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jannis

Innovazione, smart-city e chatGPT

Meno male che è tornato ChatGPT, almeno parlo con qualcuno che risponde in modo pertinente, come dicevo.

Oggi gli ho fatto due domande sulla smart-city e mi aspettavo delle risposte tecniche, ma l’IA mi ha risposto benissimo rifacendosi quasi ai fondamenti della progettazione sociale, ovvero al tenere in considerazione il contesto di applicazione e a valutare l’impatto sulla comunità.

Quindi le competenze di un assessore all’innovazione digitale e alla smart-city, benché necessariamente imbibite di cultura tecnologica, riguardano soprattutto la sua visione di progresso territoriale e la sua capacità di stabilire delle linee progettuali dentro la complessità degli ecosistemi, con attori umani e oggettuali.

Encomiabile.

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*Come trasformare una città in una smart-city?*

La trasformazione di una città in una smart city richiede una pianificazione e una strategia a lungo termine. I primi passi da compiere potrebbero includere:

• Definire la visione e gli obiettivi della smart city: la definizione di una visione e degli obiettivi chiari e specifici è essenziale per orientare la trasformazione e garantire che tutti i progetti futuri siano allineati con questi obiettivi.
• Identificare i problemi della città: il primo passo consiste nell’identificare i problemi che la città deve affrontare, come la congestione del traffico, l’inquinamento atmosferico, la mancanza di spazi verdi, il consumo energetico eccessivo, la sicurezza, etc.
• Coinvolgere gli stakeholder: coinvolgere tutte le parti interessate, come cittadini, aziende, istituzioni pubbliche e private, università, al fine di creare una comunità consapevole e partecipe. Coinvolgere la comunità locale nella pianificazione della smart city è fondamentale. Ciò può essere fatto attraverso forum pubblici, sondaggi online o incontri con le parti interessate.
• Valutare le risorse: identificare le risorse disponibili per finanziare il progetto e determinare i costi iniziali e a lungo termine. Esaminare le tecnologie disponibili per le smart city – valutazione dell’infrastruttura esistente della città, come la connettività Internet, l’energia e i sistemi di trasporto – e valutare quale di esse è adatta alle esigenze della città.
• Sviluppare una strategia: sviluppare una strategia a lungo termine che definisca gli obiettivi della smart city, le priorità, le attività e i tempi di attuazione.
• Pianificare l’infrastruttura tecnologica smart: pianificare l’infrastruttura tecnologica necessaria, come reti di comunicazione avanzate, sensori, dispositivi IoT, software di gestione dati, etc., è un passo fondamentale per la trasformazione in una smart city.
• Implementare progetti pilota: per dimostrare i benefici delle tecnologie smart city, è importante implementare progetti pilota in aree specifiche della città. Ciò può aiutare a identificare le sfide e le opportunità per la futura implementazione della smart city.
• Sviluppare una strategia a lungo termine: creare una strategia a lungo termine per la smart city, che includa obiettivi chiari, pianificazione finanziaria e un piano di implementazione graduale. Analisi dei dati, il coinvolgimento della comunità e il feedback degli utenti.
• Valutare i risultati: valutare i risultati dei progetti pilota e rivedere la strategia se necessario. Rendere i dati accessibili: la raccolta e l’analisi dei dati sono essenziali per la gestione delle smart city. È importante che i dati siano facilmente accessibili e utilizzabili da parte dei cittadini, delle imprese e delle organizzazioni pubbliche.
• Implementare le soluzioni: implementare le soluzioni selezionate in modo graduale e continuativo, al fine di garantire un’evoluzione costante della città verso l’obiettivo di smart city. È importante notare che la trasformazione in smart city non può essere raggiunta in un solo passo. È un processo graduale che richiede impegno e partecipazione costante e collaborazione di tutte le parti interessate.

*Cosa deve fare un assessore all’innovazione?*

Come suggerisce il titolo, un assessore all’innovazione è responsabile di promuovere l’innovazione all’interno di una specifica area geografica, come una città o una regione. In particolare, l’assessore all’innovazione deve:

• Sviluppare e implementare strategie per promuovere l’innovazione e la tecnologia nella comunità di riferimento;
• Identificare le aree di opportunità per l’innovazione, sia a livello tecnologico che sociale, e lavorare per creare le condizioni per l’innovazione in tali aree;
• Lavorare con le imprese e le istituzioni locali per incentivare l’adozione di tecnologie innovative e creare nuove opportunità di lavoro;
• Promuovere l’alfabetizzazione digitale e tecnologica nella comunità, attraverso programmi di formazione e di sensibilizzazione;
• Collaborare con università e centri di ricerca per favorire la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie;
• Sostenere l’implementazione di politiche pubbliche che promuovano l’innovazione, come l’accesso a finanziamenti per le startup innovative o la creazione di parchi tecnologici.
• In generale, l’obiettivo dell’assessore all’innovazione è quello di creare un ambiente favorevole all’innovazione e alla tecnologia, che possa attrarre investimenti e talenti, generando nuove opportunità per la comunità locale.

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Alcuni autori e opere in lingua italiana – con l’asterisco quelli che ho letto – che trattano il tema delle smart-city sono:

Carlo Ratti – “La città del futuro” (2016) *
Fiorella De Cindio – “Smart City e tecnologie urbane” (2017) *
Francesco Lapenta – “Smart City: Città Intelligenti, Tecnologie e Nuovi Servizi” (2015)
Andrea Caragliu, Chiara Del Bo e Peter Nijkamp – “Smart Cities in Europe” (2011)
Stefano Stortone – “Smart City: un’opportunità per la città del futuro” (2014)
Alessandro Carlucci e Luca Mannella – “Smart City: la città del futuro. Una nuova opportunità per lo sviluppo urbano sostenibile” (2014) *
Roberto Masiero – “Smart City. Innovazione e sostenibilità nelle città intelligenti” (2016) *
Andrea Bifulco – “Smart City: il governo delle città tra tecnologia e diritti” (2018)
Lorenzo Bonoli – “Smart City. La città intelligente che cambia il mondo” (2018) *

Andatevene

C’è gente vecchia, in giro. Gente vecchia dentro, potrebbero anche avere quarant’anni, ma pensano come si pensava quarant’anni fa. Alcuni di questi occupano posizioni chiave dei settori economici, politici, culturali. 
Per mantenere lo status quo che garantisce loro il potere di decidere le linee di sviluppo della società contemporanea, di decidere delle nostre vite, del nostro benessere individuale e sociale, queste persone possono fare delle leggi statali, stabiliscono politiche per la gestione della cosa pubblica, nutrono scientemente i sistemi di informazione di paccottiglia per imbonirci, di cortine fumogene per plasmare i nostri pensieri, per fare in modo che l’attenzione venga distolta e nemmeno nasca la voglia di farsi troppe domande. 
Perché non è detto che il mondo debba essere per forza così. Potrebbe essere diverso, migliore, se tutti potessimo accedere alle informazioni, alimentare e formare criticamente la nostra opinione sui fatti, se potessimo esprimerla liberamente insieme agli altri, decidendo collettivamente e collaborativamente quali strade intraprendere per il futuro, senza dipendere dalle scelte interessate di pochi.
Questa è la battaglia odierna per la libertà della Rete, il sistema operativo della Conoscenza umana, il Luogo della memoria e del dialogo interpersonale dei NuoviAbitanti.
Quella gente deve sparire rapidamente, è un intralcio per la civiltà.
Qui sotto il discorso di Juan Carlos De Martin per La Notte della Rete, ripreso da Mantellini via La Stampa.

