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Ecolinguistica e discriminazione sociale

L’ecolinguistica offre un quadro interdisciplinare per comprendere e contrastare le discriminazioni linguistiche, tutelare la diversità culturale e promuovere la giustizia sociale. La valorizzazione delle lingue minoritarie e la tutela dei diritti linguistici sono pilastri per la costruzione di una società più inclusiva e sostenibile.

L’ecolinguistica è un campo di studi relativamente nuovo, emerso negli anni Novanta dello scorso secolo, che si propone di analizzare il legame profondo tra linguaggio e ambiente. In sintesi, gli ecolinguisti studiano come la lingua di una comunità rifletta e plasmi il rapporto con l’ambiente naturale e culturale in cui ogni comunità vive. Questo rapporto in realtà racconta qualcosa di una storia secolare, di un dialogo ininterrotto tra una collettività umana e il proprio territorio di residenza, dove il linguaggio diventa specchio e motore di cambiamento, segno vivente dell’originale stile dell’abitare e costruire relazioni per ciascuna comunità di questo pianeta.

L’approccio ecolinguistico può essere ben compreso se incardinato su alcuni punti chiave concettuali e operativi: innanzitutto dobbiamo porre lo sguardo sulla relazione tra testo e contesto, ovvero sui modi concreti in cui i linguaggi quotidiani codificano e trasmettono conoscenze, valori e credenze legate all’ambiente circostante naturale e antropico, peraltro appunto in un modo sempre unico e autentico per ogni lingua esistita ed esistente su questo pianeta, per ogni comunità linguistica.

In secondo luogo, quale corollario, abbiamo la necessità di tenere in considerazione l’effettivo impatto psicologico e sociologico delle parole e delle grammatiche circolanti, ovvero come il linguaggio e i mezzi di comunicazione di massa influenzino il modo stesso in cui percepiamo e interagiamo con la realtà, nominando il mondo. Per esempio, l’espressione “tentacolare metropoli” suggerisce emozioni diverse rispetto a “ridente cittadina”, modificando fattivamente i comportamenti degli individui. Oppure capiamo bene che dire “la natura è una risorsa” già presuppone un mercato e uno sfruttamento, dove la “crescita” economica diventa lo “sviluppo”, soprattutto quando questo viene poi raccontato come “progresso”.

La diversità linguistica è biodiversità

Possiamo stabilire un parallelo, sfruttando simile approccio ecolinguistico, tra diversità linguistica e biodiversità: la scomparsa di una lingua significa la perdita di una preziosa conoscenza e di una visione del mondo legata a una determinata cultura e società, proprio come l’estinzione di una specie vivente rappresenta la scomparsa di un DNA prezioso perché unico, ritagliato dalla selezione naturale per essere il più adatto alla sopravvivenza in un dato ambiente.

La ricerca ecolinguistica non può non levare un grido contro la gravissima perdita di diversità culturale dovuta alla progressiva scomparsa di centinaia di lingue o alla graduale perdita della loro funzione comunicativa. Il “Libro Rosso Unesco delle lingue in pericolo” costituisce da tempo uno strumento importante, che ha spinto studiosi e ricercatori ad analizzare cause ed effetti di questo grave fenomeno.

Conseguentemente, diventa necessario giungere a pratiche condivise di ecologia linguistica per lo studio della vitalità e della sostenibilità delle lingue. L’obiettivo resta esplicito, nient’altro trattandosi che di promuovere politiche linguistiche condivise che favoriscano la promozione delle lingue minoritarie e la loro adattabilità ai cambiamenti ambientali, per la ricchezza culturale di tutti.

L’ecolinguistica è un campo di studio necessariamente interdisciplinare che si avvale di linguistica, sociologia, antropologia, ecologia e altre discipline per indagare la complessa relazione tra esseri umani, lingua e ambiente, dove questo legame si intreccia inevitabilmente con le dinamiche sociali ed etniche. Sappiamo bene inoltre come la lingua, strumento per descrivere e agire il mondo, contenga necessariamente in sé un riflesso delle strutture di potere e delle gerarchie sociali.

La relazione tra ecolinguistica e discriminazione sociale si manifesta quando giungiamo a osservare fenomeni culturali di prevaricazione o addirittura annientamento di gruppi sociali contraddistinti da peculiarità identitarie, di cui la lingua è il segno più evidente. Abbiamo allora una vera discriminazione linguistica fondata anche solo sul lessico utilizzato o sull’accento dato alle parole, e questo può accadere in contesti lavorativi, scolastici o nella vita quotidiana. Chi parla con un accento regionale può essere visto come meno intelligente o competente, nell’opinione comune.

Ecolinguistica e potere

Per poter agire contro queste ingiustizie dobbiamo essere in grado di riconoscere le ideologie, le credenze e le strutture di potere che legittimano la discriminazione linguistica e la disuguaglianza tra gruppi sociali, comprendendo fenomeni come la marginalizzazione di lingue minoritarie, l’imposizione di una lingua dominante e la perdita di biodiversità linguistica: sotto sotto vi è sempre una sorta di etnocentrismo linguistico, ovvero la tendenza a considerare la propria lingua e cultura come superiori a quelle degli altri, congiunto a un colonialismo culturale talvolta decisamente aggressivo, se non addirittura violento.

Un approccio ecolinguistico serve per smascherare ideologie, false coscienze, egemonie culturali spesso misconosciute alle stesse comunità linguistiche di riferimento. Precisi codici linguistici costituiscono il linguaggio della sottomissione, gli strumenti innanzitutto concettuali del discorso egemone delle classi dominanti, e dell’elaborazione di una “falsa coscienza” negli strati sociali, mascheramenti e infingimenti di cui è difficile accorgersi e liberarsi, essendo profondamente incisi nella costruzione delle nostre identità come individui e come comunità.

