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e-Partecipation

Non è necessario implementare subito ogni nuova tecnologia o ambiente digitale nella socialità, tuttavia si può ragionare di tecnosocialità o di paesaggi mediatici, oppure di diritti umani, rischi e opportunità.

Diventa però sì necessario esplorare le potenzialità della democrazia elettronica, dove più che gli elettroni che viaggiano dobbiamo ideare e comprendere nuove strutture tecnosociali che possano sostenere il peso della responsabilità e della affidabilità. Piattaforme o ambienti digitali partecipativi, per la consultazione o la deliberazione politica.

Innanzitutto bisogna prendere il problemone e spezzettarlo in tanti problemi più piccoli, come al solito.

Le soluzioni di e-democracy praticate in altri Paesi o città, oggi o ormai trent’anni fa, sono tutte diverse, in quanto strumenti progettati con obiettivi e risultati attesi differenti.

Va stabilita una scala di situazioni, elaborati dei modelli di intervento, dobbiamo padroneggiare in noi quote di sperimentalismo dove anziché varare un’arca di Noè gigantesca e buona per tutti si provano meccanismi locali, o dai contenuti limitati, o da forme partecipative limitate, su piattaforme governative gestite da personale qualificato e ben retribuito, per aver cura dei forum e della community locale o iperlocale.

A quel punto avremmo più dati, più informazioni, e potremmo decidere meglio i prossimi passi da compiere.

Questo perché ogni tentativo di incrementare la partecipazione è democratico, tutto qui, da qui viene la necessità di intraprendere un percorso ragionato.

Tutte le critiche e le perplessità le conosciamo da trent’anni, siano esse di carattere tecnico o giuridico o etico. Non bloccatevi di fronte al Leviatano: restate flessibili, morbidi, curiosi, critici, sappiate vedere sentieri nel bosco.

Da una parte teniamo ferma la possibilità di alimentare le democrazie rappresentative con nuovi metodi di partecipazione.

Dall’altra riflettiamo sulla gravità del fatto che i contenitori della deliberazione pubblica e (quante volte lo abbiamo già visto) poi politica siano le piattaforme commerciali che tutti, metà degli italiani, usiamo giornalmente, molte ore al giorno, ogni giorno.

Questo significa – è necessario, di nuovo – che la politica deve superare un’alienazione, sappia portare a coscienza in sé i possibili preconcetti attribuiti alle forme di partecipazione digitale, affrontarli smontarli e ricostruire un modello adeguato alla realtà odierna. Quindi progettare nuovi ambienti e strumenti di partecipazione civica, motivare le persone e le collettività a utilizzarli per il bene comune, scongiurare l’allontanamento tra cittadini e istituzioni.

Credo una simile riprogettazione sociale dei meccanismi della partecipazione e della decisionalità politica porterà nel medio termine a profonde modifiche nelle strutture sociali, nelle organizzazioni lavorative pubbliche, nella percezione e nell’azione amministrativa, nella formazione dell’opinione pubblica, nella narrazione della cultura di una nazione, nel sentimento di appartenenza a comunità edificate secondo criteri di pertinenza a noi ancora invisibili in quanto or ora emergenti dalle nuove pratiche di conversazione e dal nostro abitare digitale.

Dobbiamo navigare e aver coraggio: fatto il punto nave, dobbiamo ricalcolare la rotta verso le nuove migliori forme di democrazia partecipativa che siamo capaci di concepire e realizzare. Ci serve un buon cibernauta.

ChatGPT in campagna elettorale

Udine 2023

Ciao GPT, scrivimi per favore un dialogo tra due aspiranti sindaci di Udine, uno di sinistra e uno di destra, in un confronto televisivo sulla tematica dell’innovazione con almeno due domande del moderatore.

Moderatore

Buonasera e benvenuti al nostro confronto televisivo tra i due aspiranti sindaci di Udine. 

Signor Rossi, lei rappresenta il Partito Democratico e ha promesso di investire nell’innovazione per portare la città al livello dei principali centri europei. 