La rete: il più grande spazio pubblico della storia. Il sogno REALIZZATO della possibilità di poter permettere a tutti di esprimersi facendosi potenzialmente udire da chiunque al mondo. E senza dar fastidio a nessuno, senza megafoni, senza pioggie di volantini, senza coercizioni o intrusioni di sorta.

Semplicemente: Chi vuole parla – chi vuole ascolta.
La rete: il sogno a portata di mano di poter leggere tutti i libri mai scritti, in qualsiasi lingua, non importa quanto minoritaria.
La rete, cioe’, che porta nel 21 secolo – potenziandola – la straordinaria conquista della biblioteca pubblica. La rete che potrebbe far lo stesso per tutta la musica mai composta, le fotografie mai scattate, i film mai fatti, i quadri mai dipinti.
La rete che potrebbe rendere possibili – e in parte già lo fa – nuovi modi di sostenere gli autori, consentendo loro di dedicarsi alla loro arte per il beneficio e la gioia di tutti noi.
La rete che potrebbe presto mettere a disposizione quel grande bene comune che sono i risultati della scienza – mettendo sullo stesso piano la giovane ricercatrice africana e il professore di Harvard.
La rete, straordinaria piattaforma di innovazione, per beneficiare della quale non servono conoscenze o tasche profonde: basta un cervello, un computer e un accesso a internet.
La rete: di certo grande strumento di mobilitazione sociale. Ma anche strumento, se saremo bravi, per infondere sangue nuovo nelle nostre democrazie anche in fase di governo, per ripensare i partiti politici, per dare sostanza al dialogo tra eletti ed elettori sempre, non solo in occasione delle elezioni.
La rete: tutto questo e molto, molto altro ancora.
L’abbiamo costruita noi, tutti noi.
Noi ingegneri nelle Universita – Università che tra l’altro farebbero bene a tornare a interessarsi molto piu’ attivamente del benessere della Rete.
Noi amanti delle soluzioni pratiche e del consenso di massima in IETF e in Internet Society.
Tutti noi che l’abbiamo letteralmente popolata di milioni, miliardi di siti – e di migliaia di applicazioni. Che abbiamo creato insieme la più grande enciclopedia della storia.
Che abbiamo volontariamente creato un commons di decine di migliaia di software liberi e di miliardi di testi, fotografie, slide, video rilasciati con licenza Creative Commons e altre licenze libere.
La rete: tutto questo e molto altro ancora.
L’abbiamo costruita tutti noi.
Non i Governi, che se avessero capito per tempo, ci avrebbero senz’altro bloccato.
Non i grandi poteri economici tradizionali, che se avessero capito per tempo avrebbero provato a comprarci o avrebbero chiesto ai Governi di bloccarci.
Non i poteri mediatici tradizionali, che se avessero capito per tempo avrebbero subito acceso i loro riflettori per attirare l’attenzione di Governi e poteri economici (tranne che in sciagurati paesi come l’Italia dove i tre poteri coincidono).
Non i Governi e certi poteri economici che, una volta che Internet c’era, l’hanno trasformata in una gigantesca macchina di sorveglianza.
L’Internet delle enciclopedie, dell’informazione dal basso, di un nuovo discorso pubblico, della mobilitazione orizzontale, eccetera l’abbiamo costruita tutti noi.
Non loro.
E spesso nonostante loro.
Dobbiamo esserne orgogliosi.
Ora pero’ qualcuno vorrebbero impadronirsi di questo patrimonio collettivo.
Vorrebbe rendere Internet piu’ docile, piu’ controllabile – in economia, in politica, nella cultura.
Non fanno più neanche mistero dei loro obiettivi.
Con l’eG8 di Sarkozy a Parigi sono caduti anche le ultime ipocrisie.
Ce l’hanno detto chiaramente, infatti, quasi con arroganza: vorrebbero rimanere a decidere tra di loro, i big boys dell’economia e della politica (e chi li distingue e’ bravo).
Vorrebbero decidere loro su cio’ che abbiamo costruito noi.
A questo spudorato tentativo di espropriarci dobbiamo rispondere con calma e determinazione: NO.
Non che si possa dire che rifiutiamo il confronto.
O che rifiutiamo la politica.
Anzi: abbiamo spesso cercato sia l’uno sia l’altra.
Ma, nonostante gli sforzi, abbiamo avuto scarsissimo successo.
Si vede che altri interlocutori hanno strumenti di persuasione – come dire? – molto piu’ efficaci dei nostri.
Comunque, la nostra offerta di collaborazione è ancora valida:
uomini del potere tradizionale: deponete la vostra arroganza e ascoltateci.
Ascoltate noi: non solo i grandi amministratori delegati delle aziende di Silicon Valley, che non ci rappresentano.
Ascoltateci senza pregiudizi, senza slogan, senza agende nascoste.
Per affrontare insieme i problemi – che ci sono – e soprattutto per capire insieme come cogliere le straordinarie opportunità di crescita sociale, culturale ed economica rese possibili dalla Rete.
Noi – statene certi – saremo all’altezza.



Giusto per completezza, aggiungo qui il link alla Dichiarazione d’Indipendenza del Cyberspazio di Barlow, 1996. Sono almeno quindici anni che raccontiamo il futuro, quindici anni che lottiamo.

NuoviAbitanti a Venezia

Sapete, in italia c’è il decreto Pisanu. Nei primi anni di questo secolo, come risposta ai terrorismi mondiali, in italia si è pensato bene di impedire la libera navigazione pubblica sulla rete internet, e così gli internet point per farvi controllare la mail mentre siete in giro per lavoro o per svago devono chiedervi la carta d’identità e ottemperare a precise direttive burocratiche e legislative, le biblioteche idem devono tracciare tutto, e insomma qui da noi nessuno può installare una rete wifi e offrire libera connettività, perché deve tenere un registro e registrare gli utenti e conservare i log per tot mesi. Nessuno, né una biblioteca o un bar o voi a casa vostra. Se lasciate il wifi aperto, e magari sotto casa vostra passa Bin Laden che manda un video minacciando di morte Obama oppure più facilmente aggiorna il suo status su Facebook, siete colpevoli anche voi, perché non gli avete chiesto la carta d’identità.
Poi un giorno camminate per strada praticamente ovunque nel mondo, Oslo o Parigi o Buenos Aires, e il vostro cellulare trova decine di reti aperte per navigare su web. Nelle scuole e nelle biblioteche, nei bar e nei cinema la presenza di connettività è ormai quasi data per scontata.
Ma in italia, solo in italia, questo non succede.
Un semplice ragionamento sulla civiltà potrebbe far comprendere l’assurdità di questa posizione governativa, mostrare l’arretratezza culturale di una scelta che ci condanna a ulteriore arretratezza, visto che qui stiamo parlando proprio di impedimenti all’accesso agli strumenti di comunicazione. Scelte oscurantiste, contrarie alla libera circolazione delle idee e delle informazioni.

I progetti italiani di offerta di connettività gratuita alla cittadinanza da parte delle città italiane devono conseguentemente fare i conti con complicate procedure di autenticazione del fruitore, proprio per evitare di essere fuori legge. Ops, ho già detto che è una legge solo italiana, sciocca e miope? Questo fa sì che in italia le città che garantiscono navigazione mobile su web, in modo gratuito per un banale motivo di civiltà moderna, praticamente si contino con le dita delle mani.

Venerdì 3 luglio Venezia inaugura il proprio wifi cittadino.
Le idee e le parole di questo think tank che è NuoviAbitanti vivono anche sul Canal Grande, facendo io personalmente parte di un tavolo di lavoro (ne parlo qui e qui, su Semioblog) dedicato alla progettazione di nuove forme di abitanza digitale e di nuovi modi di narrare l’esperienza sociale del vivere connessi.
Come far emergere la partecipazione dei cittadini, dei turisti, dei lavoratori e delle imprese nei Luoghi digitali? Quale posizione comunicativa è consigliabile assuma la Pubblica Amministrazione veneziana? E-government, e-democracy? Come impostare i contenitori d’umanità, la socialità in rete, per dare visibiltà alla nuova identità cittadina? Quali ragionamenti si possono affrontare per tracciare approcci di urbanistica digitale, riflessioni sugli spazi e sulle dinamiche dell’abitare connessi, valorizzazioni culturali ed economiche?