Proprio qui si manifesta la necessità di elaborare e tenere sempre desta l’attenzione per una analisi critica del discorso – sulla scorta degli studi di Michel Foucault – per mettere in luce le relazioni che intercorrono tra il Potere e i messaggi circolanti finalizzati all’informazione e alla formazione delle persone e delle comunità, svelando precise caratteristiche strutturali dei testi, come la gerarchia degli argomenti trattati, gli espedienti retorici utilizzati, il tipo di argomentazione e la caratteristiche espressive.

Raggiunta la consapevolezza su questi meccanismi – che vivono spesso nelle aree grigie del non-detto delle pratiche linguistiche quotidiane – possiamo grazie all’ecolinguistica procedere al disvelamento delle dinamiche di potere, decostruendo quelle stesse ideologie linguistiche che legittimano la discriminazione e la disuguaglianza. Attraverso l’analisi del discorso e delle pratiche linguistiche dominanti è possibile identificare i luoghi discorsivi (del discorso pubblico, della politica, dei media) dove viene praticata esclusione e marginalizzazione di determinate varietà linguistiche.

Nella sua più piena manifestazione, l’analisi critica del discorso pubblico comprende l’analisi di qualsiasi discorso che abbia potenziali conseguenze negative per il futuro degli ecosistemi, come nel caso della teoria economica neo-liberista e della costruzione discorsiva del consumismo, delle questioni di genere, della politica, dell’agricoltura e della natura. L’analisi eco-critica del discorso non si limita a focalizzarsi sullo smascheramento delle ideologie potenzialmente dannose, ma cerca attivamente rappresentazioni discorsive che possano dare un contributo sostanziale ad una società ecologicamente sostenibile.

Vi sono certo azioni concrete che si possono intraprendere o che si sono già intraprese, sempre con garanzie legislative e soprattutto coperture finanziarie adeguate per sostenere attivamente le politiche linguistiche: le lingue minoritarie vanno innanzitutto incluse nei programmi scolastici, nei media e nei contesti pubblici, per il loro riconoscimento e la loro valorizzazione.

Con campagne di comunicazione istituzionali, incardinate su politiche linguistiche che garantiscano il diritto di ogni individuo di usare la propria lingua in modo libero e dignitoso, possiamo lottare contro i pregiudizi linguistici, sensibilizzando l’opinione pubblica sui danni della discriminazione linguistica, confidando invece nella promozione della diversità linguistica, incarnando atteggiamenti di rispetto verso tutte le lingue e le culture.

Pubblicato originariamente qui su Il Passo Giusto

Accelerazionismo di destra, tecnofeudalesimo, delirio

Ci sono da sempre, in ogni tempo, fenomeni sociali in elaborazione profonda, di cui non siamo consapevoli. Mancano parole per etichettarli e comprenderli, per portarli alla percezione e alla comprensione, alla diffusione. Come la punta dell’iceberg, dove in realtà ci sfugge la massa colossale di quanto è sotto la superficie del mare, in questo caso ci sfugge quell’agitarsi di parole, ideologie, processi, prassi sociali che vivono sotto la soglia della coscienza collettiva. Forse presenti, non ancora tematizzati, soltanto nei gesti o nei pensieri di qualcuno; forse approcci soltanto verbalmente espressi nei piccoli gruppi (la “cinghia di trasmissione” delle innovazioni sociali, dall’individuo alle masse) nei bar o nei circoli esclusivi che poi diventavano manoscritti o pamphlet o manifesti, ma di certo non subito resi noti tramite pubblicazioni o diffusione sui massmedia come oggi, per diventar alla fine (“il destino di un segno è fissarsi in una credenza”, C.S. Peirce, a memoria) dopo lungo cammino possesso stabile dell’opinione pubblica.
Se vogliamo abbiamo quella famosa frase di Victor Hugo per svelare la questione, ovvero che “niente è più irresistibile di un’idea il cui tempo sia giunto”, oppure quell’ottimo concetto della “finestra di Overton”, per provare a descrivere i meccanismi della comparsa e dell’accettazione sociale delle idee innovative, in quella che propriamente può essere analizzata come Storia delle idee, dignitosissima disciplina anche accademica, purtroppo assai trascurata.

Il concetto emergente per la comprensione della realtà sociopolitica odierna, in termini planetari, è “accelerazionismo”.

L’accelerazionismo si manifesta, nel panorama politico e sociale contemporaneo, in diverse forme e con obiettivi spesso contrastanti. Non è più relegato a circoli filosofici o marginali, ma sta trovando eco in dibattiti più ampi e influenzando, in modi a volte sottili e a volte più espliciti, movimenti e ideologie, nonché le scelte politiche attuali. Una delle ragioni della sua crescente rilevanza risiede nella diffusa sensazione di insoddisfazione nei confronti dello status quo, per quelli che percepiscono una sorta di lentezza o un’incapacità dei sistemi politici tradizionali di affrontare sfide globali urgenti come il cambiamento climatico, le disuguaglianze economiche o l’impatto delle nuove tecnologie. Per chi pensa di avere le soluzioni e vuole comandare, senza mezzi termini, la democrazia stessa è vista come un ostacolo, o per lo meno come un metodo obsoleto per la gestione delle società umane. 

In questo contesto, l’idea di “accelerare” i processi, di forzare un cambiamento radicale piuttosto che affidarsi a riforme graduali, acquista un certo fascino per chi è frustrato dalla lentezza del progresso o, al contrario, teme un declino inarrestabile.

