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Vogliamo il wifi libero: no alla proroga del decreto Pisanu

Sergio Maistrello propone una riflessione collettiva riguardo quel famoso decreto Pisanu, ne parlavo en passant qui e qui, che in italia in pratica soltanto ostacola pesantemente la connettività dei cittadini negli spazi pubblici o semipubblici cagionando rallentamenti notevoli nella comunicazione tra le persone, proprio oggi che in epoca di cambiamento sociale abbiam più bisogno di far circolare le idee per scoprire come abitare dignitosamente questo Mondo 2.0.

Tornerò sicuramente sull’argomento in un prossimo futuro: si tratta di sostenere pacatamente ma in modo concreto e puntuale (proprio come Maistrello) una posizione di civiltà rispetto alla necessaria diffusione di una Cultura Digitale in italia.

Quest’anno no: lasciate scadere la legge Pisanu

[…] Mentre altrove internet si rafforza come diritto riconosciuto all’interazione con l’altro, un’infrastruttura per il progresso sociale ed economico da favorire e da proteggere, per le classi dirigenti italiane – complici leggi miopi o leggi d’emergenza protratte nel tempo, come la Pisanu – si è trasformato nel luogo comune dell’inutilità, della devianza e del reato diffuso. Non abbiamo sconfitto i nostri fantasmi, in compenso abbiamo perso tempo e opportunità, che oggi costerà molto più caro recuperare. Abbiamo perso anche diritti, lasciando che oggi in determinate circostanze gli estremi delle nostre navigazioni parlino per noi con un’intimità che mal si concilia con la legislazione sulla privacy di un paese civile. Questa legge ha contribuito a trasformare un paese spaventato dai mantra delle sue stesse leadership in un paese più arretrato, più rinchiuso in se stesso, più complicato, più pessimista di quanto il mondo d’oggi consentirebbe. La legge Pisanu non garantisce di fermare la pazzia di un estremista, in compenso sta contribuendo alla strage quotidiana delle aspettative e delle opportunità di una intera nazione.

Alzare la voce

L’eccezionalità delle richieste d’urgenza presentate nel 2005 dal ministro Beppe Pisanu si spiegano in virtù del loro carattere dichiaratamente provvisorio: sarebbero dovute scadere il 31 dicembre 2007. Se non fosse che prima il governo Prodi II (con il milleproroghe del 31 dicembre 2007) e poi il governo Berlusconi IV (col milleproroghe del 18 dicembre 2008) ne hanno garantito fino a oggi la piena efficacia. È inutile recriminare sulle scelte fatte, ma è nostro dovere influire come cittadini su quelle che possono ancora cambiare. La prossima scadenza utile, sulla quale sarebbe opportuno si aprisse questa volta in tempo utile un dibattito sereno e costruttivo, è il 31 dicembre 2009.

Fanno 85 giorni a partire da oggi. 85 giorni in cui chi ha a cuore il futuro della rete in Italia è chiamato a far sentire la propria voce.

Fonte: Apogeonline (leggete tutto l’articolo!)

Strumenti per la democrazia

Twitter è un servizio di microblogging. Ci si crea un account e in seguito tramite cellulare, email o direttamente via web si possono mandare messaggi di testo (ultimamente, anche cose multimediali) lunghi 140 caratteri, dove si dovrebbe descrivere cosa stiamo facendo in quel preciso momento. Cose tipo “sto mangiando un pizza da Mario”, “sto leggendo l’ultimo libro di Paperoga”, “il sottoscritto va al cinema”.
Poi è possibile iscriversi agli account twitter dei nostri amici o colleghi (decine o migliaia che siano), cosicché si formano delle community di persone che si tengono costantemente in contatto tra loro scambiandosi opinioni e stati d’animo.
Certo, vista la lunghezza limitata del messaggio, più che per alloggiare contenuti articolati e strutturati Twitter serve soprattutto per mantenere il contatto tra le persone, per sostenere le reti relazionali, per restare sintonizzati.
Obama ha fatto largo uso di Twitter durante la sua campagna elettorale, e alle recenti votazioni europee anche i candidati nostrani – a esempio la Serracchiani, che ha puntato decisamente sulle nuove forme di socialità in rete – hanno tenuto i “seguaci” (le migliaia di followers) costantemente aggiornati sui propri spostamenti sul territorio, sulle proprie opinioni lampo sui fatti di cronaca, sulle indicazioni politiche.