Attraverso la segnalazione di Sergio Maistrello su Apogeonline, vediamo cosa succederà a Venezia il 3 luglio, e quale cultura digitale sostiene i prossimi imminenti piani d’intervento.

Venezia, laboratorio digitale d’Italia

di Sergio Maistrello

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29Giu2009

Il 3 luglio in laguna si inaugura il WiFi cittadino, prima tranche di un importante progetto di digitalizzazione delle comunicazioni e delle conoscenze. Un esempio di innovazione di sistema che potrebbe far del bene all’intero paese

Venerdì prossimo Venezia illuminerà ufficialmente col WiFi tutto il Canal Grande e molti altri luoghi strategici per la vita cittadina, comprese alcune zone di Mestre e parte del Lido. È lo snodo fondamentale del progetto di innovazione e digitalizzazione da 10 milioni di euro fortemente voluto dal vice di Massimo Cacciari, Michele Vianello. Da febbraio è attiva la piattaforma Venice Connected per i trasporti e i servizi turistici, mentre in questi giorni prende vita il portale Cittadinanza digitale. Il 3 luglio si festeggerà l’inaugurazione della rete wireless con un barcamp itinerante in battello e con una caccia al tesoro digitale che si snoderà per le calli. «Dedicheremo il 3 luglio alla Corte costituzionale francese, che ha bocciato la legislazione Hadopi perché colpisce i diritti universali dell’uomo alla comunicazione e all’espressione. Internet non è un lusso, è un nuovo grande diritto. Chi avrebbe messo in discussione in passato la costruzione di un asilo o di una scuola elementare? Bene, oggi la rete ha lo stesso valore», spiega Vianello, che che assicura di essere solo all’inizio di un importante ciclo di innovazione e di voler «alzare ancora l’asticella, proponendo la sperimentazione concreta di alcune soluzioni al piano Caio del Governo».

La rete come strategia

Partiamo dalla rete: 10.000 chilometri di fibra ottica già posati tra terraferma, laguna e isole. Non servono soltanto a illuminare la città con l’accesso a internet, sono un patrimonio strategico. «L’asset non è il WiFi, è la fibra ottica. In città arrivano soltanto due cavidotti: uno è di Telecom Italia, l’altro è della Città di Venezia. Questo ci rende molto competitivi sul mercato, possiamo dettare le regole del gioco. E la prima regola che imporremo è la garanzia della neutralità della rete», dice Michele Vianello. L’obiettivo prossimo venturo è ambizioso: non meno di 20 Megabit di banda (ma se possibile anche 100) in tutte le case, per «rimaterializzare tutto ciò che è stato smaterializzato, ma a casa di tutti i cittadini». È il benservito al digitale terrestre: con questa banda la tv passa per il cavo e dal romantico panorama lagunare potranno un giorno sparire le antenne. Il modello di business insegue la sinergia pubblico-privato: l’amministrazione comunale mette la rete e l’appetibilità dei suoi progetti di digitalizzazione di sistema, ai privati spetta il compito di cavalcare l’onda e ripartire i profitti. Porte aperte a tutte le idee, ma non potranno mai venir meno la gratuità dell’accesso in rete o nei servizi di social networking.

La rete WiFi copre le zone più vissute della città, di Mestre e del Lido, ma la rete di hotspot è in espansione. La loro disposizione in alcuni casi è stata concordata coi giovani, affinché coincidesse coi luoghi di ritrovo. Tutti i cittadini veneziani possono connettersi di diritto: è sufficiente registrarsi una volta per tutte sul portale civico. Sono assimilate ai cittadini anche le persone che frequentano con regolarità la città per ragioni di lavoro e studio. La rete sarà aperta anche ai turisti, ma in questo caso a pagamento: non è ancora disponibile un’offerta puntuale, ma i costi sono annunciati di gran lunga inferiori alle pretese fuori mercato tipiche di hotel e locali pubblici. Quanto alla certificazione dell’identità, Venezia si pone tra le più aperte città italiane: una volta soddisfatte le prescrizioni della legge Pisanu (tramite autenticazione su Sim mobile o registrazione con carta d’identità), non impone indirizzi di posta elettronica diversi da quello personale e quanto a identificazione del cittadino in alcuni casi – per esempio le petizioni online, che il Comune promuoverà tramite piattaforma dedicata – si accontenterà addirittura del nickname. «L’esperienza ci insegna che è sufficiente, non mi interessa sapere il nome. L’importante è poter interagire con le persone», spiega il vicesindaco.

Migrazione delle conoscenze

Dal punto di vista della macchina amministrativa, l’amministrazione mette sul piatto un progetto triennale di migrazione in rete delle conoscenze comunali. «Non è un problema di tecnologia, quanto semmai di procedure, di modi di lavorare, di cultura dell’innovazione», dice Vianello, che punzecchia anche il ministro Brunetta per i suoi tentativi di rilegificazione del pubblico impiego: «Io non ho bisogno di regole diverse, ho bisogno di meno regole. Devo poter incentivare l’amministrazione sulla base delle necessità del mio territorio. Io oggi mi trovo nella condizione di incentivare i disubbidienti, quelli che a volte fanno di testa loro con l’obiettivo di far funzionare meglio il sistema». La rete farà da leva anche in questo senso: grazie a postazioni di telepresenza nelle principali sedi comunali, verrà favorito da subito il lavoro nomadico dei dirigenti. «Non è necessario spostarsi ogni volta da Mestre a Venezia solo per una riunione, così come è possibile lavorare anche se non ci si trova fisicamente nel proprio ufficio».

Per Venezia questa è un’opportunità vitale. Venuto meno il traino dell’età industriale, la città cerca una dimensione nella società dei servizi che finora non ha ancora reso quanto sperato. Del resto, «una città che produce servizi ma non ha la rete è destinata a girare la testa all’indietro. Ora che abbiamo la rete, vogliamo creare un sistema in grado di attirare idee, talenti e attività. L’innovazione è cambiare la vita minuta di ogni giorno», dice Vianello. Primo tassello del sistema reticolare di Venezia è naturalmente la cultura: «Stiamo chiudendo un accordo di interconnessione tra la rete del Comune e le reti Garr della ricerca. Stiamo dialogando con tutte le istituzioni culturali pubbliche e private della città, a cui proponiamo di allacciarsi alla nostra rete in fibra ottica. A loro sottoporremo un grande progetto di digitalizzazione del patrimonio culturale veneziano, non tanto per la conservazione quanto per la fruizione delle opere. La cultura deve tornare a essere produzione culturale».

Idee e persone

Infine i cittadini. Il progetto di Venezia si gioca molto sulla capacità di spiegare a chi vive in città che cosa può fare per loro internet. La digitalizzazione dei servizi diventerà nel tempo un richiamo importante, ma l’opportunità che si presenta ai veneziani va molto oltre l’accesso da casa all’anagrafe comunale. Si tratta potenzialmente di reinventare la cittadinanza, di ripensare il rapporto tra le persone e il territorio, di annusare le tendenze che stanno mettendo in discussione le istituzioni culturali, economiche e politiche delle nazioni più reattive. In questo Venezia si fa laboratorio d’Italia, chiamando fin d’ora a raccolta idee e persone. Il primo appuntamento è fissato per ottobre, un grande incontro tra Venezia e il mondo della rete per far conoscere ai cittadini e alle aziende locali le esperienze che fanno sognare il mondo digitale.