L’accelerazionismo non è un’ideologia monolitica. Esistono diverse correnti, spesso in tensione tra loro. Un filone, spesso definito di “sinistra”, mira ad accelerare le contraddizioni del capitalismo per giungere a un superamento del sistema stesso e all’instaurazione di modelli sociali più egualitari e sostenibili. Questo filone può guardare alle potenzialità trasformative delle tecnologie o alle dinamiche di conflitto sociale come motori di un cambiamento necessario. C’è tutta una genealogia dei pensatori che hanno contribuito alla focalizzazione di questo approccio, da Bogdanov a Deleuze e Guattari della de-territorializzazione, ai più recenti e necessari Mark Fisher nonché Nick Srnicek e Alex Williams di “Inventare il futuro”.

Ma qui abbiamo a che fare ora con il lato oscuro, l’accelerazionismo di destra di Nick Land e di Curtis Yarvin, di Peter Thiel e di Elon Musk, la negazione della democrazia a favore di oligarchie facoltose, di superamento delle strutture sociali faticosamente e sanguinosamente conquistate nel corso del Novecento (tribunali, parlamenti, diritti civili) verso forme di organizzazione della collettività mutuate da impostazioni aziendali o militari, con rigide gerarchie di comando.

Il Dark Enlightenment, Illuminismo Oscuro, emerge come una corrente di pensiero critico e neo-reazionario nei confronti dei pilastri della modernità. In questa prospettiva, la democrazia liberale non è vista come un ideale compiuto, bensì come un sistema imperfetto, incline all’inefficienza e potenzialmente autodistruttivo, dove le decisioni sono spesso il risultato di dinamiche di massa o di influenze particolari, piuttosto che di una razionalità illuminata appannaggio di menti superiori.
Si manifesta con una certa nostalgia o ammirazione per forme di governo che si percepiscono come più ordinate e capaci di azione, come monarchie o modelli tecnocratici – sorta di tecnofeudalesimo che molti oggi vorrebbero vedere realizzato – in cui si presume una maggiore competenza decisionale e una visione strategica più definita.
L’idea stessa di eguaglianza viene messa in dubbio o dichiaratamente respinta, con argomentazioni che talvolta sfociano nel riconoscimento di gerarchie intrinseche, basate su presunte differenze di capacità o intelletto. Un filo conduttore significativo è la preoccupazione per un presunto declino culturale e sociale dell’Occidente, attribuito a fenomeni complessi come il multiculturalismo, i flussi migratori e una percepita erosione dei valori tradizionali. In questo quadro, si osserva un’enfasi sulla razionalità e sulla scienza, sebbene spesso interpretate attraverso una lente selettiva che tende a supportare argomentazioni relative a differenze innate tra gruppi umani. Non è difficile riconoscere come molte delle sue premesse e conclusioni siano insomma considerate da più parti come portatrici di istanze razziste, sessiste e intrinsecamente antidemocratiche. 

Riflettendo sull’accelerazionismo di destra in relazione al Dark Enlightenment, si nota che le contraddizioni e le debolezze intrinseche della modernità debbano essere esacerbate, portate al loro punto di rottura, per far emergere un ordine sociale ritenuto superiore. Il Dark Enlightenment fornisce spesso un’analisi “diagnostica” di questo presunto declino e suggerisce, implicitamente o esplicitamente, la necessità di un cambiamento radicale di paradigma politico e sociale spingendo attivamente verso una crisi sistemica che possa aprire la strada a nuove forme di organizzazione sociale e politica, ispirate a modelli gerarchici e autoritari evocati dal pensiero neo-reazionario.

IA per le politiche locali

Ho chiesto a Gemini venti idee di azioni Strategiche sull’IA nelle Politiche Locali, con focalizzazione sulle ultime tendenze e strumenti. E mi sembra utile.

L’IA al Servizio della Cittadinanza

  1. Città Intelligenti: L’IA come Pilastro dello Sviluppo Urbano. Esplorare come l’IA può trasformare le città in ecosistemi sostenibili ed efficienti.
  2. Democrazia Partecipativa con l’IA: Coinvolgere i Cittadini nelle Decisioni Politiche. Discutere l’utilizzo dell’IA per migliorare la partecipazione civica.
  3. Servizi Sociali Intelligenti: Utilizzare l’IA per Migliorare la Qualità della Vita. Analizzare come l’IA può ottimizzare i servizi sociali.

Governance e Trasparenza

  1. Governance Basata sull’Evidenza: L’IA come Supporto alla Decisione Politica. Esplorare come l’IA può aiutare i decisori politici a prendere decisioni informate.
  2. Trasparenza Algoritmica: Garantire l’Equità nell’Utilizzo dell’IA nella Pubblica Amministrazione. Discutere le sfide e le opportunità della trasparenza algoritmica.
  3. Accountabilità nell’Era dell’IA: Stabilire Responsabilità nella Pubblica Amministrazione. Analizzare i quadri giuridici e etici per l’utilizzo responsabile dell’IA.

Economia Locale e Sviluppo

  1. Sviluppo Economico Locale con l’IA: Attrarre Investimenti e Creare Impiego. Esplorare come l’IA può stimolare l’economia locale.
  2. Smart Agricoltura: Utilizzare l’IA per Sostenere il Settore Agricolo. Analizzare l’impatto dell’IA sull’agricoltura locale.
  3. Turismo Intelligente: Migliorare l’Esperienza Turistica con l’IA. Discutere le applicazioni dell’IA nel settore turistico.

