzare lassativi, vediamo di metterci d’accordo. Se un premier dice baggianate o fa i festini coca&troie, io lo dico e lo scrivo, senza temere di finire in galera.
E ogni volta che vedo facce in televisione, bambini a scuola, adolescenti intervistati sulle mode musicali, mi chiedo se veramente canale5 o rai1 han fatto firmare centinaia di liberatorie.
Chiaramente, è il concetto di liberatoria che non funziona.
Se il flusso era unico e broadcast, la quantità di situazioni reali da controllare era ancora gestibile.
Adesso viviamo dentro molti flussi di informazioni, noi stessi siamo diventati produttori e distributori a livello planetario di opinioni e immagini e video, mi sembra fuori dal tempo continuare a pensare di poter continuare a regolamentare tutto fino al minimo dettaglio, per ognuno di noi. Il sistema cede, non era progettato per questo.
L’italia ha una tradizione nel codicillo del codicillo, ma è facile prevedere implosione per collasso.
Collasso dei tribunali, delle carceri piene di gente. Collasso sociale, perché la diga non può trattenere tutta questa liquida conversazione.
La privacy è cambiata, la sfera privata e pubblica non sono più le stesse, i valori come reputazione e decoro si costruiscono e si mantengono presso la società in modo nuovo, non più nel silenzio e con la forza dei soldi per pagare avvocati. Se sei un potente e ci tieni alla tua reputazione, comportati bene. Altrimenti non due giornalisti, ma migliaia di persone parleranno di te liberamente, qui dentro.

Al liceo misi una Stratocaster al posto del crocifisso. Sette in condotta subito.

Io voglio semplicemente la religione fuori dalle scuole statali.

Perché sono le scuole statali di un paese laico, l’italia, come è scritto nella Costituzione.

Se poi dei genitori vogliono proprio inculcare a forza nella testa di un bambino dei concetti che non può capire, scelgano delle scuole (esiste un pluralismo dell’offerta formativa) pubbliche ma di tipo confessionale, oppure private. Si affidino alle agenzie formative cattoliche, mandino i figli all’oratorio o dall’imam o dal primo Jedi che passa.

Ma a scuola non si fa proselitismo, né esistono verità dogmatiche.
E togliete quel crocefisso dalle aule, dài.

Abbiam dovuto aspettare che una mamma italiana di origine finlandese tenesse duro in tutti i ricorsi al TAR e alla Consulta, ma ora è notizia pubblica: la presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione alla «libertà di religione degli alunni», e lo ha ha stabilito la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.
Prendete e leggetene tutti sul Corriere, sulla Stampa, sul sito dell’Agi.

Nella foto, Susanna Messaggio (cioè, Susanna Messaggio).

Vogliamo il wifi libero: no alla proroga del decreto Pisanu

Sergio Maistrello propone una riflessione collettiva riguardo quel famoso decreto Pisanu, ne parlavo en passant qui e qui, che in italia in pratica soltanto ostacola pesantemente la connettività dei cittadini negli spazi pubblici o semipubblici cagionando rallentamenti notevoli nella comunicazione tra le persone, proprio oggi che in epoca di cambiamento sociale abbiam più bisogno di far circolare le idee per scoprire come abitare dignitosamente questo Mondo 2.0.

Tornerò sicuramente sull’argomento in un prossimo futuro: si tratta di sostenere pacatamente ma in modo concreto e puntuale (proprio come Maistrello) una posizione di civiltà rispetto alla necessaria diffusione di una Cultura Digitale in italia.