Ma Twitter ha mostrato anche funzionalità insospettate: nel caso di calamità naturali, compreso l’ultimo terremoto in Abruzzo, i primi messaggi con le prime notizie sono giunti direttamente dal luogo del disastro, che le fonti giornalistiche istituzionali hanno subito ripreso e propagato. Forme nuove di citizen journalism che sono sostanzialmente rese possibili dal semplice possesso di un cellulare connesso.

In questi giorni pare stia succedendo una rivolta popolare in Iran, in seguito ai presunti brogli elettorali. In questo paese con una scarsa libertà di informazione, tutto viene soffocato e nulla si vorrebbe far trapelare all’estero. Ma Twitter e YouTube sono lì, a mostrare cosa veramente succede nelle piazze e nelle strade, al di là della propaganda di governo sui massmedia tradizionali, cui nessuno crede più. Le persone comunicano disintermediando la comunicazione ufficiale, dando una rappresentazione mediatica diretta della realtà garantita dalla polivocalità e dalla spontaneità delle fonti.

E il Governo statunitense stesso si è mosso per consentire che le migliaia di voci dissidenti iraniane potessero trovare eco sui media mondiali, che da questi nuovi strumenti di democrazia in queste ore attingono per mostrare nei telegiornali cosa stia succedendo.

Il Dipartimento di Stato americano ha chiesto ai titolari di Twitter, il social network sul quale il candidato iraniano Mir Hossein Moussavi ha una pagina personale, di rinviare la manutenzione programmata prevista, in modo da consentire la copertura degli avvenimenti iraniani. Twitter, ha affermato un funzionario che vuole restare anonimo, e’ “un importante mezzo di comunicazione, in Iran in modo orizzontale”. Twitter aveva gia’ posticipato di un giorno la manutenzione, prevedendola per questa notte. Lo stesso Moussavi aveva implorato che fosse tenuto aperto l’unico canale di comunicazione tra la societa’ civile iraniana e il resto del mondo. Sul social network il candidato riformista ha annunciato di essere pronto a spiegare al popolo iraniano le proprie ragioni in diretta televisiva.

link: IRAN: APPELLO USA A TWITTER, “RESTATE APERTI” | News | La Repubblica.it

Web20: politiche e prassi della comunicazione politica

[Post lungo, ma spero sufficientemente discorsivo. Oggi i ditini correvano sulla tastiera, e come sapete quello che si scrive in venti minuti abbisogna di due ore di tempo per essere presentabile. Oggi avevo mezz’oretta.
“Se avessi avuto più tempo, avrei scritto una lettera più breve.” Marco Tullio Cicerone, filosofo e politico.
In ogni caso, paragoni irriverenti a parte, in fondo al post trovate dei link per interessanti documenti sul tema de “La Pubblica Amministrazione e il web 2.0]

Norberto Bobbio e Giovanni Sartori ci hanno insegnato che la democrazia è soprattutto un insieme di regole, un insieme di procedure che consentano la libera scelta dei governanti da parte dei governati. Questo è il nucleo minimo fondante senza il quale, giusta la lezione dei fondatori della politologia italiana contemporanea, discorrere di democrazia è esercizio retorico, quando non fuorviante. L’esistenza di questo nucleo minimo di procedure democratiche rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente affinché si consolidi e si sviluppi una democrazia e, a maggior ragione, una democrazia di qualità. Alle procedure della democrazia, infatti, vanno aggiunte quelle dimensioni di contesto che ne rendano effettiva l’applicazione. Se è vero che i governi democratici possono scaturire solo dalla corretta applicazione di procedure democratiche, purtroppo non è vero l’inverso: l’esistenza di regole democratiche non ci garantisce mai completamente dall’utilizzo perverso delle medesime.
(Marco Almagisti, su ComunicatoriPubblici)