Mobilità e Infrastrutture

  1. Mobilità Sostenibile con l’IA: Ottimizzare il Trasporto Pubblico. Esplorare come l’IA può migliorare l’efficienza dei sistemi di trasporto.
  2. Smart City: L’IA per la Gestione Intelligente delle Infrastrutture. Analizzare l’uso dell’IA nella manutenzione e gestione delle infrastrutture urbane.
  3. Sicurezza Pubblica con l’IA: Prevenire e Rispondere agli Eventi Critici. Discutere l’utilizzo dell’IA per migliorare la sicurezza pubblica.

Ambiente e Sostenibilità

  1. Città Sostenibili: L’IA per la Gestione delle Risorse. Esplorare come l’IA può contribuire alla sostenibilità ambientale.
  2. Gestione dei Rifiuti Intelligente: Ridurre, Riutilizzare, Riciclare con l’IA. Analizzare l’uso dell’IA nella gestione dei rifiuti.
  3. Monitoraggio Ambientale con l’IA: Proteggere l’Ecosistema Locale. Discutere l’utilizzo dell’IA per il monitoraggio ambientale.

Sfide e Opportunità

  1. Disuguaglianze Digitali: Garantire l’Accesso All’IA per Tutti. Analizzare le implicazioni sociali dell’IA e le misure per ridurre il digital divide.
  2. Privacy e Sicurezza dei Dati: Proteggere i Cittadini nell’Era dell’IA. Discutere le misure per garantire la privacy e la sicurezza dei dati nell’uso dell’IA.
  3. Formazione e Competenze: Preparare la Forza Lavoro per l’Era dell’IA. Analizzare le necessità formative per affrontare le nuove sfide del mercato del lavoro.

Tendenze Emergenti

  1. Governo Aperto con l’IA: Aumentare la Trasparenza e la Partecipazione. Esplorare le nuove frontiere dell’utilizzo dell’IA nella pubblica amministrazione.
  2. Etica dell’IA: Garantire un Uso Responsabile della Tecnologia. Discutere i principi etici per guidare lo sviluppo e l’utilizzo dell’IA.

e-Partecipation

Non è necessario implementare subito ogni nuova tecnologia o ambiente digitale nella socialità, tuttavia si può ragionare di tecnosocialità o di paesaggi mediatici, oppure di diritti umani, rischi e opportunità.

Diventa però sì necessario esplorare le potenzialità della democrazia elettronica, dove più che gli elettroni che viaggiano dobbiamo ideare e comprendere nuove strutture tecnosociali che possano sostenere il peso della responsabilità e della affidabilità. Piattaforme o ambienti digitali partecipativi, per la consultazione o la deliberazione politica.

Innanzitutto bisogna prendere il problemone e spezzettarlo in tanti problemi più piccoli, come al solito.

Le soluzioni di e-democracy praticate in altri Paesi o città, oggi o ormai trent’anni fa, sono tutte diverse, in quanto strumenti progettati con obiettivi e risultati attesi differenti.

Va stabilita una scala di situazioni, elaborati dei modelli di intervento, dobbiamo padroneggiare in noi quote di sperimentalismo dove anziché varare un’arca di Noè gigantesca e buona per tutti si provano meccanismi locali, o dai contenuti limitati, o da forme partecipative limitate, su piattaforme governative gestite da personale qualificato e ben retribuito, per aver cura dei forum e della community locale o iperlocale.

A quel punto avremmo più dati, più informazioni, e potremmo decidere meglio i prossimi passi da compiere.

Questo perché ogni tentativo di incrementare la partecipazione è democratico, tutto qui, da qui viene la necessità di intraprendere un percorso ragionato.

Tutte le critiche e le perplessità le conosciamo da trent’anni, siano esse di carattere tecnico o giuridico o etico. Non bloccatevi di fronte al Leviatano: restate flessibili, morbidi, curiosi, critici, sappiate vedere sentieri nel bosco.

Da una parte teniamo ferma la possibilità di alimentare le democrazie rappresentative con nuovi metodi di partecipazione.

Dall’altra riflettiamo sulla gravità del fatto che i contenitori della deliberazione pubblica e (quante volte lo abbiamo già visto) poi politica siano le piattaforme commerciali che tutti, metà degli italiani, usiamo giornalmente, molte ore al giorno, ogni giorno.

Questo significa – è necessario, di nuovo – che la politica deve superare un’alienazione, sappia portare a coscienza in sé i possibili preconcetti attribuiti alle forme di partecipazione digitale, affrontarli smontarli e ricostruire un modello adeguato alla realtà odierna. Quindi progettare nuovi ambienti e strumenti di partecipazione civica, motivare le persone e le collettività a utilizzarli per il bene comune, scongiurare l’allontanamento tra cittadini e istituzioni.

Credo una simile riprogettazione sociale dei meccanismi della partecipazione e della decisionalità politica porterà nel medio termine a profonde modifiche nelle strutture sociali, nelle organizzazioni lavorative pubbliche, nella percezione e nell’azione amministrativa, nella formazione dell’opinione pubblica, nella narrazione della cultura di una nazione, nel sentimento di appartenenza a comunità edificate secondo criteri di pertinenza a noi ancora invisibili in quanto or ora emergenti dalle nuove pratiche di conversazione e dal nostro abitare digitale.

Dobbiamo navigare e aver coraggio: fatto il punto nave, dobbiamo ricalcolare la rotta verso le nuove migliori forme di democrazia partecipativa che siamo capaci di concepire e realizzare. Ci serve un buon cibernauta.