Quest’anno no: lasciate scadere la legge Pisanu

[…] Mentre altrove internet si rafforza come diritto riconosciuto all’interazione con l’altro, un’infrastruttura per il progresso sociale ed economico da favorire e da proteggere, per le classi dirigenti italiane – complici leggi miopi o leggi d’emergenza protratte nel tempo, come la Pisanu – si è trasformato nel luogo comune dell’inutilità, della devianza e del reato diffuso. Non abbiamo sconfitto i nostri fantasmi, in compenso abbiamo perso tempo e opportunità, che oggi costerà molto più caro recuperare. Abbiamo perso anche diritti, lasciando che oggi in determinate circostanze gli estremi delle nostre navigazioni parlino per noi con un’intimità che mal si concilia con la legislazione sulla privacy di un paese civile. Questa legge ha contribuito a trasformare un paese spaventato dai mantra delle sue stesse leadership in un paese più arretrato, più rinchiuso in se stesso, più complicato, più pessimista di quanto il mondo d’oggi consentirebbe. La legge Pisanu non garantisce di fermare la pazzia di un estremista, in compenso sta contribuendo alla strage quotidiana delle aspettative e delle opportunità di una intera nazione.

Alzare la voce

L’eccezionalità delle richieste d’urgenza presentate nel 2005 dal ministro Beppe Pisanu si spiegano in virtù del loro carattere dichiaratamente provvisorio: sarebbero dovute scadere il 31 dicembre 2007. Se non fosse che prima il governo Prodi II (con il milleproroghe del 31 dicembre 2007) e poi il governo Berlusconi IV (col milleproroghe del 18 dicembre 2008) ne hanno garantito fino a oggi la piena efficacia. È inutile recriminare sulle scelte fatte, ma è nostro dovere influire come cittadini su quelle che possono ancora cambiare. La prossima scadenza utile, sulla quale sarebbe opportuno si aprisse questa volta in tempo utile un dibattito sereno e costruttivo, è il 31 dicembre 2009.

Fanno 85 giorni a partire da oggi. 85 giorni in cui chi ha a cuore il futuro della rete in Italia è chiamato a far sentire la propria voce.

Fonte: Apogeonline (leggete tutto l’articolo!)

6 ottobre

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Historia magistra vitae

Questo articolo sul Corriere è una chiavica. Riguarda la questione della lingua friulana.
Come semiotico, conosco abbastanza la linguistica e discipline affini da saper individuare gli strafalcioni teorici e concettuali espressi. Ma quell’articolo non tratta di linguistica o di politiche linguistiche, quindi NON ho intenzione di rintuzzarne puntualmente i contenuti.

Fight the real enemy. E il nemico non va individuato nella massa di luoghi comuni espressi, né nel tono sardonico con cui ultimamente certi pennivendoli ammantano la loro prosa.
Quello che mi spaventa è il pressapochismo culturale che abita nelle teste di quei due giornalisti, i quali tutti preoccupati di mostrarci i guasti compiuti dalla Lega trinciano grossolanamente i fatti e la Storia, producendo nient’altro che disinformazione.

Le posizioni culturali soggiacenti all’articolo 6 della Costituzione italiana (la Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche) e alla legge 482 del 1999 (Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche) traggono significato dal rispetto dell’alterità. Dal riconoscimento dell’unicità di ogni visione del mondo veicolata da ogni lingua passata o presente, della ricchezza culturale rappresentata dalle varietà umane sul pianeta. L’omologazione, il sincretismo culturale sono idee di destra, con questo intendendo chi promuove politiche antidemocratiche di prevaricazione sociale, spesso usando la forza per imporre la sua visione a scapito dell’esistenza della cultura o della vita stessa degli altri.
La Lega, gli uomini e le donne della Lega non possono vantare nulla, quando si parla di tutela delle lingue minoritarie o dei dialetti. Non votarono al tempo in Parlamento per queste leggi. Non hanno cultura in proposito, non hanno promosso negli anni azioni di ricerca o di conoscenza scientifica o accademica al riguardo, né di documentazione storica o etnografica. Tipicamente, parlano come se qui fossimo tutti al bar a discettare.