Signor Bianchi, lei rappresenta la Lega e ha promesso di concentrarsi sulla sicurezza e sulla tutela dei cittadini. Iniziamo con una domanda sull’innovazione, argomento di grande importanza per la crescita e lo sviluppo del nostro territorio. Come pensate di implementare nuove tecnologie e strategie per migliorare la vita dei cittadini di Udine? 

Signor Rossi, come pensa di attuare le sue promesse in questo ambito?

Aspirante sindaco Rossi

Buongiorno a tutti, sì, sono d’accordo con lei, l’innovazione è un tema fondamentale per il nostro Comune. Crediamo che per far crescere il nostro territorio dobbiamo puntare sull’innovazione tecnologica, sull’educazione e sulla cultura. Il nostro programma prevede la creazione di un centro di formazione per le professioni del futuro, la creazione di un fondo per la cultura e la promozione dell’innovazione nell’edilizia sostenibile. 

La mia idea è che l’innovazione debba essere promossa attraverso investimenti in infrastrutture tecnologiche e formazione delle risorse umane, creando un incubatore per le start-up, che possa offrire spazi e servizi per supportare l’avvio e lo sviluppo di nuove imprese innovative. Inoltre, vorrei investire in infrastrutture digitali, come la banda larga e il 5G, per garantire un’adeguata connettività e favorire la crescita delle attività digitali. Tuttavia, penso che sia importante non trascurare l’aspetto sociale e culturale. Ad esempio, vorrei creare un programma di educazione digitale per i giovani, per garantire loro le competenze necessarie per accedere alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Inoltre, vorrei promuovere l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili per ridurre l’impatto ambientale.

Moderatore

Signor Bianchi, come si pone rispetto alle proposte del signor Rossi?

Aspirante sindaco Bianchi

Buongiorno a tutti, anch’io sono d’accordo che l’innovazione sia un tema fondamentale per il nostro Comune. Tuttavia, credo che dobbiamo essere anche molto attenti a come e dove investiamo i nostri soldi. Non dobbiamo dimenticare che Udine è un comune piccolo e che abbiamo bisogno di investire in cose concrete e utili per i cittadini. Il nostro programma prevede l’investimento in infrastrutture per la mobilità sostenibile, la creazione di un centro di innovazione per le PMI locali e la promozione di progetti di agricoltura innovativa per supportare i nostri contadini. Per promuovere l’innovazione nella città di Udine, propongo di attrarre grandi aziende high-tech per creare opportunità di lavoro e investimenti. Inoltre, vorrei creare un programma di incentivi per le piccole e medie imprese che investono in innovazione e tecnologia. Sono d’accordo sull’importanza dell’innovazione, ma penso che la sicurezza dei cittadini debba venire prima di tutto. Per questo, vorrei investire in tecnologie per la videosorveglianza e in sistemi di allarme per garantire maggiore sicurezza alle persone. Inoltre, vorrei promuovere l’occupazione attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro nell’ambito della sicurezza e della tutela dei cittadini. La mia proposta è quella di creare un programma di smart city, che prevede l’utilizzo di tecnologie avanzate per migliorare la qualità della vita dei cittadini. Ad esempio, l’installazione di sensori per il controllo del traffico, l’implementazione di un sistema di videosorveglianza intelligente e la creazione di una piattaforma digitale per la gestione dei servizi comunali.

Moderatore

Molto interessante, passiamo alla seconda domanda. Come pensate di coinvolgere i cittadini nella progettazione e nella gestione delle iniziative di innovazione?

Signor Rossi

Ritengo che la partecipazione attiva dei cittadini sia fondamentale per garantire che le iniziative di innovazione siano in linea con le loro esigenze e desideri. Per questo motivo, vorrei creare un sistema di consultazione online che consenta ai cittadini di esprimere le loro opinioni e di partecipare alle decisioni. Inoltre, vorrei creare una task force composta da esperti e cittadini per valutare e selezionare le proposte di innovazione.

Signor Bianchi

La partecipazione dei cittadini è fondamentale. Vorrei creare un sistema di co-progettazione che coinvolga i cittadini nella progettazione e nella gestione delle iniziative di innovazione. Inoltre, vorrei organizzare incontri periodici con i cittadini per discutere le iniziative in corso e raccogliere i loro feedback. In questo modo, potremo garantire che le iniziative (qui si è bloccato)

Moderatore

Grazie, signori. E come pensate di finanziare questi progetti?