ChatGPT in campagna elettorale

Udine 2023

Ciao GPT, scrivimi per favore un dialogo tra due aspiranti sindaci di Udine, uno di sinistra e uno di destra, in un confronto televisivo sulla tematica dell’innovazione con almeno due domande del moderatore.

Moderatore

Buonasera e benvenuti al nostro confronto televisivo tra i due aspiranti sindaci di Udine. 

Signor Rossi, lei rappresenta il Partito Democratico e ha promesso di investire nell’innovazione per portare la città al livello dei principali centri europei. 

Signor Bianchi, lei rappresenta la Lega e ha promesso di concentrarsi sulla sicurezza e sulla tutela dei cittadini. Iniziamo con una domanda sull’innovazione, argomento di grande importanza per la crescita e lo sviluppo del nostro territorio. Come pensate di implementare nuove tecnologie e strategie per migliorare la vita dei cittadini di Udine? 

Signor Rossi, come pensa di attuare le sue promesse in questo ambito?

Aspirante sindaco Rossi

Buongiorno a tutti, sì, sono d’accordo con lei, l’innovazione è un tema fondamentale per il nostro Comune. Crediamo che per far crescere il nostro territorio dobbiamo puntare sull’innovazione tecnologica, sull’educazione e sulla cultura. Il nostro programma prevede la creazione di un centro di formazione per le professioni del futuro, la creazione di un fondo per la cultura e la promozione dell’innovazione nell’edilizia sostenibile. 

La mia idea è che l’innovazione debba essere promossa attraverso investimenti in infrastrutture tecnologiche e formazione delle risorse umane, creando un incubatore per le start-up, che possa offrire spazi e servizi per supportare l’avvio e lo sviluppo di nuove imprese innovative. Inoltre, vorrei investire in infrastrutture digitali, come la banda larga e il 5G, per garantire un’adeguata connettività e favorire la crescita delle attività digitali. Tuttavia, penso che sia importante non trascurare l’aspetto sociale e culturale. Ad esempio, vorrei creare un programma di educazione digitale per i giovani, per garantire loro le competenze necessarie per accedere alle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Inoltre, vorrei promuovere l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili per ridurre l’impatto ambientale.

Moderatore

Signor Bianchi, come si pone rispetto alle proposte del signor Rossi?

Aspirante sindaco Bianchi

Buongiorno a tutti, anch’io sono d’accordo che l’innovazione sia un tema fondamentale per il nostro Comune. Tuttavia, credo che dobbiamo essere anche molto attenti a come e dove investiamo i nostri soldi. Non dobbiamo dimenticare che Udine è un comune piccolo e che abbiamo bisogno di investire in cose concrete e utili per i cittadini. Il nostro programma prevede l’investimento in infrastrutture per la mobilità sostenibile, la creazione di un centro di innovazione per le PMI locali e la promozione di progetti di agricoltura innovativa per supportare i nostri contadini. Per promuovere l’innovazione nella città di Udine, propongo di attrarre grandi aziende high-tech per creare opportunità di lavoro e investimenti. Inoltre, vorrei creare un programma di incentivi per le piccole e medie imprese che investono in innovazione e tecnologia. Sono d’accordo sull’importanza dell’innovazione, ma penso che la sicurezza dei cittadini debba venire prima di tutto. Per questo, vorrei investire in tecnologie per la videosorveglianza e in sistemi di allarme per garantire maggiore sicurezza alle persone. Inoltre, vorrei promuovere l’occupazione attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro nell’ambito della sicurezza e della tutela dei cittadini. La mia proposta è quella di creare un programma di smart city, che prevede l’utilizzo di tecnologie avanzate per migliorare la qualità della vita dei cittadini. Ad esempio, l’installazione di sensori per il controllo del traffico, l’implementazione di un sistema di videosorveglianza intelligente e la creazione di una piattaforma digitale per la gestione dei servizi comunali.

Moderatore

Molto interessante, passiamo alla seconda domanda. Come pensate di coinvolgere i cittadini nella progettazione e nella gestione delle iniziative di innovazione?

Signor Rossi

Ritengo che la partecipazione attiva dei cittadini sia fondamentale per garantire che le iniziative di innovazione siano in linea con le loro esigenze e desideri. Per questo motivo, vorrei creare un sistema di consultazione online che consenta ai cittadini di esprimere le loro opinioni e di partecipare alle decisioni. Inoltre, vorrei creare una task force composta da esperti e cittadini per valutare e selezionare le proposte di innovazione.

Signor Bianchi

La partecipazione dei cittadini è fondamentale. Vorrei creare un sistema di co-progettazione che coinvolga i cittadini nella progettazione e nella gestione delle iniziative di innovazione. Inoltre, vorrei organizzare incontri periodici con i cittadini per discutere le iniziative in corso e raccogliere i loro feedback. In questo modo, potremo garantire che le iniziative (qui si è bloccato)

Moderatore

Grazie, signori. E come pensate di finanziare questi progetti?

Aspirante sindaco Rossi

Il nostro programma prevede l’utilizzo di fondi europei e nazionali, oltre a una stretta collaborazione con le imprese locali e le università del territorio. Inoltre, crediamo che sia importante creare un ambiente favorevole per gli investimenti privati, in modo da attrarre nuove imprese e nuovi investitori, creando appunto partnership con il settore privato per l’area di incubazione per startup innovative.

Aspirante sindaco Bianchi

Anch’io credo che sia importante utilizzare fondi europei e nazionali per finanziare i nostri progetti. Tuttavia, dobbiamo essere molto attenti a come utilizziamo i soldi dei cittadini, per questo il nostro programma prevede una stretta collaborazione con i cittadini stessi, per capire quali sono le loro esigenze e investire di conseguenza. Inoltre, crediamo che sia importante promuovere l’economia locale, supportando le PMI locali e le attività commerciali del territorio.