Perché i movimenti per la tutela delle lingue minoritarie sono in italia e spesso nel mondo una cosa di sinistra, con questo intendendo chi pone attenzione alla tutela delle diversità culturali, consapevole dell’impoverimento che tutti patiremmo se queste scomparissero. Leggete su wikipedia del riconoscimento giuridico di quella lingua minoritaria che è il friulano, leggete delle battaglie condotte in Parlamento fin dagli anni Settanta da deputati friulani (Andrea Lizzero, Loris Fortuna, Arnaldo Baracetti, Silvana Schiavi Fachin), affinché friulano, ladino, tedesco, sloveno, occitano, francese, francoprovenzale, albanese, greco, sardo, catalano e croato venissero considerate ufficialmente lingue correntemente parlate in italia.

Perché il problema è che una sinistra piccina qui in italia non sa nemmeno difendere le conquiste sociali di cui lei stessa è stata storicamente promotrice, e nel volgere di pochi anni la Lega ha potuto scipparle la bandiera della diversità linguistica per farne facile slogan.
Perché il problema è avere dei giornalisti ignoranti e miopi, che buttando via il bambino (la tutela delle lingue minoritarie) con l’acqua sporca (le posizioni leghiste) fanno esattamente il gioco di quelli che vorrebbero combattere, e non se ne rendono nemmeno conto.

La Matta

Nelle televisioni italiane è vietato parlare di tv, vietato dire che c’è una connessione tra il capo del governo e quello che si vede sul piccolo schermo. La Rai ha rifiutato il trailer di Videocracy il film di Erik Gandini che ricostruisce i trent’anni di crescita dei canali Mediaset e del nostro sistema televisivo. (da Repubblica)

Lo metto qui sotto, il trailer. Poi quasi quasi torno in vacanza.

Sano, sicuro, consapevole.

Riprendo Metilparaben per intero. E cosa volete che aggiunga, che siamo nel 2009?

Mentre vi comunico, en passant, che si tratta (anche) di un successo degli Studenti Luca Coscioni (ma ve lo dico solo io, come al solito, ché i giornali non ritengono di menzionarli), mi prendo qualche minuto per dire due paroline ai giovani in ascolto.

Io non so, e non voglio sapere, se scopate, quanto scopate, con chi scopate: però vi consiglio di usarli, i preservativi, in barba ai crociati che vi ammanniscono le loro idiozie sul peccato e la riproduzione naturale, agli imbecilli che vi lusingano a forza di “che vuoi che succeda, ci sto attento io”, ai coglioni che “non ho mai fatto il test ma non sono né gay né tossico, figurati se l’ho preso”.
C’è gente che ha dato il fritto, per fare in modo di mettere quei distributori nella vostra scuola.
Voi che ne dite: è il caso di sprecare tanto lavoro?

Strumenti per la democrazia

Twitter è un servizio di microblogging. Ci si crea un account e in seguito tramite cellulare, email o direttamente via web si possono mandare messaggi di testo (ultimamente, anche cose multimediali) lunghi 140 caratteri, dove si dovrebbe descrivere cosa stiamo facendo in quel preciso momento. Cose tipo “sto mangiando un pizza da Mario”, “sto leggendo l’ultimo libro di Paperoga”, “il sottoscritto va al cinema”.
Poi è possibile iscriversi agli account twitter dei nostri amici o colleghi (decine o migliaia che siano), cosicché si formano delle community di persone che si tengono costantemente in contatto tra loro scambiandosi opinioni e stati d’animo.
Certo, vista la lunghezza limitata del messaggio, più che per alloggiare contenuti articolati e strutturati Twitter serve soprattutto per mantenere il contatto tra le persone, per sostenere le reti relazionali, per restare sintonizzati.
Obama ha fatto largo uso di Twitter durante la sua campagna elettorale, e alle recenti votazioni europee anche i candidati nostrani – a esempio la Serracchiani, che ha puntato decisamente sulle nuove forme di socialità in rete – hanno tenuto i “seguaci” (le migliaia di followers) costantemente aggiornati sui propri spostamenti sul territorio, sulle proprie opinioni lampo sui fatti di cronaca, sulle indicazioni politiche.

Ma Twitter ha mostrato anche funzionalità insospettate: nel caso di calamità naturali, compreso l’ultimo terremoto in Abruzzo, i primi messaggi con le prime notizie sono giunti direttamente dal luogo del disastro, che le fonti giornalistiche istituzionali hanno subito ripreso e propagato. Forme nuove di citizen journalism che sono sostanzialmente rese possibili dal semplice possesso di un cellulare connesso.

In questi giorni pare stia succedendo una rivolta popolare in Iran, in seguito ai presunti brogli elettorali. In questo paese con una scarsa libertà di informazione, tutto viene soffocato e nulla si vorrebbe far trapelare all’estero. Ma Twitter e YouTube sono lì, a mostrare cosa veramente succede nelle piazze e nelle strade, al di là della propaganda di governo sui massmedia tradizionali, cui nessuno crede più. Le persone comunicano disintermediando la comunicazione ufficiale, dando una rappresentazione mediatica diretta della realtà garantita dalla polivocalità e dalla spontaneità delle fonti.

E il Governo statunitense stesso si è mosso per consentire che le migliaia di voci dissidenti iraniane potessero trovare eco sui media mondiali, che da questi nuovi strumenti di democrazia in queste ore attingono per mostrare nei telegiornali cosa stia succedendo.

Il Dipartimento di Stato americano ha chiesto ai titolari di Twitter, il social network sul quale il candidato iraniano Mir Hossein Moussavi ha una pagina personale, di rinviare la manutenzione programmata prevista, in modo da consentire la copertura degli avvenimenti iraniani. Twitter, ha affermato un funzionario che vuole restare anonimo, e’ “un importante mezzo di comunicazione, in Iran in modo orizzontale”. Twitter aveva gia’ posticipato di un giorno la manutenzione, prevedendola per questa notte. Lo stesso Moussavi aveva implorato che fosse tenuto aperto l’unico canale di comunicazione tra la societa’ civile iraniana e il resto del mondo. Sul social network il candidato riformista ha annunciato di essere pronto a spiegare al popolo iraniano le proprie ragioni in diretta televisiva.

link: IRAN: APPELLO USA A TWITTER, “RESTATE APERTI” | News | La Repubblica.it

… and justice for all

Oh, è l’anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo.
A memi piacciono l’articolo 19 e il 24, eccoli.

Articolo 19
Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

Articolo 24
Ogni individuo ha diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.

Morte dal vivo

E’ morto un tipo, suicidandosi in diretta durante una videochat pubblica, e non è neanche il primo, e non sarà neanche l’ultimo.
Oltre a nausearmi l’esempio di basso giornalismo pettegolo e sensazionalistico del tgcom rispetto a wired, mi chiedo se poter finalmente suicidarsi in pubblico ma senza nessuno che cerchi di impedirtelo aggiunga sapore all’esperienza.
Anzi, ci vorrebbe una setta religiosa che pone l’attimo del rientrare nel Tutto, sia esso volontario o involontario, quale supremo sacramento da mettere in scena nelle Chiese digitali, altrimenti qui ognuno si leva la vita davanti soltanto ai suoi amici o in eventi pubblici gratuiti, ma se c’è del pubblico pagante io voglio anche un officiante rivestito di ruolo ufficiale nonché sanzionatore dell’avvenuto decesso.
Anche il medico col camice bianco che certifica la morte in diretta di qualcuno sulle webtv potrebbe diventare un personaggio consueto, così come le location classiche tipo rupe a picco sul mare oppure camere d’albergo.
Chiunque interviene sulla scena del crimine per primo sappia di essere probabilmente in diretta, verrà anch’egli archiviato nella memoria collettiva, forse non è il caso di comportarsi indegnamente.
Interessante anche notare la dose di cinismo bastardissimo lasciato nelle chat dei suicidi online da quelli che assistevano all’evento, come riportato da Wired.
Ma in fondo, se qualcuno mi dicesse “adesso mi suicido” davanti a me o dentro uno schermo, gli direi di fermarsi, di affittare un auditorium e metter su di lì a un mese un grande evento mediatico, dove amici parenti e pubblico generico possano partecipare sia in presenza sia a distanza, altrimenti è inutile che me lo dica a me così di colpo e tanto varrebbe facesse una cerimonia di commiato più privata, dentro ambienti di videoconferenza su invito personale.

