Brancolare, bricolare

Una volta scrivevo di getto qui, caro blog, ora c’è Facebook, come saprai.
L’argomento è sempre quello di molti anni fa, le politiche e le pratiche dell’introduzione delle TIC in classe, in seguito al fatto che l’attuale Ministra ha deciso di rinviare sine die l’introduzione dei testi scolastici elettronici a scuola, ed è chiara a tutti la pressione esercitata dagli editori tradizionali, ed è chiara a tutti la miopia della Ministra.
Qui tutta la discussione, questo il mio commento vagabondo alla tematica della sperimentazione in classe.

Abbiamo attraversato questa discussione così tante volte, su bacheche su forum sui commenti di un blog qua o là su piattaforme e-learning sui social forse in mondi 3D, abbiamo spesso avuto posizioni discordanti, che ormai è chiaro a tutti che siamo qui tutti al di là del contenuto. Parliamo come vecchi amici al bar, io sono il più giovane dal basso dei miei quarantasei anni, capirai, siamo incorreggibili. Non cambieremo idea. Quindi posso continuare. Sperimentare è fare per fare, sì. Non è approccio scientifico, non formulo ipotesi da falsificare, gioco piuttosto con le cose, bricolare. Se il bambino sta fermo non mescolerà mai giallo e blu, il verde non nascerà come attività manipolatoria. Aggiungo brancolare al bricolare, guarda, per indicare proprio quell’esplorare (non è cieco: ci vede benissimo, ma è buio) della nella materia, degli incastri, delle procedure. Noi abbiamo imparato il computer (non so cosa vuol dire) sperimentando, senza manuali d’istruzione. I bambini uguale. La scuola vuole il manuale. Non vuol farsi carico di una quota di autoapprendimento, tentativi ed errori, avere il coraggio di sbagliare così la prossima volta sbaglia meglio, imparando. E parlo della scuola, eh, dell’organizzazione lavorativa con la sua storia, perché il problema qui va risolto a livello di bosco, non di alberi. Io non formo insegnanti, io formo cittadini. Poi quei professionisti della formazione sapranno con la loro intelligenza e visione piegare gli strumenti e i punti di vista che io offro loro. E a sua volta la scuola è un albero in un bosco chiamato società, attore sociale ratificato incaricato come un Eroe di portare a termine la sua missione di inculturazione, a fornir cittadini armoniosi alla maggior età, che io vorrei peraltro critici e consapevoli, potenti e autonomi. Questo anche per uscire dalla visione strumentale delle TIC, che ogni tanto fa capolino in noi. Perché tutta la scuola vive in un mondo profondamente mutato, tutte le pratiche scolastiche vivono dentro una scuola chiamata come organizzazione PA a mutare, le pratiche didattiche a loro volta non possono non tenere in considerazione i nuovi modi di abitare il pianeta, dal punto di vista del reperimento informazioni e narrazioni alle nuove grammatiche dell’espressione di sé permesse dalle TIC. Con la carenza di digitale di cui parli tu forse riesci ancora a fare bene alcune cose didattiche, ma non fai buona scuola. Il digitale non è l’Aiutante della Storia di quell’Eroe qui sopra, è contesto e circostanza dell’enunciazione, è linguaggio dentro cui i personaggi vivono, abitano. Introdurre dispositivi a scuola non è sperimentazione didattica, attenzione, è semplicemente allestire una scena naturalisticamente ispirata alla realtà, dove come sappiamo il docente deve essere semplicemente un regista dei flussi narrativi in entrata e in uscita nel gruppo classe, accorto e lungimirante, indipendentemente dalla fonte di provenienza dei flussi, esseri umani o depositi di conoscenza su ogni tipo di supporto disponibile. E i supporti oggi non sono più soltanto i libri, per tornare a noi. Sperimentazione avviene nel provare a piegare gli strumenti, senza sapere bene come. Come una maestra che usa Powerpoint per fare un cartone animato, piegando lo strumento a qualcosa per cui non era stato progettato, magari senza rendersene conto. Ai bambini non insegni powerpoint, insegni a fare un reportage sulla centrale idroelettrica. E *mentre* fanno il reportage, imparano powerpoint. * Mentre* la maestra progetta la didattica di scienze umane, utilizza gli strumenti. *Mentre* la scuola organizza la propria vita, impara le tecnologie disponibili per migliorare la propria efficienza come macchina organizzativa, e la propria efficacia nel provvedere a insegnanti e discenti il miglior AMBIENTE orientato all’apprendimento, e questo ambiente in tutti i secoli credo si sia pensato potesse essere migliore quanto più nutrito di dispositivi per supporto memoria, esplorazione del mondo, espressione di sé, pratiche d’insegnamento coinvolgenti e stimolanti. Le TIC vanno messe lì, come vedi, per mille motivi. Ma soprattutto perché vanno abitate, per poter dire di abitare il mondo. Messe subito nelle classi e negli uffici, forse brancolando, così la scuola asssomiglia al mondo vero.

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