Moderatore

Grazie signori per le vostre risposte. Siamo giunti alla fine del confronto televisivo sulla tematica dell’innovazione. Buona fortuna nella campagna elettorale.

Democrazia diretta

Ragionando.

Questa nuova cosa della “firma digitale” per i referendum – eutanasia, obiettivo raggiunto; cannabis, 100k firme in 24ore, obiettivo 500k per il 30 settembre – potrebbe cambiare parecchio i giochi degli strumenti di democrazia diretta previsti dalla Costituzione, incidendo significativamente sul sistema normativo.

In Italia ci sono oltre 35 milioni di persone su Facebook, ma consideriamo e teniamo fermo il dato dei 15 milioni di accessi giornalieri (stima al ribasso) soprattutto via mobile.

In Italia ci sono 24 milioni di SPID. Si può firmare anche con SmartCard o chiavette USB o altri modi autenticandosi, ma la vedo più farraginosa.

Incrociando i dati con approccio spannometrico, direi che dieci milioni di persone almeno vedranno la promozione del referendum online, per i prossimi venti giorni. Se una persona ogni venti firmasse l’obiettivo verrebbe raggiunto.

Magari adesso, all’apparir della novità, la curva della partecipazione mostra un picco statistico. Tra due anni, con in mezzo le proposte di altri venticinque referendum, ci saremo annoiati.

Dipenderà quindi dall’argomento del contendere, da quanto sarà sentito il problema dalla popolazione, e questo ci conduce agli strumenti di promozione, ovvero persuasione, ovvero manipolazione dell’opinione pubblica, ovvero soldi per le sponsorizzate, campagne di crowdfunding, ricerca di testimonial e influencer.

I soldi servono anche agli enti proponenti dei referendum, in quando la validazione dell’espressione popolare costa circa un euro per ogni firma, e così siamo già a mezzo milione di euro più le promozioni di cui sopra. Non si tratta solo di mettere online un dispositivo per la raccolta firme (costoso anch’esso), la macchina è un po’ più complessa (certo, anche predisporre banchetti nelle piazze costa), e forse con simili soglie di accesso economiche non si tratta proprio di una libera e gratuita partecipazione dei cittadini alla vita politica del Paese.

Insomma, potremmo vederne delle belle.

Un muro. Foto presa da Corriere.it

Non è un Voi, è un Loro.

Non è un Voi, è un Loro.

Questa foto è un muro, e come tale va figurativamente interpretata.
Poi vengono le parole.

Le parole utilizzate dai capi di Stato, molti di loro già smascherati come ipocriti per l’incoerenza tra le loro azioni passate e la loro presenza a Parigi, sono specchi per parlare di sé, ombelicali, emblema di chiusura: Hollande parla di “Parigi capitale del mondo”, ponendo un Noi ineluttabile; Renzi parla dei “nostri” valori”; Netanyahu pone esplicitamente “il nemico”; Cazeneuve parla subito di frontiere da controllare, includendo internet quale luogo dove far rimuovere da parte di società web contenuti illegali, dichiarazione apologetiche, incitamenti all’odio.

Non dimentichiamoci che alcune scelte sono state fatte subito, stabilendo chi invitare e chi lasciare fuori, a esempio movimenti politici francesi certo scomodi per la linea che si voleva dare alla rappresentazione teatrale di ieri, senza considerare che proprio questo fare contraddiceva le parole che si intendevano pronunciare.

Sul piano discorsivo, appunto, l’intera retorica della manifestazione trasuda chiusura, pone un NOI fittizio, artatamente costruito e messo in scena come omogeneo, che come conseguenza nell’alveo del discorso istituisce non un VOI — sarebbe un attore legittimo del Dialogo, interlocutore ratificato — ma un LORO, estraneo, intoccabile, ignoto e incomprensibile, minaccioso.

Una mancanza di apertura, un ritorno al noto e al medesimo, una denegazione dell’Alterità, in un discorso nettamente politico, il quale non tiene in considerazione le conseguenze del proprio dire, essendo tutto ripiegato su sé stesso, muro contro muro.

Non so se la miccia sia accesa, ma so che gettare benzina è stupido.

Critica della democrazia digitale, con Fabio Chiusi

reblogLa democrazia è una tecnologia. Un artefatto concettuale, che poi diventa metodo e prassi. Strumento di civiltà che la collettività sceglie da sé, per sé stessa. Qualcosa che abbiamo inventato progettato e cerchiamo di applicare, su cui possiamo intervenire per migliorarla. Un modo storico per garantire una maggiore qualità dell’Abitare, seguendo certi valori che riteniamo prioritari. Nel tempo, cambiano i valori, cambiano i modi. Oggi si parla di democrazia digitale. E forse la narrazione di queste nuove forme di partecipazione e rappresentatività e decisionalità merita uno sguardo capace di discernere, una critica.