Aspirante sindaco Rossi

Il nostro programma prevede l’utilizzo di fondi europei e nazionali, oltre a una stretta collaborazione con le imprese locali e le università del territorio. Inoltre, crediamo che sia importante creare un ambiente favorevole per gli investimenti privati, in modo da attrarre nuove imprese e nuovi investitori, creando appunto partnership con il settore privato per l’area di incubazione per startup innovative.

Aspirante sindaco Bianchi

Anch’io credo che sia importante utilizzare fondi europei e nazionali per finanziare i nostri progetti. Tuttavia, dobbiamo essere molto attenti a come utilizziamo i soldi dei cittadini, per questo il nostro programma prevede una stretta collaborazione con i cittadini stessi, per capire quali sono le loro esigenze e investire di conseguenza. Inoltre, crediamo che sia importante promuovere l’economia locale, supportando le PMI locali e le attività commerciali del territorio.

Moderatore

Grazie signori per le vostre risposte. Siamo giunti alla fine del confronto televisivo sulla tematica dell’innovazione. Buona fortuna nella campagna elettorale.

Democrazia diretta

Ragionando.

Questa nuova cosa della “firma digitale” per i referendum – eutanasia, obiettivo raggiunto; cannabis, 100k firme in 24ore, obiettivo 500k per il 30 settembre – potrebbe cambiare parecchio i giochi degli strumenti di democrazia diretta previsti dalla Costituzione, incidendo significativamente sul sistema normativo.

In Italia ci sono oltre 35 milioni di persone su Facebook, ma consideriamo e teniamo fermo il dato dei 15 milioni di accessi giornalieri (stima al ribasso) soprattutto via mobile.

In Italia ci sono 24 milioni di SPID. Si può firmare anche con SmartCard o chiavette USB o altri modi autenticandosi, ma la vedo più farraginosa.

Incrociando i dati con approccio spannometrico, direi che dieci milioni di persone almeno vedranno la promozione del referendum online, per i prossimi venti giorni. Se una persona ogni venti firmasse l’obiettivo verrebbe raggiunto.

Magari adesso, all’apparir della novità, la curva della partecipazione mostra un picco statistico. Tra due anni, con in mezzo le proposte di altri venticinque referendum, ci saremo annoiati.

Dipenderà quindi dall’argomento del contendere, da quanto sarà sentito il problema dalla popolazione, e questo ci conduce agli strumenti di promozione, ovvero persuasione, ovvero manipolazione dell’opinione pubblica, ovvero soldi per le sponsorizzate, campagne di crowdfunding, ricerca di testimonial e influencer.

I soldi servono anche agli enti proponenti dei referendum, in quando la validazione dell’espressione popolare costa circa un euro per ogni firma, e così siamo già a mezzo milione di euro più le promozioni di cui sopra. Non si tratta solo di mettere online un dispositivo per la raccolta firme (costoso anch’esso), la macchina è un po’ più complessa (certo, anche predisporre banchetti nelle piazze costa), e forse con simili soglie di accesso economiche non si tratta proprio di una libera e gratuita partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese.

Insomma, potremmo vederne delle belle.

Un muro. Foto presa da Corriere.it

Non è un Voi, è un Loro.

Non è un Voi, è un Loro.

Questa foto è un muro, e come tale va figurativamente interpretata.
Poi vengono le parole.

Le parole utilizzate dai capi di Stato, molti di loro già smascherati come ipocriti per l’incoerenza tra le loro azioni passate e la loro presenza a Parigi, sono specchi per parlare di sé, ombelicali, emblema di chiusura: Hollande parla di “Parigi capitale del mondo”, ponendo un Noi ineluttabile; Renzi parla dei “nostri” valori”; Netanyahu pone esplicitamente “il nemico”; Cazeneuve parla subito di frontiere da controllare, includendo internet quale luogo dove far rimuovere da parte di società web contenuti illegali, dichiarazione apologetiche, incitamenti all’odio.

Non dimentichiamoci che alcune scelte sono state fatte subito, stabilendo chi invitare e chi lasciare fuori, a esempio movimenti politici francesi certo scomodi per la linea che si voleva dare alla rappresentazione teatrale di ieri, senza considerare che proprio questo fare contraddiceva le parole che si intendevano pronunciare.

Sul piano discorsivo, appunto, l’intera retorica della manifestazione trasuda chiusura, pone un NOI fittizio, artatamente costruito e messo in scena come omogeneo, che come conseguenza nell’alveo del discorso istituisce non un VOI — sarebbe un attore legittimo del Dialogo, interlocutore ratificato — ma un LORO, estraneo, intoccabile, ignoto e incomprensibile, minaccioso.

Una mancanza di apertura, un ritorno al noto e al medesimo, una denegazione dell’Alterità, in un discorso nettamente politico, il quale non tiene in considerazione le conseguenze del proprio dire, essendo tutto ripiegato su sé stesso, muro contro muro.

Non so se la miccia sia accesa, ma so che gettare benzina è stupido.

Critica della democrazia digitale, con Fabio Chiusi

reblogLa democrazia è una tecnologia. Un artefatto concettuale, che poi diventa metodo e prassi. Strumento di civiltà che la collettività sceglie da sé, per sé stessa. Qualcosa che abbiamo inventato progettato e cerchiamo di applicare, su cui possiamo intervenire per migliorarla. Un modo storico per garantire una maggiore qualità dell’Abitare, seguendo certi valori che riteniamo prioritari. Nel tempo, cambiano i valori, cambiano i modi. Oggi si parla di democrazia digitale. E forse la narrazione di queste nuove forme di partecipazione e rappresentatività e decisionalità merita uno sguardo capace di discernere, una critica.

Per Vicino/lontano e Friuli Future Forum domani alle 18.00 alla Libreria Tarantola a Udine chiedo a Fabio Chiusi di raccontare ombre e luci di una innovazione tecnosociale che riguarda tutti noi.

vicinolontano.it/eventi/critica-della-democrazia-digitale/

Democrazia di prossimità

Mi chiedevo delle differenze tra democrazia rappresentativa e democrazia deliberativa (di prossimità), ho cercato un po’ in giro, qualcosa ho trovato. Sarebbe certo da intraprendere una bella discussione con chi ne sa di più.
Qui un articolo interessante riguardo le forme di democrazia su politicadomani.it
Qui un pdf sulla democrazia di prossimità e l’integrazione europea
Qui su LabSus Laboratorio per la Sussidiarietà un confronto tra vari esempi internazionali di democrazia partecipativa
Qui due esempi italiani: la democrazia di prossimità e le leggi regionali 67/2007 Regione Toscana e 3/2010 Regione Emilia Romagna
La finalità è quella di ragionare sulla possibilità di affidare a organizzazioni civili alcune grandi decisioni come il governo del territorio, le grandi infrastrutture, la tutela dell’ambiente. Altrove qualcosa si è realizzato: esempi di forme di partecipazione popolare di tipo deliberativo sono state adottate in Francia, con la legge sulla “democrazia di prossimità” che impone il dibattito pubblico per le decisioni di lunga durata; nel Nord America, dove si vanno diffondendo i “forum deliberativi” (nel senso descritto da J. Fishkin); in Gran Bretagna, con le “giurie cittadine” e le “commissioni civiche” recentemente promosse da Gordon Brown, che possono far valere le loro ragioni su questioni di pubblico interesse (sanità, infanzia, crimine).
E non sto dicendo niente che non sia già nell’articolo 5 della Costituzione, eh.
Art. 5
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

Smart-city = decrescita

Unisco due passioni, diciamo così.
Ovviamente la smartcity è da interpretare come relazione tra città e collettività che la abita, nelle sue competenze e conoscenze. Con il solito parallelo tra hardware (gli edifici, le piazze, la sensoristica, la fibra ottica, il wifi) e i comportamenti umani software (i flussi di merci persone e informazione, l’abitare i media e i linguaggi, l’esercitare cittadinanza attiva) è da porre l’attenzione alla relazione tra gli elementi, oltre all’analisi degli elementi. Come un buon informatico, che è tale quando pone l’attenzione tra risorse e programma, e quindi progetta. Come un antropologo, peraltro, come uno psicologo post cognitivista, come un linguista post strutturalista, come tutta l’intelligenza dei pensatori bravi della seconda metà del ‘900 ci ha insegnato. Porre l’attenzione alla relazione, e quindi al contesto. Quel qui e ora dove avviene pragmaticamente la comunicazione, con i suoi impliciti e i suoi non detti. Gli automatismi, le abitudini.
E un’abitudine da spezzare è quella della pessima aura che la parola decrescita si porta dietro, come diminuzione, povertà, riduzione, de- qualcosa.
Meglio morigeratezza, sobrietà, o comunque ottimizzazione delle risorse e dei processi per sfruttare le risorse stesse, la qual cosa è proprio la linea d’intenti di una decrescita correttamente intesa. Tramite strumenti come filiere corte, distretti di economia solidale, incontro locale domanda e offerta, democrazia di prossimità. 
Non pensate al perché, pensate al come. Siate un po’ tecnologi, visto che viviamo in ambienti tecnologici da almeno due milioni di anni, e non eravamo nemmeno uomini quando addomesticavamo il fuoco.
E qui parlo di sistemi, metodologie, meccanismi per gestire la complessità dei luoghi in cui abitiamo ora.
Luoghi che noi stessi abbiamo inventato, il paesaggio è un oggetto tecnologico tanto quanto un prosciutto o un sistema elettorale, e quindi si tratta di cose che abbiamo progettato e realizzato e via via migliorato nel tempo, migliorandone la tecnologia.
La smart-city (o porzioni di territorio anche miste rurali, non solo metropolitane: la connettività è indifferente alla geografia) è social, e la collettività è il motore e il destinatario, la qualità del vivere da perseguire. Si tratta di ambienti economici basati su relazioni umane, e la città connessa è il sistema operativo del funzionamento. E’ anche il luogo della coscienza collettiva, della pubblica opinione, della formazione delle identità, della loro negoziazione e patteggiamento in termini interpersonali e gruppali, è il posto dove gli accadimenti diventano fatti storici.
Ecco perché ottimizzare la smartcity è qualcosa che va in direzione della decrescita, perché ottimizza sistemi produttivi e distributivi di beni e servizi, perché incrementa e moltiplica la partecipazione della collettività alla vita pubblica, decrescendo da un sistema (meccanismo) di rappresentatività politica e gestione amministrativa del territorio molto verticale, roccioso, gerarchico, fortemente strutturato, a modalità più liquide, orizzontali, partecipative.
Non abbiamo ancora una grammatica ben fondata per padroneggiare i nuovi linguaggi della partecipazione permessi dalle nuove tecnologie di connettività, non sappiamo parlare bene e ci stiamo inventando le parole più adeguate a denotare i fatti del mondo, ma d’altronde sette anni fa non c’era neanche Facebook, e non sapevamo nulla, solo vagheggiavamo possibilità. Siamo nella culla, as usual.
Credo anche che possedere molti dati su quanto avviene sui territori geografici, a vari livelli di pertinenza (iperlocale, comunale, regionale, etc.), sui flussi di persone beni e informazioni, sia fondamentale e necessario per poter analizzare dinamiche abitative e progettare migliorìe. Open data ovunque, di ogni tipo, dati crudi e già rielaborati, sintesi e spaccati, tutti devono pubblicare tutto, per trasparenza, per contribuire a rendere di migliore qualità l’abitare.

voglio sapere TUTTO. Disaggregate i dati, fate quello che volete. Propongo tra l’altro la distinzione tra dati caldi (sensibili) e freddi (quelli insensibili ehehehe). Voglio sia possibile sapere tutto di un’area geografica. Voglio sapere cosa facciamo come collettività MENTRE viviamo, voglio saper CHI SIAMO. E quindi capir come ottimizzare i nostri comportamenti, uscire da nevrosi di massa, coltivare la nostra personalità, rifinire il nostro stile dell’abitare come muffa su questo pianetucolo, voglio un’identità.

Questo era un mio commento su FB, dentro una discussione un po’ bislacca e quindi piuttosto libera su una correlazione tra fasi lunari e reati o comportamenti “devianti”, un mio vecchio pallino, che mi ha portato a scrivere il presente post.