Tardivi digitali

Immaginate la frustrazione di chi, come me, da quindici anni prova a raccontare scrivendo parlando o facendo formazione cosa significhi internet per la nostra generazione di “traghettatori” culturali, in previsione del significato che questo cambiamento epocale avrà per le prossime generazioni.

Immaginate i sorrisini di assessori regionali, sindaci, dirigenti scolastici, insegnanti, genitori dinanzi a un fanatico capellone (son sempre io) che si intestardisce nel promuovere Cultura Tecnologica e Digitale, nella convinzione che conoscere il funzionamento delle cose sia la mossa migliore per comprenderle e prevenire gli eventuali problemi che possono sorgere, a partire dalla gestione del territorio quale Oggetto tecnologico di cui siamo ecologicamente responsabili, passando attraverso le considerazioni sul risvolto antropologico dell’abitare, per arrivare alla promozione di consapevolezza rispetto alle nuove dinamiche della socialità in Rete.

Nel frattempo, il mondo è cambiato profondamente. Quindici anni fa cellulari e web praticamente non esistevano. Oggi in italia ci sono più cellulari che abitanti, e 10.000.000 dieci milioni di italiani chiacchierano e scherzano su facebook, molti altri rimpiazzano ormai la tv con youtube (quattro anni fa non esisteva), lavorano dentro la Rete o comunque non riescono più a concepire il proprio lavoro o lo studio senza un pc connesso a portata di mano, partecipano alle politiche locali, ricavano identità personale e collettiva dall’appartenenza a Luoghi digitali, s’informano sugli eventi del mondo e abitano tranquillamente nei nuovi Luoghi della socialità umana.

Le istituzioni stanno (lentamente) modificando sé stesse, per garantire forme di abitanza digitale come e-government ed e-democracy ormai attestate come diritti del cittadino, le imprese e il mondo delle professioni riconoscono l’assoluta centralità delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione per l’ottimizzazione dei sistemi produttivi e distributivi di beni e servizi, la Cultura tutta, fatta di idee e opinioni e rappresentazioni, vive dentro la Rete, perché la Rete è la Cultura umana, che fino a ieri trovava supporto nei media cartacei o di celluloide, e oggi si trova assai più comoda in un ambiente fatto apposta per sostenere la Conoscenza. Le idee si propagano da sempre come virus nella socialità umana, noi abitiamo dentro i linguaggi con cui nominiamo il mondo, e oggi le reti planetarie rendono più facile e potente la comunicazione tra le persone. Tutto qui.

Certo, se i massmedia italiani, diversamente da altre parti d’Europa, continuano a trattare con sufficienza e sorrisini altezzosi o con toni scandalistici le forme di abitanza digitale dentro cui loro stessi sono coinvolti (e i quotidiani e i telegiornali italiani in questi ultimi mesi si sono accorti di dover “cambiare per non morire”, vista l’insostenibilità economica dei modelli tradizionali del fare informazione), risulterà più faticoso mostrare le opportunità civiche di miglioramento qualitativo dell’abitare rese praticabili dai nuovi strumenti della socialità umana.

E non esiste nessun “popolo della Rete”, come dicono i giornali: quelle persone siamo noi, normali cittadini, metà o più della popolazione italiana (e solo la miopia culturale e politica ha impedito e impedisce tuttora la riduzione banalmente tecnica del digital divide, altrimenti saremmo molti di più), che ritengono la frequentazione della Rete una normale pratica quotidiana, ludica o professionale, e soprattutto considerano il web una risorsa preziosa per vivere meglio.

Il tempo è galantuomo, dicono, e già qui intorno ho visto spegnersi molti sorrisini di sufficienza; la frustrazione di non essere compresi svanisce nel vedere il mondo cambiare nelle direzioni prefigurate molti anni fa. Abbiam perso delle occasioni, ma molto lavoro è ancora da fare per costruire la consapevolezza diffusa del nostro abitare biodigitale. Questo è anche il vantaggio di sapere di essere nuoviabitanti, e di poterlo scrivere su un blog intitolato NuoviAbitanti. Già molte volte ho affrontato su questo blog di questi argomenti: per amor di varietà segnalo quindi la prefazione del nuovo libro di Luca Sofri “Nati con la rete” pubblicato da Rizzoli, in uscita in questi giorni.

via Luca Sofri

Tardivi digitali

Le persone non più giovani che si accingano a voler capire com’è il mondo delle generazioni «native» devono innanzitutto liberarsi della solida sensazione di essere i protagonisti del nostro mondo e del nostro tempo: inutile illudersi, non lo sono più. E devono liberarsi dall’inclinazione «entomologica» nei confronti dei fenomeni che riguardano i loro figli (o nipoti): noi non siamo scienziati che studiano gli insetti, siamo insetti che studiano gli scienziati, per quanto insetti curiosi e colti, colti di un’altra vecchia cultura. Le nostre analisi le pubblichiamo ancora sui libri di carta e di centinaia di pagine, come questo. E non ci è facile pensare agli adolescenti e ai ventenni come al mondo che è già: lo consideriamo il mondo che sarà, appena ci toglieremo di torno noialtri. Ma il mondo ci ha già tolto di torno: ne frequentiamo uno che risulta sempre più emarginato, illuso da una grande finzione collettiva tenuta in vita dai mezzi di comunicazione che a loro volta gli appartengono e che con lui se ne stanno andando.

È la fine del mondo come lo conosciamo. O almeno lo sarebbe.

Perché rispetto a questo è interessante fare anche un’altra riflessione, simmetrica a quella sui nativi digitali ospitata in questo libro. Ed è quella sul rapporto con la rete di noi non nativi.

Noialtri non nativi apparteniamo a due distinte categorie (trascuro quelli che con internet non hanno ancora avuto mai a che fare, vuoi per sfortuna geografica e sociale, vuoi per età, vuoi per rarissima ostinazione). Ci sono da una parte quelli vengono chiamati «coloni», o «immigrati», o «ibridi». Io preferisco l’ultimo termine, perché descrive la condizione – che è anche la mia – di persone che sono vecchie abbastanza da aver frequentato il mondo «di prima», ma anche giovani abbastanza da avere abitato da subito il mondo «di dopo». È una categoria umana ridotta, per ragioni anagrafiche, ma centrale nella costruzione della conoscenza, della cultura e delle elaborazioni relative alla rete: perché ne ha seguito nascita e crescita avendo già gli strumenti per capirla e discuterla, e il metro per tenerla in relazione con il mondo «di prima». Ne sono stati protagonisti negli scorsi anni, ma ormai la loro presenza si sta ridimensionando mentre avanzano e si allargano i nativi che bene interpreta e descrive Nati con la rete. Ma c’è un’altra avanzata che ha riversato in rete una popolazione nuova in questi ultimissimi tempi.

La chiamerei quella dei «tardivi» di internet: la seconda categoria di non nativi. Sono coloro che hanno cominciato a occupare e a occuparsi di internet solo da poco, di fatto, e soprattutto grazie alla nuova accessibilità e familiarità di alcuni suoi luoghi e prodotti.

Succede con molti fenomeni nuovi. Ci sono delle avanguardie di esploratori che raggiungono e colonizzano luoghi prima inesistenti o sconosciuti. Il west. Uomini in cerca di qualcosa e con poco da perdere si spingono in là senza sapere cosa troveranno: sparano ai bisonti, trattano con gli indiani, dormono intorno al fuoco acceso sotto le stelle e con un occhio aperto. Si adattano al nuovo mondo e ne scoprono le opportunità, a forza di tentativi e fallimenti. Colonizzano, appunto.

Più tardi, quando gli indiani sono stati allontanati e le praterie sono state liberate dai bisonti, c’è uno sceriffo ed è arrivata la ferrovia, gruppi sempre più numerosi di nuovi coloni cominciano ad arrivare. Arrivano con le carovane, traslocando le loro cose, e trovano già i pozzi e l’acqua corrente. C’è una maestra, un saloon e un bordello. Trovano il loro mondo, solo spostato da un’altra parte. Ma si guardano intorno e dicono «qui è davvero un altro mondo».

Questo sta succedendo con internet, in particolare in Italia. Per anni una piccola comunità di esploratori ha provato – spesso riuscendoci – a inventarsi cose nuove che si potessero fare con la rete, e ha costruito un mondo, anche se era un mondo frequentato da pochi. Altri provavano a trapiantare in rete attività e servizi più tradizionali, ma i clienti più tradizionali non erano ancora arrivati. I lettori dei giornali leggevano ancora i giornali, non i giornali online. Poi però hanno cominciato ad arrivare, ad avvicinarsi, ad affacciarsi guardinghi. E a un certo punto hanno trovato Facebook. E sono entrati.

No, non è solo Facebook. Sono molti i luoghi della rete in cui la differenza dal mondo di prima è praticamente inesistente, quasi invisibile, come quando si va in vacanza in un Paese esotico e diverso e si trova una pizzeria italiana, o un McDonald’s. Un esempio facile e interessante è il successo di un sito di pettegolezzi, voci e rassegna stampa dedicate alle celebrities e ai poteri italiani. Tecnicamente un blog, ovvero una delle forme più moderne e rivoluzionarie della comunicazione online. Ma le opportunità sono tarpate, ignorate, tenute alla larga. Non esistono di fatto link, si tratta di un contenitore di testi, come un giornale tradizionale. Non crea relazioni con altri luoghi della rete, è un posto isolato da internet. E ospita da sempre contenuti familiari, propri dell’establishment dell’informazione italiana, quasi vernacolari. È internet per i navigati direttori della stampa nazionale: gossip, vicende di potere bancario e politico, economico e giornalistico. Aggressività verbale, linguaggio spiccio e burineggiante, e notizie pubblicate con secondi e terzi fini. C’era persino il porno, fino a poco fa (il porno è eterno). Tutta l’Italia più zavorrata nel secolo scorso. E che però ha trovato se stessa su un blog, e si è convinta che quello fosse internet.

Si possono fare altri esempi. Il blog italiano più seguito e pubblicizzato negli ultimi due anni è in realtà un altro esempio di sfruttamento poverissimo e semplificato delle opportunità tecniche e relazionali della rete. Niente più di una rubrica su un giornale, con l’aggiunta dei commenti, ma un’aggiunta assolutamente non esaltata o sfruttata. Una sorta di lunga rubrica delle lettere. E ammesso che l’autore le legga (sono centinaia), non le usa, non risponde. Anche lui non si mette in relazione con la rete, non la sfrutta. Non mi fraintendete: si tratta di un successo di lettori e mediatico formidabile, indiscutibile e ammirevole. Ma è un successo che si deve appunto alla familiarità e accessibilità dell’iniziativa. E che anzi probabilmente non sarebbe stato ottenuto lavorando a un’idea più ricca, creativa, condivisa, più fatta a forma di internet. Il blog più seguito in italia ha attratto i lettori estranei agli altri blog: non solo per l’efficacia di quel che dice, ma anche appunto per la sua forma «accogliente», facile.

E poi è arrivato Facebook. Una consolante rivelazione, per i tardivi digitali. È un luogo della rete del tutto familiare, quasi da film di Pupi Avati: ci si scambiano le fotografie, si ritrovano i vecchi compagni di scuola (si fa molto altro, ma su questi due servizi si è basato il grosso della comunicazione propria del social network). Chi accede alla rete da Facebook non ha bisogno di conoscere i meccanismi con cui la rete funziona o di essere appassionato dell’informazione e delle cose del mondo. Ci trova quelle cose che lo interessano e che conosce. Giovanni Boccia Artieri, studioso della comunicazione, ha individuato nel successo di Facebook «l’ascesa della borghesia» in rete. E questo non solo significa che i meccanismi della rete coinvolgono sempre più persone che prima ne erano estranee, ma ha anche un effetto opposto. Internet si «normalizza». Viene ricolonizzata dal mondo di prima. I suoi nuovi abitanti, meno coraggiosi e attrezzati, vi ricostruiscono i modelli familiari. Il successo di Facebook è un successo di funzioni semplici e tradizionali: relazioni con vecchi compagni di scuola, album di ricordi, piccole conversazioni, campagne per i cani abbandonati, promozioni editoriali.

L’accesso alla rete e la sua colonizzazione da parte dei tardivi non si deve per forza prestare a una valutazione, se sia un bene o un male. È una cosa che sta accadendo, inevitabilmente, e con cui è il caso di fare i conti. Ed è ovviamente una buona cosa, come ogni crescita dell’accesso alla rete e a qualsiasi nuovo mezzo di comunicazione in genere. Ha anche delle controindicazioni, per i modi descritti con cui sta avvenendo. Quello che da parte dei tardivi era una volta un atteggiamento di laica e umile curiosità nei confronti di internet si sta trasformando in una rapida sopravvalutazione della propria esperienza. Tornando agli esempi di cui sopra, è accaduto in molte redazioni di giornali che si siano scambiati siti di gossip per un esempio della nuova informazione online e che si siano presi blog politicizzati per una moderna forma di aggregazione e attività politica in rete. Per molti, la punta dell’iceberg di internet citata dai giornali è diventata la propria idea di internet (quindi aggiungeteci bullismo su YouTube, saccheggi della privacy e tutto il repertorio dell’allarmismo giornalistico: spaventalismo). Fino a che non è arrivato Facebook, che è diventato internet. L’espansione di Facebook dentro la rete è stata molto dibattuta in questi mesi: Facebook si allarga e i suoi meccanismi semplificati sottraggono spazio ai servizi e ai siti più ricchi e promettenti. E molte persone che per la prima volta accedono a Facebook attratte da questa semplificazione sono vittime di una sbornia adolescenziale simile a quella dei nativi quando scoprono un nuovo straordinario e fantascientifico videogame online. Si apre loro un mondo, e lo capiscono. Accumulano amici, reinventano le proprie relazioni e il loro tempo libero, scambiano Facebook per l’universo, e la grande rivoluzione tecnologica di questi decenni gli è improvvisamente chiara nella sua generosità: era Facebook. Questa sopravvalutazione ha un limite, come dicevo: impedire che questo primo e facile accesso alla rete preluda a nuove scoperte e nuove opportunità. Questo è ciò che avviene per i nativi, che allargano col tempo sempre di più gli usi della rete e gli spazi che ne conoscono. I tardivi invece confrontano i misteri della rete con i confortevoli luoghi di cui hanno esperienza, e ne stanno alla larga. Per alcuni di loro, questa ritardata emozionante scoperta si traduce rapidamente in elaborazioni, considerazioni, idee, e persino progetti imprenditoriali in ritardo di anni su quanto la rete ha già discusso e analizzato e creato prima. Ma questo potrebbe non significare niente, perché ormai una cospicua parte degli interlocutori o degli utenti di queste idee è a sua volta tardiva, soprattutto in Italia. E così come la televisione italiana non può che produrre contenuti anacronistici e arretrati dipendenti dal suo tipo di pubblico, anche la rete potrebbe rischiare di essere trascinata indietro da ragioni di mercato nuove. Miss Italia su internet potrebbe diventare un grande successo nel 2011. Magari persino il Festival di Sanremo, o l’edizione online di «Micromega».

