Smanettare linguaggi

Commentando un post di Mantellini (dovevo) mi sono naturalmente nate altre idee, per propagazione a talea.
Dicevo che alle elementari c’è un grosso problema, e riguarda il cambiamento delle impostazioni del desktop.
Ma credo che come un bambino sgarfa nella terra e poi solenne o entusiasta porta alla maestra un verme, così sia giusta cosa che manipoli lo sfondo con altre immagini. Sta esplorando l’ambiente di vita.
E così chi si diverte con i nuovi discorsi (mashups) che è possibile fare con le nuove parole (ajax, xml..) scopre nuove possibilità dei linguaggi, che magari un giorno permetteranno di nominare un contenuto, un’idea, un valore prima mai percepito, perché mancavano le parole.
E qualche modificazione questo fare lo porta sicuramente nel Mondo. Nascono cose che prima non esistevano, ed in fin dei conti siamo tutti qui per combatter l’entropia.
Il discorso dell’autoreferenzialità dei blog, di cui tanto si dibatte ultimamente nella blogosfera (e solo lì, ovviamente) potrebbe essere ricondotto a quello che certamente si è instaurato tra i letterati e gli uomini/donne di pensiero dalla fine del Quattrocento e nel Cinquecento, ovvero l’instaurarsi di una visione metalingustica e centripeta, che focalizzava proprio lo strumento dell’espressione, in quel caso il libro a stampa.
Era necessario acquisire una competenza, un saper fare, riguardante la tecnologia tipografica e del libro. Per pubblicare e diffondere finalmente le idee, dovevo saper qualcosa di caratteri mobili (movable type, esatto).
Oggigiorno, nessuno si scandalizza se un intellettuale è anche un bibliofilo, nel senso di appassionato dei libri anche come modalità di supporto dell’informazione. Eppure ci si scandalizza se i blogger saggiano lo strumento.
Ma Galileo per guardare la luna si smerigliava a mano le lenti per curarne la convessità, era artigiano tecnologo ars=tekne, prima ancora che scienziato. Anzi, lui è quello che ha definito un metodo per garantire maggiori condizioni di conoscenza scientifica, in quel caso.

Qui, oggi, stiamo parlando della costruzione delle grammatiche espressive del domani, dei modi di organizzare l’espressione di sé attraverso linguaggi simbolici, quando per la prima volta si è dischiusa dinanzi agli Umana la possibilità di costruire discorsi allestendoli multimedialmente, con relativa facilità (senza conoscere codice, perlomeno, come i molti Pipes e strumenti 2.0 online che nasceranno nei prossimi mesi).

Si è spalancata una porta, si sono allargate le finestre della casa, si è chiamati a giocare molta socialità, come dicevo per i cellulari multimediali.
Si svilupperanno nuove prassi comportamentali, nuove credenze e abiti, nell’arredare queste case della nostra personalità.

Nel 2061una laureanda a Trento in Sociologia dei Media scartabellando vecchie pagine web degli archivi Internet risalenti agli anni ’10 del XXI secolo, si riterrà fortunata di poter avere accesso alle discussioni che stiamo lasciando in giro, in quanto per lei come archeologa sarà importante ricostruire come sono nate – nella blogosfera o nell’opinione pubblica digitale – quelle scelte che determineranno la forma del futuro.
Siamo i primi banchieri fiorentini del Duecento, siamo i tipografi del 1480, siamo gli esploratori, i Cittadini della rivoluzione francese, gli impressionisti che s’interrogano sulla forma, siamo i pionieri del Web (yippieyahe).

Lo dico ancora una volta, giusto perché conosco una metafora biblica: i nostri Padri hanno il compito di salvare tutta la Cultura pre-Internet nell’Arca Digitale, per salvarla oltre il Diluvio Digitale.
La nostra generazione, sta costruendo l’Arca da vent’anni. Sviluppiamo i contenitori.
I nostri Figli, saranno poeti digitali. Avanguardia della specie.

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