Mi parli così? o ti ascolto così?

[In ascensore]
Nella parte alta, subito sotto il display, alcuni disegni mostrano la procedura per lanciare l’allarme in caso di blocco: disegno di un dito che preme un bottone con una campana; disegno di una clessidra; disegno di una testa umana a fianco di una cornetta del telefono.
Una campana, una clessidra, una cornetta del telefono.
Le campane non vengono più utilizzate per dare l’allarme. Le clessidre sono oggetti d’arredamento. Sull’ascensore non c’è un telefono con cornetta, ma un microfono ambientale.
Il simbolo sopravvive all’oggetto.
[via L’estinto]

Certo, è dura inventarsi segni che si riferiscano a stati/eventi del mondo non osservabili, smaterializzati, informatici.
Delle tre categorie classiche di classificazione dei modi di produzione semiotica dei segni, ovvero secondo iconicità (e tralasciamo l’amabile infinito discorso sulla “somiglianza” e sulle caratteristiche che determinano la riconoscibilità dell’oggetto rappresentato rispetto al segno, ad esempio in ottica transculturale), secondo indicalità (dove indice o sintomo è qualcosa di fisico e fisicamente connesso all’Oggetto, come le bolle del morbillo rispetto alla malattia o una boa che segnala la presenza di un sommozzatore in immersione), e secondo l’arbitrarietà di una Legge Legisegno (un codice, come le parole, le quali mica c’entrano nulla con ciò che intendono significare, nemmeno nel caso dell’onomatopea; il suono della parola /tavolo/ non reca con sé le caratteristiche del contenuto “tavolo”, non ha quattro zampe e un piano), perdiamo l’iconicità.
Non possiamo suggerire con un disegno stilizzato ciò che non possiamo vedere, vivendo oggi in mondi fatti da agenti immateriali o miniaturizzati.
Ricorriamo a segni la cui comprensibilità si appoggia su referenti culturali appartenenti al mondo agricolo-industriale, solidamente atomici e pure macroscopici.

Per dire, nel caso dei feed RSS ci han messo un’onda di propagazione, e tra i cerchi di un sasso nello stagno e l’acustica possiamo risalire al significato veicolato, al diciamo-così concetto, anche se qui siamo nell’immateriale e nulla si muove.

Decisamente campana, clessidra e cornetta parlano di un’altra epoca. Quindi affinché possano essere comprese come segni di azioni (avvertire monodirezionale, aspettare, comunicare bidirezionale) gli utilizzatori dell’ascensore si presume siano in possesso di un codice in grado di correlare appunto a questi segni i rispettivi stati del mondo. E già vivono intorno a noi bambini che potrebbero non aver mai visto nessuno di questi oggetti, per i quali sarebbe quindi necessaria 1. una alfabetizzazione a oggetti svaniti dal mondo, affinché 2. possano maturare in sé dei piani e delle relazioni stabili nelle reti enciclopediche dello scibile posseduto, su cui in seguito 3. poter fondare dei codici di correlazione semiotica in grado di 4. rendere eloquenti i segni costruiti iconicamente a partire da quegli oggetti.
Follia.
Ci serve un’iconologia dell’immateriale dei bit e dell’informazione, ed è già un bell’ossimoro su cui scommettere senza ricorrere a metafore passatiste, oppure fare in modo che i significati veicolati siano direttamente osservabili, magari attraverso la mediazione audiovideo, che è pur sempre rappresentazione. Così al posto di un bottone con sopra la campana o la cornetta in ascensore mettiamo un video (touchscreen, ovviamente, così è il testo che agisce) che mostra l’azione di avvertire o di chiamare, ovviamente con i risvolti sociali del caso, quindi narrativi, quindi pragmatici, o meglio pragmaticisti, giusto per restare vicino alle idee matte e ficcanti di Peirce.

La verità di una concezione poggia esclusivamente sulle sue relazioni con la condotta della vita.

2 pensieri su “Mi parli così? o ti ascolto così?

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