Risultati attesi

6 idee per un Paese digitale, un’Italia 2.0, di Francesco Nicodemo:
  1. Italia 2.0 è fatta di cittadini che non hanno alcuna difficoltà con questa tecnologia, dove lo spread digitale è minimo, indipendentemente dall’età e dalla classe sociale, perché sono rimossi tutti gli ostacoli di ordine sociale ed economico. Un Paese digitale in cui per i cittadini e per i migranti l’accesso alla Rete è sempre possibile e da qualsiasi luogo, che sia una piazza, una strada, un ufficio pubblico, una biblioteca, o persino sul tram.
  2. Italia 2.0 significa servizi online al cittadino, dall’anagrafe alla sanità, e servizi via web alle imprese, specialmente quelle piccole, su cui pesa la lentezza e la farraginosità della burocrazia.
  3. Italia 2.0 è integrazione dei nuovi cittadini attraverso gli strumenti di inclusione sociale ed è partecipazione democratica, trasparente e aperta attraverso il coinvolgimento dei cittadini nel progettare il futuro comune e nel giungere a scelte condivise.
  4. Italia 2.0 è open data, libera i dati della PA e li mette a disposizione di tutti gratuitamente, affinché ognuno li utilizzi per sviluppare idee innovative, sui trasporti, sull’ambiente, sui rifiuti, e persino sugli orari della movida, perché la città digitale riduce i consumi, migliora i trasporti, contiene la spesa, abbatte l’inquinamento.
  5. Italia 2.0 facilita la creazione di migliaia di posti di lavoro del futuro, quelli legati al mondo del digitale, avendo la consapevolezza che non occorrono colate di cemento o capitali immensi, perché il digitale ha bisogno soprattutto di cervelli e di ambienti congeniali in una Paese che favorisce l’applicazione del digitale a tutti i settori produttivi.
  6. Italia 2.0 è trasversale e tocca tutte le attività: cultura, infrastrutture, economia, alfabetizzazione, inclusione, democrazia, lavoro.


e-Gov: Il Comune di Udine conversa coi cittadini

Il Comune di Udine mira a un e-government moderno. Trasparenza e semplificazione sono valori imprescindibili, prescritti dalla stessa Legge ministeriale (Bassanini, Stanca, Brunetta… vedi qui) per l’innovazione della PA.
Ma c’è di più, ed è una bella novità: prima di pubblicare il Regolamento, il Comune chiede la partecipazione dei cittadini, per migliorìe e suggerimenti. E’ tutto disponibile sul documento wiki, possiamo iscriverci e lasciare le nostre osservazioni. Mi sembra l’atteggiamento corretto.

PA e comunicazione 2.0 – Bergamo

Oggi vado a Bergamo, domani ho una docenza per IDM presso l’Università. Qui trovate il corso specifico, rivolto a amministratori di Enti locali, sindaci assessori e quant’altro.

Comunicazione su web, strumenti per l’ascolto del territorio, e-democracy e e-government, Codice dell’Amministrazione Digitale, backoffice e frontoffice, quelle cose lì.

Qui sotto la presentazione per organizzarmi il preambolo.

Dài, che cade la Pisanu e il prossimo anno bloggo dal bar

Lo dice Maroni, questo pessimo decreto Pisanu sarà modificato e si potrà navigare liberamente anche nei wifi italiani. Oddio, liberamente è parola grossa, ci sono delle complicazioni, ma non si sa ancora bene niente. Leggete Zambardino o Maistrello per altre info e considerazioni.
E’ molto tempo che ne parliamo, l’altr’anno firmammo anche una Carta dei Cento per il Libero Wifi.
Quello che vorrei dire io è che l’atteggiamento di Maroni mi sembra quello di chi fa una concessione, e la qual cosa mi sta sommamente e pesantemente sui coglioni.
Hanno bloccato la società per cinque anni, siamo terribilmente indietro, e lui con l’aria di chi dice “Comunque controllare è giusto, eh? Dobbiam sapere tutto. Alleggeriamo giusto un po’ i vincoli.” elargisce il giocattolo.
E quindi, tagliamo la fuffa: io vorrei sapere quante indagini di polizia o di un magistrato su questioni di terrorismo sono state impostate in italia negli ultimi cinque anni, che abbiano riguardato o consultato i tabulati delle connessioni pubbliche. Voglio i fatti, i numeri, le quantità. Voglio sapere se questo pateracchio tutto itaiano ha fatto del bene al paese, oppure voglio sapere se negli altri Paesi europei o negli Stati Uniti, dove non si dà il caso che il wifi sia disponibile solo dopo autenticazione, sono cretini a non averlo fatto.
Eppure i proverbi parlan chiaro: “se sembra che tutti ti vengano addosso, sei tu che sei in contromano”.