Netstrike sul MIUR

Esatto. La protesta contro la riforma gelmina continua, mi segnala Gabriella Giudici che linkerei volentieri se avessi un link, e la modernità impone l’adeguamento dei mezzi di lotta.

Quindi, domani alle 14.00 andate tutti sul sito del Ministero dell’Istruzione, giusto per fare un giretto in due clic e vedere cosa non succede.

“Tecnicamente [il netstrike] si può definire come un attacco informatico non invasivo che consiste nel moltiplicare le connessioni contemporanee al sito-target al fine di rallentarne o impedirne le attività”, dice Wikipedia, e sia quest’ultima sia PuntoInformatico nell’articolo dedicato all’evento ci ricordano l’origine italiana di questa strategia agit-prop, nata nel 1995 grazie a Tommaso Tozzi.

25 ottobre, sbattezziamoci

Da quando esiste questo blog, anni, vedete sulla destra un chicklet che rimanda al sito della UAAR, per sbattezzarsi. Sì, Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti. Sì, le istruzioni su come procedere per scrollare via dalla propria identità l’etichetta di cattolico.
Se non andate a messa né mai pregate e magari ritenete anche che la chiesa romana ne ha fatte e ne sta facendo di cotte e di crude, impicciandosi, sbattezzatevi. La vostra spiritualità (eventuale) potete coltivarla in molte altre maniere, eticamente migliori, magari sempre cristiane, ma più come dire protestanti. E sto parlando sempre di religione, mica son contro per principio: rispetto le scelte personali degli altri, ma l’azione pesantemente politica della chiesa cattolica, a Roma come nei paesini, sta limitando la mia libertà, e non mi piace.Almeno si battezzassero persone consapevoli, dubbiose ma maggiorenni, se non trentenni come Gesù che scelgono di intraprendere un percorso di ricerca. Ma qui battezzano i neonati (mica era sempre così), e si vantano che il 90% della popolazione italiana è cattolica, quando forse il 15% va a messa. Poi magari chiedono soldi allo stato, per il fatto che sono la religione principale (fino solo a ventanni fa, la religione di stato, appunto), quando è già curioso sapere cosa ne fanno dell’ottopermille.
Fate pure, ma non ricorrete a trucchetti.

Per coloro che vogliono liberarsi dal giogo di questa appartenenza imposta ad una certa ideologia, il 25 ottobre significherà Giornata dello Sbattezzo.

‘Sbattezzo’ significa cancellazione degli effetti civili del battesimo, ossia l’elementare diritto, stabilito da un provvedimento del Garante per la privacy, di non essere più considerati dallo Stato come “sudditi” della Chiesa, “obbedienti” e “sottomessi” alle gerarchie ecclesiastiche.

Qui trovate altre informazioni.

Da molti mesi tengo i fogli per sbattezzarmi qui sulla scrivania. Prima ancora avevo trovato chiuso (non ridete) presso la parrocchia dove son stato battezzato, dove non celebrano più. Ora potrebbe essere la volta buona.

Friul-IN

Sabato sera per l’aperitivo sono andato in centro, si trattava di de-virtualizzare i componenti del gruppo Friul-In, professionisti della zona che sono iscritti a LinkedIn.
Ci siamo incontrati al Contarena, storico caffè liberty di Udine di cui ho già avuto occasione di parlare male, proprio mentre sul locale convergeva la solita massa di wannabe calciatori&veline in ansia da prestazione nell’apparire vincenti e lampadati.

Ovviamente, ad un certo punto è partito il dj zarro e parlare seduti dentro intorno al tavolo è diventato impossibile, e allora siamo usciti per strada col bicchiere in mano, scoprendo che nella galleria d’arte a fianco del locale era in corso una inaugurazione, c’era Federico che suonava il sax su basi elettroniche di altri musicisti, e ad un banchetto servivano gratis del buon bianco friulano del Collio, altro che 23 (ventitre) euri per cinque aperitivi (ha pagato Francesco? a buon rendere, anyway).

Vediamo chi c’era, del centinaio dei Friul-ini iscritti al gruppo: Andrea Bertolozzi, Francesco Zorgno, Luca De Michiel, Elena Zadro, Simone Favaro, Davide Nonino con Alessandra, e Fabio Trevisani (ho messo i link lunghi della funzione “cerca”; se mi date il link con l’url breve al vostro profilo, linko meglio).

Per il resto, tutto bene.
Spero che vi sia una ulteriore occasione di incontro, dove sia possibile chiacchierare liberamente con tutti, per approfondire le reciproche competenze e far nascere idee di futura collaborazione.

Easy money

Terra e cielo, dell’essere e del fare accogliente semplicità e creativa facilità, simboli.

Uno poi può anche tentare di fare il guru, tipo con il GTalk badge, ma servirebbe un pagamento semplice e facile per pagare, poco e spesso, una consulenza professionale che vive negli interstizi della rete, tra le nicchie. Qui è tutto fatto a nicchie, ci saran degli interstizi, non posso credere che il Tutto sia disposto a celle d’ape, esagonali. Se invece ci sono ampie distanze tra le nicchie, sicuramente un giorno salteranno fuori le internicchie di internet, e allora il linguaggio avrà una volta ancora raggiunto il suo scopo supremo, farci ridere di come nomina le cose.

Quindi si dovrebbe puntare su dei sistemi di pagamento aggiornati.
Intanto vorrei poter essere pagato come il Telethon, con versamenti di 2 euro per ogni sms che mi mandano al numero che dico io, anzi allestirei cinque numeri diversi con quote diverse di pagamento. O un sms con la parola “pago” e due euro salgono sul mio conto, tolte le spese eh. Tutto tracciato, emetto fattura.

Anche poter commutare una normale telefonata in consulenza professionale, con compenso immediato, sarebbe simpa. I due interlocutori ad un certo punto digitano un numeroverde e qualche codice, che identifica l’IBAN del committente e del cliente e poi spedisce ai due, direttamente alla loro banca, una mail quale segno dell’avvenuta transazione. A quel punto ciascuna delle due parti, a telefonata conclusa, riceve un sms dalla propria banca con la richiesta di autorizzazione al bonifico, si autorizza e festa finita. Un servizio delle banche, dovrebbe essere, e gratuito, visto che è automatizzabile.

E a questo punto sarebbe simpatico anche una specie di carrello della spesa giornaliero, così mentre naviga la gente cliccando compra un libro o una consulenza di dieci minuti, e alla sera controlla su una pagina della propria banca online le richieste di pagamento disseminate sul web, e autorizza effettivamente per ciascuna l’esborso.

Leenti.

Vorrei sapere

A Udine hanno intercettato delle telefonate, e si è scoperto che un imprenditore, un avvocato e un albergatore (i nomi, personaggi noti, sono in cronaca sul giornale locale) organizzavano i giretti di troiette per “un noto esponente di Forza Italia”, in occasione delle visite di quest’ultimo qui in Friuli nel corso dell’ultima campagna elettorale. Fin qua, tutto rego, raga.
Però il politico, giustamente non indagato, rimane sconosciuto. O almeno, il suo nome non compare sulla stampa.
E invece io vorrei proprio sapere come si chiama, vorrei sapere se si tratta di un parlamentare, giusto per valutare la sua coerenza nel caso in cui si debba votare in Parlamento qualcosa tipo la legalizzazione della prostituzione.
Che poi il politico continui a fare quello che gli pare della sua libertà (senza intralciare la mia), ma se si dovesse comportare come il classico ipocrita sepolcro imbiancato, ecco, vorrei saperlo. O almeno credo vorrebbero saperlo i suoi elettori (sempre ottimista, io).