Per Vicino/lontano e Friuli Future Forum domani alle 18.00 alla Libreria Tarantola a Udine chiedo a Fabio Chiusi di raccontare ombre e luci di una innovazione tecnosociale che riguarda tutti noi.

vicinolontano.it/eventi/critica-della-democrazia-digitale/

Democrazia di prossimità

Mi chiedevo delle differenze tra democrazia rappresentativa e democrazia deliberativa (di prossimità), ho cercato un po’ in giro, qualcosa ho trovato. Sarebbe certo da intraprendere una bella discussione con chi ne sa di più.
Qui un articolo interessante riguardo le forme di democrazia su politicadomani.it
Qui un pdf sulla democrazia di prossimità e l’integrazione europea
Qui su LabSus Laboratorio per la Sussidiarietà un confronto tra vari esempi internazionali di democrazia partecipativa
Qui due esempi italiani: la democrazia di prossimità e le leggi regionali 67/2007 Regione Toscana e 3/2010 Regione Emilia Romagna
La finalità è quella di ragionare sulla possibilità di affidare a organizzazioni civili alcune grandi decisioni come il governo del territorio, le grandi infrastrutture, la tutela dell’ambiente. Altrove qualcosa si è realizzato: esempi di forme di partecipazione popolare di tipo deliberativo sono state adottate in Francia, con la legge sulla “democrazia di prossimità” che impone il dibattito pubblico per le decisioni di lunga durata; nel Nord America, dove si vanno diffondendo i “forum deliberativi” (nel senso descritto da J. Fishkin); in Gran Bretagna, con le “giurie cittadine” e le “commissioni civiche” recentemente promosse da Gordon Brown, che possono far valere le loro ragioni su questioni di pubblico interesse (sanità, infanzia, crimine).
E non sto dicendo niente che non sia già nell’articolo 5 della Costituzione, eh.
Art. 5
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.

Smart-city = decrescita

Unisco due passioni, diciamo così.
Ovviamente la smartcity è da interpretare come relazione tra città e collettività che la abita, nelle sue competenze e conoscenze. Con il solito parallelo tra hardware (gli edifici, le piazze, la sensoristica, la fibra ottica, il wifi) e i comportamenti umani software (i flussi di merci persone e informazione, l’abitare i media e i linguaggi, l’esercitare cittadinanza attiva) è da porre l’attenzione alla relazione tra gli elementi, oltre all’analisi degli elementi. Come un buon informatico, che è tale quando pone l’attenzione tra risorse e programma, e quindi progetta. Come un antropologo, peraltro, come uno psicologo post cognitivista, come un linguista post strutturalista, come tutta l’intelligenza dei pensatori bravi della seconda metà del ‘900 ci ha insegnato. Porre l’attenzione alla relazione, e quindi al contesto. Quel qui e ora dove avviene pragmaticamente la comunicazione, con i suoi impliciti e i suoi non detti. Gli automatismi, le abitudini.
E un’abitudine da spezzare è quella della pessima aura che la parola decrescita si porta dietro, come diminuzione, povertà, riduzione, de- qualcosa.
Meglio morigeratezza, sobrietà, o comunque ottimizzazione delle risorse e dei processi per sfruttare le risorse stesse, la qual cosa è proprio la linea d’intenti di una decrescita correttamente intesa. Tramite strumenti come filiere corte, distretti di economia solidale, incontro locale domanda e offerta, democrazia di prossimità. 
Non pensate al perché, pensate al come. Siate un po’ tecnologi, visto che viviamo in ambienti tecnologici da almeno due milioni di anni, e non eravamo nemmeno uomini quando addomesticavamo il fuoco.
E qui parlo di sistemi, metodologie, meccanismi per gestire la complessità dei luoghi in cui abitiamo ora.
Luoghi che noi stessi abbiamo inventato, il paesaggio è un oggetto tecnologico tanto quanto un prosciutto o un sistema elettorale, e quindi si tratta di cose che abbiamo progettato e realizzato e via via migliorato nel tempo, migliorandone la tecnologia.
La smart-city (o porzioni di territorio anche miste rurali, non solo metropolitane: la connettività è indifferente alla geografia) è social, e la collettività è il motore e il destinatario, la qualità del vivere da perseguire. Si tratta di ambienti economici basati su relazioni umane, e la città connessa è il sistema operativo del funzionamento. E’ anche il luogo della coscienza collettiva, della pubblica opinione, della formazione delle identità, della loro negoziazione e patteggiamento in termini interpersonali e gruppali, è il posto dove gli accadimenti diventano fatti storici.
Ecco perché ottimizzare la smartcity è qualcosa che va in direzione della decrescita, perché ottimizza sistemi produttivi e distributivi di beni e servizi, perché incrementa e moltiplica la partecipazione della collettività alla vita pubblica, decrescendo da un sistema (meccanismo) di rappresentatività politica e gestione amministrativa del territorio molto verticale, roccioso, gerarchico, fortemente strutturato, a modalità più liquide, orizzontali, partecipative.
Non abbiamo ancora una grammatica ben fondata per padroneggiare i nuovi linguaggi della partecipazione permessi dalle nuove tecnologie di connettività, non sappiamo parlare bene e ci stiamo inventando le parole più adeguate a denotare i fatti del mondo, ma d’altronde sette anni fa non c’era neanche Facebook, e non sapevamo nulla, solo vagheggiavamo possibilità. Siamo nella culla, as usual.
Credo anche che possedere molti dati su quanto avviene sui territori geografici, a vari livelli di pertinenza (iperlocale, comunale, regionale, etc.), sui flussi di persone beni e informazioni, sia fondamentale e necessario per poter analizzare dinamiche abitative e progettare migliorìe. Open data ovunque, di ogni tipo, dati crudi e già rielaborati, sintesi e spaccati, tutti devono pubblicare tutto, per trasparenza, per contribuire a rendere di migliore qualità l’abitare.

voglio sapere TUTTO. Disaggregate i dati, fate quello che volete. Propongo tra l’altro la distinzione tra dati caldi (sensibili) e freddi (quelli insensibili ehehehe). Voglio sia possibile sapere tutto di un’area geografica. Voglio sapere cosa facciamo come collettività MENTRE viviamo, voglio saper CHI SIAMO. E quindi capir come ottimizzare i nostri comportamenti, uscire da nevrosi di massa, coltivare la nostra personalità, rifinire il nostro stile dell’abitare come muffa su questo pianetucolo, voglio un’identità.