Certo, la democrazia è una tecnologia.
Tecnologia abilitante, si suole dire oggidì. Tutte le tecnologie sono in realtà abilitanti, perché un telaio tessile del neolitico non solo permette di costruire tessuti, ma anche di pensare meglio alla progettazione dei vestiti, tanto quanto un computer connesso non è solo uno strumento per redigere documenti come la macchina per scrivere, ma consente una raffigurazione mentale e proiezioni operative migliori delle nuove forme di abitanza delle collettività umane, come nel caso delle suggestioni offerte dai ragionamenti sulla cittadinanza digitale.
Le collettività umane sono da sempre interconnesse tramite strade, semplicemente le moderne reti telematiche fanno emergere e rendono visibile la socialità su scala planetaria, e la loro maggior efficienza nello scambio di informazioni (sincronia, multimedialità) permette al pensiero di immaginare prima e di sperimentare poi miglioramenti qualitativi nelle forme dell’abitare umano, anche rispetto alle forme di governo, sempre storicamente deterninate, di cui le collettività intendono dotarsi e ai meccanismi del loro funzionamento pratico.
Se le strade fossero ancora in terra battuta e non ci fosse il telegrafo, la dimensione delle province italiane sarebbe diversa, tanto per dire, perché vi sono dei limiti nell’estensione geografica che è possibile amministrare efficacemente senza una dovuta organizzazione, tant’è che l’impero romano possedeva un sistema di posta a cavallo ineguagliato fin quasi l’Ottocento.

Torniamo alla democrazia. Vi è una domanda in noi in quanto collettività che riguarda le modificazioni dell’ambiente interumano in direzione di forme di governo rappresentativo e di giustizia sociale, e la democrazia è uno dei modi possibili per rispondere al come organizzare le strutture sociali di potere, controllo e promozione culturali e economiche (quest’ultimo termine da oikòs nomòs, ovvero “le regole della casa/ambiente”, acconcia amministrazione, cerchiamo di non dimenticarcelo).
Poi la tecnologia, in quanto attività tutta umana, veicola necessariamente valori ed è valore in sé, e la Storia ci porta oggi a considerare appunto la democrazia stessa come un valore in cui credere e da difendere, almeno dalla Rivoluzione americana e francese in qua, in quanto forma di governo preferibile.
Il perché sia preferibile risulta abbastanza semplice, una volta indagate le assiologie valoriali soggiacenti al pensiero che pensa in che modo certi uomini debbano governare altri uomini, e giungendo così a comprendere come la democrazia, grazie ai suoi meccanismi di funzionamento, offra maggiori garanzie nel rispetto del valore dell’uguaglianza sociale – una testa un voto, e nessun feudatario accede a verità più profonde in virtù della sua ricchezza, né possiede per status o ceto maggior ragione per governare gli altri – e al valore della partecipazione soggettiva alle riflessioni e alle scelte politiche nella gestione della cosa pubblica, in direzione di una maggiore qualità della politica.

La democrazia come tecnologia ci abilita a pensare un mondo migliore.
Se fossi incapace di pensare un concetto come la democrazia, non potrei raffigurarmi mentalmente né dar luogo concreto (tramite pensiero tecnologico, quindi progettazione per il futuro e modificazioni dell’ambiente) a innovazioni sociali riguardanti il benessere delle collettività, misurato sull’uguaglianza degli esseri umani e la loro libera partecipazione alle decisioni sull’amministrazione dei territori.

I valori e le conquiste sociali democratiche vanno poi diffusi capillarmente nella società, mantenuti vivi, alimentati. Questo ci porta a ragionare di comunicazione politica, o meglio delle possibili politiche della comunicazione politica.

Certo, l’informazione è potere, e una storia delle forme di governo potrebbe essere tranquillamente scritta a partire da una classificazione delle forme di comunicazione istituzionale permesse o promosse all’interno di una data collettività. Dove evidentemente un principe ben poco concedeva al popolo riguardo la pubblicazione dei suoi affari di stato (perché avrebbe dovuto?), e di converso gli individui ben poco potevano decidere riguardo le scelte politiche inerenti la collettività di appartenenza.