Empowering communities

Un bell’articolo di Ernesto Belisario, su Apogeonline.

L’Open Govenrment è un’opportunità concreta di ottenere, attraverso la rete, un’amministrazione più efficiente e una migliore democrazia. Quest’opportunità, però, può essere colta solo a patto di comprendere che il vero cambiamento è fuori dal Palazzo e che la vera innovazione non è nelle tecnologie.

Scrivere storie sulle geografie

L’argomento è quello della partecipazione delle collettività alla costruzione simbolica dell’identità di un territorio, lo stile e le azioni delle comunità che lo abitano. Ma non solo di immaginario stiamo parlando: le forme di emersione di nuove dimensioni e orientamenti dell’opinione pubblica locale possono tranquillamente farsi carico di tematiche molto più concrete, a esempio l’organizzazione logistica del tessuto urbano, la viabilità o lo spostamento di cose e persone, o dell’informazione quando ragioniamo di piattaforme istituzionali per la partecipazione della cittadinanza a forme di progettazione sociale condivisa e collaborativa, la vera conversazione tra Ente locale e cittadini.
Nel primo caso il fare comunicativo della comunità locale, l’insieme dei discorsi e delle posizioni dei parlanti riguardo a descrizioni fisiche o sul funzionamento concreto di un ambiente urbano, come pure valutazioni estetiche sul paesaggio o sulle filiere di distribuzione economiche e produttive locali, contribuiscono con la loro polivocalità a dipingere l’immagine dinamica di quel territorio, per come essa emerge dall’incessante conversazione sociale oggi potenziata e resa visibile e perfino abitabile dal web moderno.
Banalmente e prendendo l’esempio con le molle, proviamo a pensare ai primi cento risultati che Google offre ricercando “Friuli Venezia Giulia”, e avremo una fotografia statistica (e dinamica) di questo territorio, dove solo alcune voci saranno comunicazione istituzionale progettata e pubblicata, mentre altre occorrenze emergeranno dai ragionamenti pubblicati da qualche blog importante della zona, da forum di discussione, da conversazioni tenutesi su qualche social network, da siti commerciali che fanno del collegamento al territorio un loro punto di forza nel marketing, da testate giornalistiche che riflettono gli accadimenti locali. 
Il FVG agli occhi del mondo è questo. L’insieme delle narrazioni autoriferite di un territorio è la sua carta d’identità, è una scrittura collettiva di una storia (o meglio, storie) sopra una geografia, per dirla con parole di Carlo Infante, dove diventa possibile far interagire autopoiesi delle collettività umane (il continuo produrre senso connaturato al fare umano) con le mappe satellitari, diventa possibile concepire dei geoblog e altre diavolerie capaci di connotare gli accadimenti in modo georeferenziato. 
E’ dove l’orizzontalità dei sistemi relazionali umani incontra la verticalità di uno sguardo più ampio del proprio cortile e della propria cerchia amicale, avendo come fine talvolta esplicito innanzitutto la “messa in scena” del territorio, e in seguito la sua eventuale ottimizzazione, se stiamo indagando quei Luoghi di comunicazione dove tutti insieme potremmo provare a studiare e decidere le mosse migliori da compiere per il bene della collettività.
In questo secondo caso abbiamo a che fare concretamente con la partecipazione della cittadinanza nella progettazione e nel miglioramento della qualità della vità di un dato territorio, grazie a quei Luoghi riflessivi costituiti dalle piattaforme web per la partecipazione civica, in misura consultiva e nel prossimo futuro anche in misura decisionale, secondo le indicazioni di una e-Democracy intesa in senso forte.
Qui però ci sono degli ostacoli diciamo così tecnici, perché sebbene questi Luoghi web di partecipazione esistano già da qualche anno (le reti civiche telematiche essendo i progenitori), solo recentemente e solo grazie a una impostazione nativamente 2.0 ovvero centrata sulla produzione e distribuzione di contenuti da parte degli utenti stessi si è riusciti a mettere online dei software-piattaforma che permettano di svolgere dignitosamente questa notevole attività di intercettazione, visibilità e organizzazione delle tematiche “calde” che emergono da una comunità geolocalizzata.
Gigi Cogo oggi segnala una piattaforma interessante, e condisce il tutto con altrettanto interessanti ragionamenti (anche qui e qui).