Questo era un mio commento su FB, dentro una discussione un po’ bislacca e quindi piuttosto libera su una correlazione tra fasi lunari e reati o comportamenti “devianti”, un mio vecchio pallino, che mi ha portato a scrivere il presente post.

Risultati attesi

6 idee per un Paese digitale, un’Italia 2.0, di Francesco Nicodemo:
  1. Italia 2.0 è fatta di cittadini che non hanno alcuna difficoltà con questa tecnologia, dove lo spread digitale è minimo, indipendentemente dall’età e dalla classe sociale, perché sono rimossi tutti gli ostacoli di ordine sociale ed economico. Un Paese digitale in cui per i cittadini e per i migranti l’accesso alla Rete è sempre possibile e da qualsiasi luogo, che sia una piazza, una strada, un ufficio pubblico, una biblioteca, o persino sul tram.
  2. Italia 2.0 significa servizi online al cittadino, dall’anagrafe alla sanità, e servizi via web alle imprese, specialmente quelle piccole, su cui pesa la lentezza e la farraginosità della burocrazia.
  3. Italia 2.0 è integrazione dei nuovi cittadini attraverso gli strumenti di inclusione sociale ed è partecipazione democratica, trasparente e aperta attraverso il coinvolgimento dei cittadini nel progettare il futuro comune e nel giungere a scelte condivise.
  4. Italia 2.0 è open data, libera i dati della PA e li mette a disposizione di tutti gratuitamente, affinché ognuno li utilizzi per sviluppare idee innovative, sui trasporti, sull’ambiente, sui rifiuti, e persino sugli orari della movida, perché la città digitale riduce i consumi, migliora i trasporti, contiene la spesa, abbatte l’inquinamento.
  5. Italia 2.0 facilita la creazione di migliaia di posti di lavoro del futuro, quelli legati al mondo del digitale, avendo la consapevolezza che non occorrono colate di cemento o capitali immensi, perché il digitale ha bisogno soprattutto di cervelli e di ambienti congeniali in una Paese che favorisce l’applicazione del digitale a tutti i settori produttivi.
  6. Italia 2.0 è trasversale e tocca tutte le attività: cultura, infrastrutture, economia, alfabetizzazione, inclusione, democrazia, lavoro.


e-Gov: Il Comune di Udine conversa coi cittadini

Il Comune di Udine mira a un e-government moderno. Trasparenza e semplificazione sono valori imprescindibili, prescritti dalla stessa Legge ministeriale (Bassanini, Stanca, Brunetta… vedi qui) per l’innovazione della PA.
Ma c’è di più, ed è una bella novità: prima di pubblicare il Regolamento, il Comune chiede la partecipazione dei cittadini, per migliorìe e suggerimenti. E’ tutto disponibile sul documento wiki, possiamo iscriverci e lasciare le nostre osservazioni. Mi sembra l’atteggiamento corretto.

PA e comunicazione 2.0 – Bergamo

Oggi vado a Bergamo, domani ho una docenza per IDM presso l’Università. Qui trovate il corso specifico, rivolto a amministratori di Enti locali, sindaci assessori e quant’altro.

Comunicazione su web, strumenti per l’ascolto del territorio, e-democracy e e-government, Codice dell’Amministrazione Digitale, backoffice e frontoffice, quelle cose lì.

Qui sotto la presentazione per organizzarmi il preambolo.

Dài, che cade la Pisanu e il prossimo anno bloggo dal bar

Lo dice Maroni, questo pessimo decreto Pisanu sarà modificato e si potrà navigare liberamente anche nei wifi italiani. Oddio, liberamente è parola grossa, ci sono delle complicazioni, ma non si sa ancora bene niente. Leggete Zambardino o Maistrello per altre info e considerazioni.
E’ molto tempo che ne parliamo, l’altr’anno firmammo anche una Carta dei Cento per il Libero Wifi.
Quello che vorrei dire io è che l’atteggiamento di Maroni mi sembra quello di chi fa una concessione, e la qual cosa mi sta sommamente e pesantemente sui coglioni.
Hanno bloccato la società per cinque anni, siamo terribilmente indietro, e lui con l’aria di chi dice “Comunque controllare è giusto, eh? Dobbiam sapere tutto. Alleggeriamo giusto un po’ i vincoli.” elargisce il giocattolo.
E quindi, tagliamo la fuffa: io vorrei sapere quante indagini di polizia o di un magistrato su questioni di terrorismo sono state impostate in italia negli ultimi cinque anni, che abbiano riguardato o consultato i tabulati delle connessioni pubbliche. Voglio i fatti, i numeri, le quantità. Voglio sapere se questo pateracchio tutto itaiano ha fatto del bene al paese, oppure voglio sapere se negli altri Paesi europei o negli Stati Uniti, dove non si dà il caso che il wifi sia disponibile solo dopo autenticazione, sono cretini a non averlo fatto.
Eppure i proverbi parlan chiaro: “se sembra che tutti ti vengano addosso, sei tu che sei in contromano”.

Empowering communities

Un bell’articolo di Ernesto Belisario, su Apogeonline.

L’Open Govenrment è un’opportunità concreta di ottenere, attraverso la rete, un’amministrazione più efficiente e una migliore democrazia. Quest’opportunità, però, può essere colta solo a patto di comprendere che il vero cambiamento è fuori dal Palazzo e che la vera innovazione non è nelle tecnologie.