Cambiamento e organizzazioni lavorative

Riporto anch’io questo schema elaborato da ADFOR, e presentato su Humanitech.

Con tutti i limiti che una eccessiva semplificazione comporta, espressi anche nel post originale, rimane comunque una buona mappa per decifrare le dinamiche interne delle organizzazioni lavorative e gli intoppi che ogni strategia di processo innovativa, in questo caso aziendale, è destinata a incontrare.
Se poi penso all’organizzazione scolastica, come nel mio post precedente, in relazione al cambiamento indotto da un uso moderno delle TIC sia nella didattica sia nel funzionamento come “macchina” statale, alla necessità per la Scuola di fare seriamente comunicazione pubblica – dovrebbe farlo per legge, essendo Pubblica Amministrazione, ovviamente viene da mettersi le mani nei capelli per la disperazione, perché può capitare di incontrare dirigenti senza visione, insegnanti incaricati di essere Funzioni Strumentali per le tecnologie e Responsabili di laboratorio che non hanno nemmeno la mail personale, nessun incentivo (né personale né economico come finanziamenti ai progetti) al cambiamento, pc vecchi di sei anni con le licenze di windows craccate e connessioni a 56, nessun piano di implementazione serio perché tanto si ragiona sull’immediato e pochi capiscono la necessità di progettare oggi la scuola di domani.
Per dire, la Posta Elettronica Certificata, la firma digitale, l’uso obbligatorio della mail per comunicazioni di servizio anche ministeriali stanno già gettando parecchio scompiglio negli uffici amministrativi scolastici… non era forse sufficiente il librone del protocollo, dicono quelle, con i timbri come all’epoca di Carducci? Signora mia, non ci sono più le mezze stagioni.
Quindi la Scuola vive tutto quello che vedete in giallo, in questo momento.

Detto en passant, quello schemino potrebbe diventare, avessi voglia di lavorare, un ottimo spunto di partenza per una riflessione semiotica sui comportamenti e sui flussi di comunicazione nei gruppi orientati al cambiamento, in quanto come materiale semi-lavorato offre un testo su cui poter affondare i bisturi analitici.
La presenza di configurazioni discorsive di tipo patemico, ovvero espressioni di affettività come i sentimenti di frustrazione, ansia, confusione potrebbe permettere una sorta di reverse engineering, dove a partire proprio dalla percezione (di un esperto nella conduzione dei gruppi, o dalla autopercezione dell’organizzazione) del clima affettivo specifico di una scuola o di una Istituzione si può risalire – con le solite mille cautele interpretative – ai blocchi nel flusso della comunicazione e nell’attuazione del cambiamento.

Vergogna


Di che vergognarsi.

La sentenza dell’assoluzione dei due terzi dei poliziotti coinvolti su Bolzaneto, Genova 2001, è vergognosa. L’altro terzo prenderà condanne risibili, e non finirà in carcere per via di indulti e prescrizioni.