Oppure no. Oppure ci salveranno i nativi. Anzi salveranno se stessi. La rete è l’ultimo luogo che ci rimane per tenere le redini del futuro, in un Paese così per vecchi da essere diventato un cliché. Ed è un luogo in cui molti si rammaricano non si trovino dei modelli di business adeguati a sfruttare iniziative anche di grande successo di visite e utenti. E proprio questo potrebbe essere un’opportunità per scongiurarle il melmoso destino in cui si dimena il resto del Paese. L’Italia salvata dai nativi digitali.

Quando governano i premoderni

Giampiero D’Alia “Il 5 febbraio 2009, durante la seduta n. 143 del Senato della Repubblica, promuove e ottiene l’inserimento di un emendamento (Art. 50-bis) nel ddl da presentare alla Camera, nel quale si sancisce la Repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet”.

Trovate la notizia e le riflessioni critiche qui sulla Stampa, su PuntoInformatico, su Apogeonline.
Prendendo le mosse dalla presenza in Rete (su Facebook, su YouTube) di pagine inneggianti alla mafia o al nazismo, il senatore arricchisce il “pacchetto sicurezza” del governo con un emendamento contro i reati di opinione commessi appunto attraverso internet, dove i fornitori di connettività provider vengono chiamati a segnalare le apologie di reato, e con molta confusione si chiede ai fornitori di servizi web (come YouTube) di rimuovere pagine o contenuti con la minaccia di oscurare la visibilità web per i navigatori italiani.
Ma il senatore non conosce le cose di cui parla, letteralmente sproloquia, sia dal punto di vista della comprensione “tecnica” del funzionamento del web, sia da quello della portata del suo dire rispetto alla libertà di espressione di ciascuno di noi.

Gilioli dell’Espresso intervista infatti D’Alia, e Elvira Berlingieri su Apogeonline mette nero su bianco tutte le imprecisioni tecniche e giuridiche del senatore, riportando tutto pragmaticamente alle precise parole del provvedimento, segnalando spesso contraddizioni e sottolineando la futilità di una nuova legiferazione per reati già previsti nel Codice italiano.

Leggete anche Granieri, che coglie la dinamica complessiva del nuovo modo di fare informazione distribuita.

Perché scrivo di questa notizia?
Perché stiamo parlando di libertà di opinione e di espressione, che troppi vorrebbero limitare. E perché lo stesso Gilioli, scrivendo a proposito del senatore D’Alia

Il problema è che lui e quelli come lui non si rendono neppure lontanamente conto delle enormità che dicono (e che fanno), della loro drammatica appartenenza culturale a un altro secolo e a reticoli concettuali premoderni

mi ha fatto pensare ai NuoviAbitanti, che provano a vivere in questo ventunesimosecolo e comprendono i reticoli concettuali moderni, o per lo meno s’interrogano su questo stesso blog.

Venerdì a Torviscosa, Museo del Territorio

I NuoviAbitanti partecipano al convegno promosso dall’associazione Risorse Umane Europa, dal titolo “EuroRegione: giovani, informazione e identità economica nella nuova Europa“, venerdì 19 dicembre a partire dalla mattina.

Il convegno (qui il programma) tratterà di strumenti di cooperazione transfrontaliera nel campo della comunicazione, proverà a rispondere ad alcuni interrogativi sull’Educazione alla Cittadinanza anche digitale per le giovani generazioni, nonché sull’armonizzazione dei percorsi formativi scolastici in chiave euroregionale.

Il convegno avrà luogo presso il Museo del Territorio di Torviscosa, dove NuoviAbitanti promuove progettazioni ed iniziative culturali e formative strettamente legate alle peculiarità territoriali, urbanistiche e industriali, di questa cittadina progettata a tavolino e realizzata in pochi mesi, alla fine degli anni Trenta, bonificando paludi e costruendo dal nulla un’importante polo industriale nel settore chimico. Una splendida occasione per trattare di Cultura TecnoTerritoriale: qui e qui trovate la storia e materiale fotografico su Torviscosa realizzato dall’associazione “i Primi di Torviscosa”, ovvero quelli che nel 1938 furono i primi abitanti di questo novello Luogo antropico.

Insegnare ai “nativi”

Fonte: Indire

 

Insegnare ai “nativi” nello spazio mediato di rete

Nasce Taccle, un progetto europeo per accompagnare i docenti del XXI secolo negli scenari aperti dalla Rete e dai nuovi media

di Fabio Giglietto

20 Febbraio 2008

Chiunque sia entrato di recente in una classe, ha conosciuto il tipo di nativi di cui si parla in questo articolo. Si tratta dei cosiddetti natives (Prensky 2001), ovvero quei ragazzi nati a partire dagli anni ’80, cresciuti in mezzo a personal computer e Internet: la prima generazione di giovani socializzati all’uso di una tecnologia da una generazione di adulti che non ha avuto il tempo di comprendere pienamente le logiche di questi nuovi media (Jenkins 2006).

Anche questo non può essere sfuggito a chi abbia frequentato di recente le classi di una qualsiasi scuola. Mentre gli adulti hanno fatto esperienza dello spazio geografico dove per spostarsi da un punto all’altro serve tempo e le distanze si misurano in kilometri, i nativi sembrano avere sviluppato la capacità di muoversi con altrettanto agio nello spazio mediato di rete. Uno spazio che, per essere attraversato, non richiede tempo e in cui le distanze non si misurano in kilometri, ma in nodi della rete sociale che bisogna percorrere di link in link per raggiungere la propria meta. Lo spazio mediato di rete non sostituisce per i nativi lo spazio geografico, ma vi si affianca come una nuova dimensione. Una dimensione fatta di bit e non di atomi. Anzi, una dimensione fatta di comunicazione. Una rete di conversazioni che si fanno permanenti, replicabili, ricercabili e spesso rivolte a un pubblico indistinto (Boyd 2007). Conversazioni permanenti nel tempo, come un messaggio scritto su un post-it, un libro o un post su un blog. Replicabili come qualsiasi contenuto digitale soggetto all’inesorabile legge del copia/incolla e ricercabili con Google. Rivolte (o almeno esposte) a un pubblico indistinto, come un articolo di un quotidiano, un romanzo o il proprio profilo di MySpace.

Oggi lo spazio in cui i nativi digitali passano il loro tempo è questo: si muovono con disinvoltura fra lo spazio geografico dei loro genitori e quello mediato di rete. In questo ambiente ibrido socializzano, fanno esperienze, giocano, apprendono. Ecco, apprendono. È questo lo scenario nel quale alcuni anni fa un gruppo di partner provenienti da Belgio, Inghilterra, Spagna, Austria e Italia hanno deciso di provare ad affrontare (to tackle) da una nuova prospettiva il grande tema dell’alfabetizzazione ai nuovi media degli insegnanti. Oggi, grazie al finanziamento della Commissione Europea, stiamo provando a realizzare questo progetto.

Nasce così Taccle (Teachers’ Aids on Creating Content for Learning Environments), un progetto multilaterale Comenius che alla fine del biennio 2007-2009 produrrà e rilascerà sotto licenza aperta e liberamente modificabile un manuale, un wiki e un corso pilota che mostri agli insegnanti europei come utilizzare lo spazio mediato di rete come ambiente per l’apprendimento. Scrivere per il web, aprire e gestire un blog, comprendere le logiche dei social networks e di Wikipedia, costruire materiali didattici basati sul riutilizzo creativo delle risorse esistenti (mashup) e saper distribuire i propri contenuti in rete applicando a essi le forme di licenza Creative Commons, sono solo alcuni dei temi che il progetto Taccle affronta. È importante formare gli insegnanti su come creare contenuti di qualità che permettano un utilizzo proficuo di questi nuovi ambienti di apprendimento, e questo è lo scopo principale del progetto TACCLE. L’auspicio è infatti quello di contribuire al formarsi di una cultura dell’innovazione nelle organizzazioni educative: nei suoi contenuti, servizi, teorie e pratiche pedagogiche, così come indicato negli obiettivi del programma LLP.