Le nuove Linee Guida ministeriali per i siti web delle Pubbliche Amministrazioni

Su iniziativa del Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, sono state pubblicate le nuove Linee guida per i siti web delle PA, Innovazionepa.gov.it ne parla qui, trovate anche il link per il pdf.
Come al solito, quelli del Formez e le commissioni ministeriali pare abbiano fatto un buon lavoro: sono ben trattati i temi della usabilità, dell’accessibilità, le metodologie e gli stumenti per la progettazione razionale e efficace dei Luoghi web della Pubblica Amministrazione,vengono messe in primo piano le tematiche della qualità della comunicazione (trasparenza, visibilità dei contenuti, policy), viene sottolineata l’importanza dei formati aperti e vengono delineati alcuni criteri per sollecitare l’espressione della valutazione del servizio da parte degli utenti.
Dico come al solito, perché anche la famosa legge Stanca 150 del 2001, sulla comunicazione pubblica, era meritoria in quanto a visione generale, così come le linee guida uscite successivamente, verso il 2004, a cura del Formez, oppure le indicazioni successive ministeriali per la qualità della comunicazione delle Pubbliche Amministrazioni erano perfettamente centrate e aggiornate sulla necessità di fornire al cittadino, in ottica e-government, una praticabilità netta e senza ombre di quanto le PA devono produrre e pubblicare, per legge.
E giustamente, il cittadino era ed è sempre posto al centro del processo comunicativo.
Ma in italia il problema, lo sappiamo, non è certo fare delle leggi, che anzi proliferano senza sosta. Il problema è nella loro applicazione.
Se le PA locali, le Scuole e i Comuni e la Regione adottassero rapidamente queste linee guida, in un’ottica di miglioramento continuo della qualità della comunicazione tra l’Istituzione e i cittadini – l’importante è cominciare, e queste indicazioni vanno già benissimo – già potremmo dire di essere un po’ più civili, nel sentirci convolti come parte attiva nel dialogo sull’amministrazione della cosa pubblica.
Una segnalazione: queste Linee guida escono in “beta”, ovvero come versione preliminare.
Sono stati infatti attivati dei Luoghi di discussione presso i siti ministeriali, dei forum tematici ben articolati, dove tutti possiamo contribuire al miglioramento stesso delle indicazioni, in una concezione collaborativa, un crowdsourcing, delle attività.
E’ un bel segno, sempre che non resti tutto sulla carta*.
* “restare sulla carta” è metafora linguistica risalente all’epoca precedente l’attuale, decisamente inadeguata nella lettera a cogliere le peculiarità di una legge ministeriale pubblicata in formato elettronico su siti governativi, per gestire la comunicazione su web delle Pubbliche Amministrazioni.
Il suo significato metaforico, invece, indica il fatto che poi nulla cambi, nulla si sviluppi in senso concreto, niente si trasformi in azione.
Esattamente il mio timore. Insomma, speriamo queste Linee guida non rimangano sui bit, ma diventino comportamenti concreti e atteggiamenti trasparenti delle PA, del loro voler comunicare bene con i bit.

Cybercensura

Ma quanto può dare fastidio ai Governi che in rete si parli liberamente, al punto da censurare la pubblicazione di contenuti o impedire la navigazione?
Reporters Senza Frontiere ha diffuso un documento che fotografa la situazione mondiale, Stato per Stato, e c’è molto da imparare, molto a cui stare attenti.
Il documento completo è qui, trovate una sintesi presso il Nichilista.