20 luglio 2001
Vincent B.
Fermato per identificazione il 20/7 – ingresso a Bolzaneto tra le ore 17,00 e le 18,00 circa – esce dalla caserma alle 3,00 circa del 21/7. Viene prelevato dall’ospedale dove era ricoverato a seguito delle ferite riportate sulla strada. Ha una ferita alla testa suturata con tre punti. A Bolzaneto lo mettono in una cella in piedi, faccia contro il muro, gambe divaricate e braccia alzate; non si può muovere. Ogni tanto entra qualcuno che lo picchia con calci e pugni nella schiena e nelle gambe. Gli fanno sbattere la testa contro il muro, gli alzano ancora di più le braccia e gli divaricano le gambe. Il tutto accompagnato da intimidazioni in italiano. Lui vede che il muro all’altezza della sua testa si sporca del suo sangue. Quando si può muovere nota che anche i compagni di cella subiscono la stessa sorte. Un ragazzo in particolare geme dal dolore perché gli stringono continuamente i laccetti ai polsi. (…) Poco dopo un medico viene in cella e gli chiede di girarsi, vede la ferita alla testa, gli fa qualche domanda. Lui dice che non si sente bene, il medico gli porta una garza bagnata ma gli agenti lo costringono a stare comunque con la testa contro il muro. Due poliziotti ridendo si avvicinano e gli chiedono che cosa abbia, lui risponde che è stato picchiato da Poliziotti ed allora uno di loro lo afferra alle spalle urlando e gli dice: «Da un Poliziotto? Impossibile! Sei caduto per terra, ok?». Lui si rimette con la testa contro il muro. Quando lo portano al fotosegnalamento il poliziotto che lo accompagna gli dice: «Merda di francese, soffrirai»; lui chiede perché ed allora il poliziotto gli torce un braccio. (…) Quando pronuncia la parola «avvocato» lo prendono a calci.

Giuseppe A.
Fermato per identificazione il 20/7 – ingresso a Bolzaneto alle ore 19,00 – 1930 circa – esce dalla caserma alle 2,00 circa del 21/7.Viene prelevato dal pronto soccorso dell’ospedale San Martino ove era stato medicato per le ferite riportate in Via Tolemaide. Nel cortile di Bolzaneto, sceso dal blindato, vede molti poliziotti e guardie penitenziarie in divisa. Sente che qualcuno di loro parla di un carabiniere o di un poliziotto ucciso. Lo fanno sedere insieme agli altri su un muretto dove lo picchiano con pugni, calci, manganellate e colpi con i caschi. Vede che volutamente lo colpiscono sulle ferite. Ad un certo punto si avvicina un agente della Polizia di Stato molto grande, gli prende improvvisamente la mano, gli allarga le dita con le due mani e tira violentemente le dita divaricandole, così spaccandogli la mano. Sviene dal dolore. A quel punto lo portano in infermeria, lo denudano e o fanno sdraiare su un lettino. Mentre lo trasportano qualcuno gli dice una frase intimidatoria del tipo: «Ti sei fatto male da solo, vero?». In infermeria ci sono medici ed infermieri ma anche agenti in divisa. Qualcuno gli chiede come si è fatto male ma lui, terrorizzato, dice che è caduto dalle scale. Gli cuciono la mano senza anestesia. Lui ha male ma gli dicono di stare fermo perché se si muove gli daranno il resto e gli fanno mordere uno straccio. Poi lo portano in una cella dove deve stare in piedi, faccia al muro, gambe divaricate e fronte appoggiata al muro. Con cadenza quasi regolare entrano nella cella agenti che colpiscono i presenti con pugni, calci e schiaffi. Lo portano in bagno ma deve espletare i suoi bisogni di fronte all’agente che lo accompagna. Lungo il tragitto nel corridoio gli schiacciano i piedi e lo fanno cadere a terra. Lo deridono dicendogli «Muoviti». Nel corridoio lo fanno stare fermo in piedi appoggiato al muro con le braccia alzate e in quella posizione sente grida e invocazioni di aiuto, che provengono dalle celle e dall’ufficio degli atti.

E va avanti così, per pagine e pagine e pagine, tratte dalla sintesi delle dichiarazioni delle parti lese raccolte dai PM Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati nell’inchiesta sugli abusi di Bolzaneto, pubblicata da Diario del 21 luglio 2006.

Qui il 20, 21, 22 luglio 2006.

Un utile esercizio di educazione civica, cittadini.

Tratto da Iconoplastica