Ma l’innovazione non è solo nei contenuti. I partner hanno infatti concordato sull’idea di utilizzare per lo sviluppo stesso del progetto quegli strumenti e quei principi che Taccle vuole promuovere: ecco perché Taccle utilizza per il proprio sito un sistema di management dei contenuti open source; per scrivere collaborativamente il manuale viene utilizzato un wiki; per raccogliere risorse utili il tag taccleproject su del.icio.us.

Abbiamo deciso di iniziare ascoltando le esigenze dei destinatari del progetto: tutti i processi che porteranno alla realizzazione degli obiettivi di Taccle saranno aperti, trasparenti e condivisi con la comunità dei docenti. Sappiamo che senza il coinvolgimento e la collaborazione degli insegnanti non riusciremmo che a scalfire la superficie di una questione straordinariamente importante per il futuro della nostra società. Per questo chiediamo a tutti i docenti interessati di darci una mano e collaborare a Taccle entrando in contatto con i partner, frequentando e commentando il nostro sito e, soprattutto, dedicando dieci minuti a compilare il questionario online che abbiamo predisposto per iniziare a conoscerci meglio. Il gruppo di partner di progetto ha realizzato il questionario per raccogliere – a livello europeo – informazioni sulle conoscenze, le abilità ed i bisogni dei docenti che utilizzano (o meno) questi strumenti nella loro attività di insegnamento e per comprendere le loro reali esigenze formative.
Sono già tanti gli insegnanti di tutta Europa che in questi giorni lo stanno compilando!

CLICCA QUI PER COMPILARE IL QUESTIONARIO ONLINE

Fabio Giglietto

 

NuoviAbitanti

Tecnoterritorialità e promozione sociale

  • Il territorio è natura e tecnologia
  • La Tecnologia è cultura contestualizzata molto spesso mal conosciuta
  • Ogni cultura e paradigma storico esprime una propria tecnoterritorialità
  • Siamo in una società glocale e biodigitale
  • Caratteri tecnoterritoriali della società contemporanea
  • Dalla tecnoterritorialità elettromeccanica ed elettromagnetica alla tecnoterritorialità digitale e web
  • Bisogno di nuovi comportamenti e nuove organizzazioni
  • La società del meticciamento
  • La società dell’iconolese e dell’anglese
  • Il borghi digitali e la geografia digitale
  • Verso una diversa urbanistica della doppia abitanza
  • Crescere nuove generazioni in crescita
  • Necessità di antropogia, paradosso della condizione adulta contemporaneo che ‘deve’ apprendere dalle ultime generazioni
  • Rischi di perdita della prima abitanza
  • Rischi di autismo informatico e onirismo mediatico
  • Una nuova creatività: la scoperta del glocale
  • La socialità in rete
  • La necessità di essere abitanti
  • Non si può esercitare la prima abitanza senza il contatto diretto con i luoghi
  • Non si può esercitare la seconda abitanza senza l’interazione nei siti
  • Si è veri abitanti se si ha la doppia abitanza
  • In un mondo complesso non si riesce ad essere soggetti attivi se non si esprime una socialità ampia che però non può poggiare solo sulla relazionalità interpersonale
  • Occorre la dimensione socioambientale
  • Dalla democrazia rappresentativa e della delega alla democrazia partecipativa
  • Riconquista di prospettive di progettazione partecipata

NuoviAbitanti a Pordenone

Martedì 11 dicembre, alla Sala Convegni della Camera di Commercio di Pordenone (vedi invito) avrà luogo un seminario pubblico promosso dall’Assessorato alle Politiche sociali sulle tematiche dell’e-Democracy e dei social network.

Il Comune di Pordenone sta provvedendo in questi giorni – la notizia è apparsa anche sulla stampa – alla realizzazione di reti wireless per la diffusione della connettività veloce ai cittadini sul territorio comunale, ed è sicuramente un buon segno che presso la Pubblica Amministrazione venga presa seriamente in considerazione la progettazione e l’allestimento di Luoghi digitali dove i cittadini possano ricevere ed offrire informazioni, spazi web dove certo il Comune possa illustrare sé stesso e le proprie iniziative, ma al contempo offrire piazze telematiche e occasioni di incontro per tutti gli attori sociali del territorio.

NuoviAbitanti partecipa al progetto pordenonese portando i propri ragionamenti e la propria esperienza nel delineare alcune dimensioni senz’altro antropologiche della moderna Abitanza digitale, come pure la necessità di una diffusione di una Cultura TecnoTerritoriale in grado di far comprendere il significato “connettivo” e identitario, nonché civico, degli oggetti e degli ambienti vitali interattivi delle generazioni biodigitali.

Tra qualche anno guarderemo indietro e giudicheremo buffi questi incerti primi passi nei Luoghi dell’Abitanza digitale, dove quasi senza mappe noi primi esploratori oggi stiamo costruendo i primi spazi digitali urbani, in quanto espressamente progettati per una fruizione sociale da parte di una collettività residente in modo biodigitale.

Il nostro procedere a tentoni (peraltro, l’unico modo giusto: chi potrebbe saper cosa fare dinanzi all’ignoto?) non può ora che nutrirsi delle idee di tutti, di opinioni, riflessioni, dialogo: i Luoghi sociali dell’Abitanza sorgeranno come risultato olistico della partecipazione della collettività, dei singoli e dei gruppi sociali già motori di socialità e nodi nelle reti di relazioni interpersonali, dell’allestimento corale di una identità multipla e dialogica.

Abitanza biodigitale

Il solito, ottimo articolo di Giuseppe Granieri, su Apogeo.

Granieri prende le mosse da alcune considerazione su SecondLife; il discorso affronta in seguito la tematica dell’abitare consapevolmente nei mondi digitali, e soprattutto pone l’attenzione sui processi sociali in atto che portano i nuovi ambienti di vita degli Umana ad essere percepiti e riconosciuti come dimensione imprescindibile del vivere odierno.

Alcune frasi interessanti:

… Il blogging e il social networking imponevano, per essere capiti, la necessità di cambiare completamente schemi mentali nel rapporto con l’ambiente mediale.

… Non c’è redenzione, l’uomo del XXI secolo è destinato a non smettere mai di imparare (B. Sterling)

… Pensiamo a come percepiamo la responsabilità delle nostre azioni in un ambiente che consideriamo virtuale, quindi – in vulgata – non esistente, contrario a reale

… De Kerkhove parla della necessità, per capire chi siamo oggi, di superare il vincolo naturalistico e accettare che viviamo in una condizione anche digitale che ristruttura la nostra vita sensoriale. Rodotà ragiona sulla necessità di adeguare il diritto, partendo da una considerazione dell’habeas corpus che oggi è sia fisico sia elettronico. Antonio Caronia parla di corpo disseminato

… Per ragionarci, come nella tradizione del web, tutti insieme. E per imparare, come abbiamo fatto con il web, a superare la fase delle cassettiere o delle gif animate.

Il sabato del villaggio globale

A commento della quarta traccia per la prova scritta dell’esame “di maturità”, la quale testualmente recita:

L’industrializzazione ha distrutto il villaggio, e l’uomo, che viveva in comunità, è diventato folla solitaria nelle megalopoli. La televisione ha ricostruito il «villaggio globale», ma non c’è il dialogo corale al quale tutti partecipavano nel borgo attorno al castello o alla pieve. Ed è cosa molto diversa guardare i fatti del mondo passivamente, o partecipare ai fatti della comunità.» G. TAMBURRANO, Il cittadino e il potere, in “In nome del Padre”, Bari, 1983
Discuti l’affermazione citata, precisando se, a tuo avviso, in essa possa ravvisarsi un senso di “nostalgia” per il passato o l’esigenza, diffusa nella società contemporanea, di intessere un dialogo meno formale con la comunità circostante

Rodotà esplicita alcuni ragionamenti assai puntuali e moderni rispetto alle giovani generazioni biodigitali, al loro immaginario, al loro stile di pensiero.

“…i ragazzi intorno ai ventenni sono essi stessi la globalizzazione. Sono immersi in un flusso continuo di comunicazioni, scaricano musica e film, alimentano YouTube, attingono conoscenze dalle fonti più disparate, producono e subiscono modelli di comportamento, fanno e disfano comunità virtuali, assumono identità molteplici…

Il popolo di Internet, di cui le persone giovani costituiscono il nerbo, è al di là della logica televisiva. Frequenta il più ampio spazio pubblico che l’umanità abbia conosciuto…

Siamo di fronte a una nuova condizione umana, che certo può produrre nuove forme di solitudine e di esclusione, che può imprigionare la vita nello schermo di un computer, ma che deve essere considerata come elemento essenziale della dinamica complessiva che stiamo vivendo…” 

Stefano Rodotà, Il popolo di YouTube non ha più nostalgie, La Repubblica, 21 giugno 2007, p.14

tratto da: Wild Web Chapinèring: Temi, esami e YouTube

 

Promuovere gli Abitanti

L’Associazione culturale NuoviAbitanti pone attenzione al rapporto tra tecnologia e territorio ragionando sul concetto di Abitanza, come indicazione di un certo atteggiamento consapevole riguardo all’aver cura dell’Ambiente Naturale e soprattutto dell’Ambiente Costruito in cui tutti viviamo e da cui traiamo senso di identità personale e sociale.
Per questo motivo assume rilievo la dimensione sociale della collettività, la comunità su un territorio di una determinata estensione (secondo le dinamiche degli insediamenti abitativi umani, secondo la percezione antropologica con cui le comunità identificano sé stesse, secondo urbanistica e reti tecnologiche produttive e distributive di beni e servizi) dove poter realizzare la traduzione di un astratto Benessere in concreto Ben-stare, ora e in questo luogo. E anche gli ambienti online sono luoghi abitati, a cui prestare la medesima cura.

Quindi, promozione sociale degli Abitanti tutti ed in particolare per il mondo della scuola, dove vista la necessità etica di preparare le giovani generazioni biodigitali a comprendere e fruire del mondo del 2035, urge provvedere con progettazioni e formazioni specifiche per i docenti: le competenze da acquisire potrebbero essere proprio quelle che li rendono in grado di concepire il TecnoTerritorio e le dinamiche sociali attuali – nei massmedia, in Rete, nel gruppo-classe, nella socialità quotidiana – anche alla luce dei nuovi modelli di comunicazione e di “arredamento” della conoscenza che il software portabile, nonché il social software su Web rendono oggi possibili.
Oltre a fornire effettivamente dei luoghi nuovi in cui poter vivere socialità (ad esempio, un blog per una classe delle superiori docenti compresi) oltre a fornire nuovi contenuti di cui trattare necessariamente in ambiti formativo (sciocca appunto quella scuola che non prepara i ragazzini a comprendere una realtà biodigitale), il web moderno offre soprattutto un intero nuovo linguaggio, in cui poter ri-formulare noi stessi, i modi con cui veniamo coinvolti nelle reti sociali, il nostro stesso dare senso agli accadimenti.

Come prima positiva conseguenza, notiamo come alcune buone prassi maturate in Rete quali la fiducia nella condivisione della Conoscenza e nello scambio interpersonale (vedi la Wikipedia o la filosofia OpenSource) possono riversarsi in questo mondo di atomi, consentendo la nascita di nuove modalità interazionali maggiormente consapevoli delle finalità etiche della partecipazione; si impara dappertutto.

NuoviAbitanti

Riflettere collaborativamente sulla storia industriale

sophia.it

La storia è condivisa con Wikindustria
11 Giugno 2007

Storiaindustria cresce e con il wiki il sapere si fa condiviso. Il sito sulla memoria industriale del Nord Ovest, iniziativa del professor Luciano Gallino per ricostruire e illustrare sul web il passato di fabbriche, prodotti, mestieri, modi di lavorare e organizzare le aziende che hanno caratterizzato la cultura e l’identità territoriale del Nord Ovest dal 1850, offre oggi un nuovo strumento. E’ WikiRedazione, un ambiente di lavoro distribuito che permette ai navigatori di offrire e condividere le proprie conoscenze e le proprie memorie.

Anche se si rivolge prima di tutto a studenti e insegnanti delle scuole superiori e alle università, WikiRedazione non è solo un innovativo strumento didattico. Alla redazione delle pagine possono partecipare tutti: l’obiettivo è quello di sperimentare la creazione di una comunità diffusa di utenti-autori che scriva contributi originali, che reperisca materiali su industrie locali, che animi il dibattito on line sui tema di interesse comune.

Richiamando il paradigma di lavoro cooperativo diffuso “wiki”, dopo essersi registrato con una e-mail ognuno può contribuire alla redazione di nuovi contenuti o modificare quelli già offerti da altri partecipanti su temi specifici, identificati da parole chiave legate a imprese, prodotti o personaggi. Ma è anche possibile proporre nuove voci da aprire a contributi collaborativi, intrecciando i propri interessi con i percorsi formativi del sito. Una redazione valuta i singoli interventi e li pubblica come approfondimenti tra le pagine dei corsi online.
Il tutto con licenza Creative Commons 2.5. Coerentemente con la filosofia del Web 2.0, gli utenti di WikiRedazione non hanno bisogno di conoscenze di programmazione né di strumenti informatici specifici: bastano un pc collegato in Rete e molta curiosità a navigare nel Web.
WikiRedazione è stato sviluppato dal CSI-Piemonte appositamente per il progetto multimediale on line di Storia e Cultura dell’Industria e si basa sulla personalizzazione del prodotto open source “DokuWiki”.

Web
Storiaindustria www.storiaindustria.it
Wikiredazione www.storiaindustria.it/wikiredazione.shtml

Dal blog NuoviAbitanti

Paesaggi antropici sonori

Nova24 Ora!: Cacciatori di rumori perduti

Cacciatori di rumori perduti

Sul numero di Nòva oggi in edicola un articolo di Michele Fabbri ci racconta una nuova moda nata sul web: internet sta diventanto un archivio dove conservare la memoria del suono. Stanno nascendo molti siti che archiviano voci quotidiane che provengono dal paesaggio.

Cliccando qui potrete per esempio ascoltare il suono emesso da un ciabattino ottuagenario che vive in un paesino delle Dolomiti (ritratto nella foto a sinistra), uno dei tanti casi raccolti dal progetto Acoustic environment in change

 Continuando a leggere questo post, invece, troverete i link per raggiungere i migliori siti che si occupano di preservare l’esistenza dei suoni in via di estinzione.

Ascoltare la voce di lavandaie in Vietnam, stazioni ferroviarie o rumori del porto di Vancouver. Ma anche comizi per strada, musica popolare. E ancora, squillo di vecchi telefonini e voci di motori. Ecco tre link da non perdere:

www.quietamerican.org
www.radiantslab.com/musiek/phonography
http://freesound.iua.upf.edu

Quest’ultimo ha una sezione molto interessante: cliccando qui – infatti – potrete ascoltare i suoni e scoprire la posizione geografica di provenienza grazie all’integrazione con Google Hearth.