Diffamazione depenalizzata

Questa notizia qui riportata da Mario Tedeschini Lalli è strana.
Sembra uno di quegli aneddoti sulla vita di corte a Versaglia, uno spunto curioso sulle abitudini alimentari durante il Rinascimento, oppure un esercizio di fantastoria dove per gioco ci si chiede cosa sarebbe successo se invece di fosse avvenuto che.

Perché più ci penso più questa cosa mi sembra piovuta da un altro mondo, da tempi che non possono essere i nostri in cui viviamo.

Soprattutto quelli in cui viviamo noi qui in italia, dove sul meccanismo della diffamazione si costruiscono rispettabilità e perfino intere carriere politiche. Dove la diffamazione è un delitto punito con la reclusione per aver offeso l’altrui reputazione.

Quindi: in Inghilterra hanno depenalizzato la diffamazione e ogni reato a essa connessa.
Scusate, non ci credo, mo’ me lo riscrivo da solo: hanno depenalizzato la diffamazione. Che poi scopro non esistere nemmeno negli Stati Uniti.
E lo hanno fatto espressamente per favorire la libertà di espressione e di stampa, per evitare che il pensiero critico nei media venga frenato da un ennesimo “ma come si permette, lei non sa chi sono io” etc.

Intendiamoci: se dici una bufala su di me, io ti denuncio e dimostro la verità e poi vorrei tu pagassi la tua leggerezza, giusto per insegnarti che le parole e le conseguenze delle parole possono essere assai pesanti. Sono cose che si possono risolvere con civiltà, e senza farla tanto grossa comminando anni di carcere.
E’ più importante che tutti possano parlare, che i giornalisti possano fare inchieste scomode, valutando il rischio commisurato a una sanzione, non a una reclusione che fa tanto passare la voglia di farsi delle domande. E di farle.

Ma un reato come la diffamazione a mezzo stampa ha senso appunto con la stampa o con la televisione, quando sono pochi quelli che parlano e molti quelli che ascoltano. C’è un’industria dietro, un’economia, una visione del mondo implicita e una da veicolare. E quelli che parlano o scrivono sono giornalisti iscritti a un albo, con un codice deontologico. Ovvero, sanno quello che possono o non possono dire.
Ma oggi tutti parliamo con tutti, dentro i nostri blog e sui socialcosi.
E parliamo come parliamo al bar (qualcuno forse crede di essere addirittura nel suo salotto, e sbaglia la misura), liberamente. E non credo quelle forme legislative pensate decenni fa possano ancora essere adeguate oggi, in questo nostro diverso ecosistema dell’informazione e della pubblica opinione.
Lo stesso vale per le immagini, se ci pensiamo: una volta c’erano tre macchine fotografiche per ogni regione italiana, poi la diffusione di massa delle polaroid e delle videocamere e oggi dei cellulari rende probabile la mia presenza nelle foto della luna di miele a Venezia di molte coppie di giapponesi, metti caso io stessi passeggiando in piazza San Marco.
Se sto camminando in piazza, la mia immagine è pubblica, ciascuno può prenderla e farne ciò che vuole. Se poi usa una mia foto a mia insaputa per reclamizzare lassativi, vediamo di metterci d’accordo. Se un premier dice baggianate o fa i festini coca&troie, io lo dico e lo scrivo, senza temere di finire in galera.
E ogni volta che vedo facce in televisione, bambini a scuola, adolescenti intervistati sulle mode musicali, mi chiedo se veramente canale5 o rai1 han fatto firmare centinaia di liberatorie.
Chiaramente, è il concetto di liberatoria che non funziona.
Se il flusso era unico e broadcast, la quantità di situazioni reali da controllare era ancora gestibile.
Adesso viviamo dentro molti flussi di informazioni, noi stessi siamo diventati produttori e distributori a livello planetario di opinioni e immagini e video, mi sembra fuori dal tempo continuare a pensare di poter continuare a regolamentare tutto fino al minimo dettaglio, per ognuno di noi. Il sistema cede, non era progettato per questo.
L’italia ha una tradizione nel codicillo del codicillo, ma è facile prevedere implosione per collasso.
Collasso dei tribunali, delle carceri piene di gente. Collasso sociale, perché la diga non può trattenere tutta questa liquida conversazione.
La privacy è cambiata, la sfera privata e pubblica non sono più le stesse, i valori come reputazione e decoro si costruiscono e si mantengono presso la società in modo nuovo, non più nel silenzio e con la forza dei soldi per pagare avvocati. Se sei un potente e ci tieni alla tua reputazione, comportati bene. Altrimenti non due giornalisti, ma migliaia di persone parleranno di te liberamente, qui dentro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *