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WWW mi piaci tu (disse Facebook)

Facebook ha fatto una mossa notevole. Ora è possibile mettere il bottonetto “Like” ovunque sul web, e quando lo cliccate, a esempio su un blog, questo vostro “Mi piace” viene riportato dentro Facebook, e la vostra cerchia di amici ne viene a conoscenza.
Questo porta il web dentro FB, con facilità. E non soltanto linkando o feedando pagine, ma garantendo ovunque  l’emozione di un piacere. Web affettivo, questo è.
E non pensate sia mossa da poco: tanto quanto il bottone “commenti” di un blog racchiude in sé l’universo conversazionale (che proprio i blog hanno storicamente abilitato), così il cliccare “Like” dentro e ora anche fuori Facebook è l’interruttore della propagazione, la funzione minima della socialità in Rete, la polla d’acqua che segnala in superficie lo scorrere profondo di relazioni interpersonali.
Facebook ne ricaverà molto, in termini di conoscenza, da questa nuova possibilità, avrà modo di tracciare meglio un sacco di cosette, e di costruire dei social graph molto più accurati, osservando la tessitura della socialità online. Tra l’altro, ci sono state delle modifiche nelle politiche di privacy abbastanza profonde.
Su tutto questo, leggete Dario Salvelli e Vincenzo Cosenza.
NB La foto sopra mi serve per dirvi che è ricominciata la Vespa Season: oggi ho cambiato l’olio al motore, poi con la stessa benzina che era rimasta nel serbatoio cinque mesi fa l’ho rimessa in moto, al secondo colpo di pedivella. Al secondo colpo di pedivella. E ho fatto anche un giretto in città.

L’importanza di …

Fare le cose per bene, con quell’accento sullo stato del mondo ottimale in seguito all’azione svolta.
Meglio far le cose per bene, che farle al meglio, forse.

Ecco, quel “bene” non è un valore assoluto, dipende anch’esso dal contesto.
L’azione “fatta bene” è quella più adeguata al contesto. Prendete il galateo di Della Casa o di Lina Sotis, e noterete che spesso le regole dei cerimoniali non tendono a ottenere il miglior risultato possibile, ma il risultato migliore nella situazione sociale in cui l’azione si svolge… dove spesso infatti i rituali strutturati sono progettati per far sì che ciascuno abbia un ruolo sociale definito nella situazione e sappia cosa fare/dire, non per l’efficacia dell’azione. L’obiettivo situazionale è più rendere le situazioni fluide, rispetto all’efficacia perfetta. Tant’è che spesso il galateo complica le situazioni, ma tutti sono a loro agio se seguono l’etichetta. Prendere le forchette via via dall’esterno verso il piatto non può creare imbarazzo, è una cosa funzionale nella situazione. Se la regola non è funzionale fa saltare l’agio dei partecipanti, e quindi la regina margherita mangia il pollo con le dita, e tutti si sentono a proprio agio nella situazione sociale.
Alla base, certo la funzionalità, ma credo più importante sia l’adeguatezza sociale nella situazione. Perché la situazione può sostenere (spesso il cerimoniale prevede anche i rituali di riparazione) una funzionalità farraginosa, ma nessuna situazione sociale umana può sostenere l’imbarazzo di una persona, perché l’imbarazzo è di tutti gli altri che non sanno più come interagire con una persona che d’un tratto si trova “senza faccia” (Goffman, da qualche parte).

Ma fare un lavoro per bene nel mondo degli atomi, come riparare una sella di uno scooter (ecco che questo mio cuore a forma di Vespa comincia ad accelerare) significa fare un lavoro che appunto prenda come misura della propria qualità il proprio essere adeguato al contesto fisico del mondo. Quindi l’artigiano (dentro di lui si muovono generazioni di artigiani che da millenni dialogano con tessuti e aghi e fili, con la grammatica tecnologica donata da Atena) cercherà di realizzare un lavoro che resista all’usura di un jeans che per ore si strofina sulla sella. La sua competenza sta nel trovare i materiali e nel possedere informazioni sul comportamento fisico/chimico/meccanico, nel tempo, dei materiali, per adeguarli al contesto della relazione sella-sedere.

Ma fare un lavoro sul web non riguarda la materia. I pixel non si consumano a guardarli, i bit non arrivano stanchi per l’attrito.
Fare un lavoro per bene su web significa adeguarsi al contesto immateriale e perennemente in progress, il web è sempre beta-release. Quando dieci anni ho cominciato a rompere l’anima alle maestre con gli ipertesti e i power(colpoditosse)point, era importante far loro comprendere come l’opera potesse essere ripresa l’anno successivo, ed ampliata: questo contrasta con la mentalità editoriale dell’edizione definitiva. Non c’è più niente di definitivo. E non ci saranno più appendici e integrazioni alle opere, l’opera è in continuo farsi. E quindi fare bene un lavoro non vuol dire finirlo, e neanche farlo bene. Su web, per cominciare, significa farlo. Poi il vivere stesso autonomo di quell’opera (quel sito, quel documento pubblicato, quel post sul blog) conterrà gli strumenti del proprio miglioramento, auspicabilmente grazie agli apporti di tutti quelli che ci interagiscono.

Tutto questo per rispondere a Gino Tocchetti, che in un suo post dedicato alla cultura del lavoro artigianale riprende un suggerimento di Andrea Beggi che parlava proprio del suo incontro un vecchio meccanico di scooter, esempio vivente di un’etica del lavoro encomiabile, nello svolgere il suo compito “a regola d’arte”.

Ma credo che siano cambiate le regole dell’arte (ars, techne, Atena e Vulcano), qui, dentro il web. E appunto fare un lavoro “per bene” non significa finirlo -> chiuderlo al meglio, ma forse aprirlo al meglio. Non volere le cose perfette, mettersela via, pubblicare in bozza, scrivere di getto e fidarsi degli altri. Per i nevrotici sarà un delirio, la signorina Perfettini potrebbe dar di matto.
Eppure funziona così, qui. Se fai una cosa perfetta, è vecchia, o non maneggiabile. Non permette serendipità nel suo uso, che fa scoprire ciò per cui non era stata progettata, come fare i cartoni animati con powerpoint reinventando la sua destinazione d’uso, con approccio mentale bricolage.

Giustamente Gino sottolinea (lui è veneto, io friulano, viviamo dentro una cultura del fare artigianale ben precisa, storica, concreta) la qualità del pensiero professionale di quell’artigiano. Ma non credo che il miglior artigiano del web debba necessariamente condividere quella mentalità. Potrebbe darsi il caso che per lavorare a regola d’arte qui dentro quell’artigiano debba avere in sé (nel pensiero di sé che pensa la professionalità del proprio essere dignitosamente artigiano ai propri stessi occhi) una gerarchia di valori completamente differente, su cui appoggiarsi per impostare e giudicare sia l’opera sia il processo di produzione dell’opera.

Su David Orban (ora il sito non si carica, mah) trovate una traduzione italiana del Cult of Done Manifesto di Bre Pettis, da tradurre appunto come Manifesto del Culto del Fare rispetto a Culto del Fatto, proprio per mantenere aperta la visione dinamica (sennò bisognere spiegare che il Fare è un Fatto, e via rotoloni giù per la scala a chiocciola del Senso). Ecco qui.

Il Culto del Fare
  1. Ci sono tre stati dell’esistere. Ignoranza, azione e completamento.
  2. Accetta che tutto è una bozza. Questo aiuterà a fare.
  3. Non c’è un secondo passaggio, di editing o montaggio.
  4. Far finta di sapere cosa stai facendo è quasi lo stesso che saperlo fare davvero, quindi accetta che sai quello che stai facendo, anche se non è vero e fallo.
  5. Non procrastinare. Se aspetti più di una settimana per agire su un’idea, abbandonala.
  6. Lo scopo del fare (being done) non è finire, ma poter fare altro.
  7. Quando l’hai fatto puoi buttarlo via.
  8. Ridi in faccia alla perfezione. È noiosa e ti trattiene dal fare.
  9. Le persone che non si sporcano le mani sono nel torto. Se fai qualcosa hai ragione.
  10. Il fallimento conta come fare. Quindi devi fare sbagli.
  11. La distruzione è una variante del fare.
  12. Se hai un’idea e la pubblichi online in Internet, conta come lo spirito (ghost) del fare.
  13. Il fare è il motore del più.

Bello, eh? Di che capottare le fondamenta su cui abbiamo costruito nei secoli la dignità e l’etica del lavoro. Se restiamo fermi a manufatti atomici. Ma nel web, è l’unica soluzione valida. Tant’è che oggi Encarta (pensiero artigianale/industriale) ha chiuso, e Wikipedia evviva.

Easy money

Terra e cielo, dell’essere e del fare accogliente semplicità e creativa facilità, simboli.

Uno poi può anche tentare di fare il guru, tipo con il GTalk badge, ma servirebbe un pagamento semplice e facile per pagare, poco e spesso, una consulenza professionale che vive negli interstizi della rete, tra le nicchie. Qui è tutto fatto a nicchie, ci saran degli interstizi, non posso credere che il Tutto sia disposto a celle d’ape, esagonali. Se invece ci sono ampie distanze tra le nicchie, sicuramente un giorno salteranno fuori le internicchie di internet, e allora il linguaggio avrà una volta ancora raggiunto il suo scopo supremo, farci ridere di come nomina le cose.

Quindi si dovrebbe puntare su dei sistemi di pagamento aggiornati.
Intanto vorrei poter essere pagato come il Telethon, con versamenti di 2 euro per ogni sms che mi mandano al numero che dico io, anzi allestirei cinque numeri diversi con quote diverse di pagamento. O un sms con la parola “pago” e due euro salgono sul mio conto, tolte le spese eh. Tutto tracciato, emetto fattura.

Anche poter commutare una normale telefonata in consulenza professionale, con compenso immediato, sarebbe simpa. I due interlocutori ad un certo punto digitano un numeroverde e qualche codice, che identifica l’IBAN del committente e del cliente e poi spedisce ai due, direttamente alla loro banca, una mail quale segno dell’avvenuta transazione. A quel punto ciascuna delle due parti, a telefonata conclusa, riceve un sms dalla propria banca con la richiesta di autorizzazione al bonifico, si autorizza e festa finita. Un servizio delle banche, dovrebbe essere, e gratuito, visto che è automatizzabile.

E a questo punto sarebbe simpatico anche una specie di carrello della spesa giornaliero, così mentre naviga la gente cliccando compra un libro o una consulenza di dieci minuti, e alla sera controlla su una pagina della propria banca online le richieste di pagamento disseminate sul web, e autorizza effettivamente per ciascuna l’esborso.

Leenti.

Giorgio Bettinelli

E’ morto, il tipo che vedete in questa foto con gli occhi attenti di chi guarda come vivono le persone in giro per il pianeta, e con i capelli dritti per il milione di kilometri fatti in Vespa. Un buon narratore, Giorgio Bettinelli, a cui auguro veramente buon viaggio.

Se vi piacciono le narrazioni schiette e curiose di posti esotici, comprate uno dei suoi libri, non rimarrete delusi. Se poi siete vespisti (o comunque dueruotisti, via) *dovete* leggere qualcosa di questo folle con la chitarra che senza saper nemmeno cambiare la corda della frizione del suo PX200 è andato da Roma a Saigon, dall’Alaska alla Terra del Fuoco, da Melbourne a Città del Capo, in giro per tutta la Cina.
Quando vado in giro con la mia Sprint150 del ’67, per Friulandia e qualche volta Slovenia e Austria, già mi sembra di essere un esploratore ottocentesco, e torno a casa distrutto dopo 150 kilometri di asfalto. Lui nel frattempo attraversava deserti e giungle, salutava sfrizionando bambini indios in Perù o s’innamorava di donne cinesi.
Adesso vado a fare un giretto in Vespa, gli dedico il primo colpo di pedivella e il rombo di quel motore, i pensieri che quel vagabondare fa venire in mente.

Vespa passion


Venerdì 2 giugno io e Mikki andiamo al Rally dei tre confini (Slovenija, Austria, Italia), passi montani che saranno ci scommetto ancora innevati o comunque con temperature da yeti, 220 km. di tornanti, 25 vespisti che non conosco visto che si tratta di un raduno informale e quei gnogni dei Vespa Club non c’entrano niente. Spero di non bucare, per il resto la mia Sprint 150 del 1967 sembra a posto: lo scorso week-end abbiam fatto un centinaio di chilometri senza problemi.
Ieri sera dopo aver rivisto “In cerca di Amy” di Kevin Smith (poffarbacco, ecco un film che non trasmetteranno mai in Itaglia), mi sono perso in qualche decina di siti dedicati all’oggetto artistico semovente più sublime mai concepito e realizzato, sì sto parlando sempre della Vespa.
A parte Vespaonline e Vespaforever, che dopo anni di lavoro oscuro stanno finalmente diventando il vero punto di riferimento italiano del settore, ho visto nuovi siti di appassionati, pagine dedicate al restauro, ai trucchi per la manutenzione, alle discussioni e ai viaggi.
Ho visto sgocciolare amore, yes, dallo schermo. Amore per un rottame da rimettere in sesto, amore per il lento vagabondare per provinciali italiane o polverose strade in Cile, passione sensualissima per forme tonde e profumi di miscela al 2%, amore per quel momento ineffabile in cui si ingrana la prima, si appoggiano comodamente i piedi sulla pedana e si parte per un’avventura. Come mi sento bene, quando vagabondo.

Update: se avete Google Earth, cliccate qui per avere l’itinerario del giretto dei 3 confini in Vespa (e usate il tastino PLAY nei Places sulla sinistra per “prendere il tour”)

Umana_