Giungiamo ora rapidamente ai giorni nostri, e notiamo l’esistenza di molti Luoghi di dialogo “dal basso” tra cittadini e istituzioni (i partiti politici, i movimenti, i comitati) che da molti anni possono contare su tecnologie in grado di amplificare la voce come i giornali e la radio, la televisione e Internet.
Dall’Indice dei libri sottoposti a censura ecclesiastica con il famoso “visto-si-stampi” e l’imprimatur, alle scenografie e alla propaganda naziste e fasciste, alle moderne sottili forme di manipolazione del consenso e dell’opinione pubblica tramite il controllo (o la diretta proprietà) dei mezzi di comunicazione di massa, molto sappiamo e molta letteratura ci mette in guardia rispetto alla comunicazione “dall’alto”, alla capacità del Potere di allestire visioni del mondo funzionali al riconoscimento sociale della bontà del proprio operato, misconoscendo o inibendo la diffusione di informazioni od opinioni a sé controproducente.

Oggi però esiste il web, sociale e partecipativo, paritetico e neutrale, libero luogo di espressione.
La partecipazione dei cittadini è stata disintermediata, non è più necessario possedere un giornale o un sistema di produzione radiotelevisivo per esprimere la propria opinione ed essere ascoltati da migliaia di persone. In Rete avvengono aggregazioni sociali spontanee, basate sulla condivisione di interessi, e riflettere e proporre iniziative sulla gestione della cosa pubblica è fortunatamente prassi diffusa, dentro i forum di discussione a dimensione planetaria oppure nei blog urbani.

Le recenti evoluzioni tecniche del web (web 2.0) hanno reso la partecipazione ancora più facile, abilitando in tutti noi una concezione finalmente sociale della Rete quale Luogo antropico abitabile, di cui aver cura proprio in quanto nativamente connotato di democrazia (non esistono bit di informazione “privilegiata” rispetto ad altri, nel correre lungo i cavi delle connessioni planetarie; la mail di un ministro viaggia veloce come la mia, e questo blog è “visibile” tanto quanto quello di una multinazionale) e campo stesso di esercizio dell’agire democratico, da parte di individui o gruppi sociali più o meno organizzati.

Le persone ora usano il web.
Se camminate per strada, guardate quelli tra i venti e i cinquantanni: la metà di loro ha un account su Facebook, in italia (il che non è in sé buona cosa, però a FB verrà riconosciuto il fatto di aver introdotto allo scambio e al confronto interpersonale milioni di persone, sbozzandone le prime competenze di cultura digitale: comprendere che Facebook non è un luogo democratico è già un primo passo in questa direzione).
Il passaparola delle relazioni interumane concrete come pure le milioni di parole scritte qui in Internet nel corso degli anni sono costantemente disponibili per l’auto-formazione sul corretto utilizzo dello strumento, dalla netiquette alle considerazioni sull’identità e sulla reputazione personale. I nuovi arrivati potranno all’inizio essere un po’ disorientati dall’esplosivo fiorire di mille luoghi espressivi, ma rapidamente comprendono come Internet sia oggi il posto migliore per pensare con la propria testa, trovare informazioni ed esprimere opinioni, dove l’autorevolezza del dire non dipende automaticamente dalla fonte (i giornali, i governi, le multinazionali) ma dalla capacità di articolazione del proprio pensiero nel rispetto della conversazione pubblica e del dialogo, nell’apertura e nel confronto.

Quindi noi semplici cittadini per prove ed errori, nel coinvolgimento personale fatto di passione e di stupide salatissime bollette telefoniche (soprattutto in italia) per un servizio di connettività alla popolazione che per una banale questione di civiltà dovrebbe funzionare secondo il modello delle strade statali, siamo riusciti ad affacciarci sul web e ad abitarci in modo stanziale e costruttivo, mentre a tutt’oggi in Parlamento ancor più stupidi legislatori o sedicenti esperti locali di etica e comunicazione cercano di proibire, oscurare, censurare la libertà della Rete, di cui palesemente non comprendono né il funzionamento tecnico né le implicazioni sociali, culturali e civiche, in relazione al futuro e alla qualità della vita delle prossime generazioni. E per fortuna la stessa maggioranza parlamentare cui appartengono rigetta le loro proposte di legge: sto pensando ovviamente alla figura meschina fatta di recente da D’Alia e Carlucci.

Tra l’altro i politici in tempo di elezioni da sempre promettono di asfaltare le strade, ma ne ho visti pochissimi parlare seriamente di riduzione dello spartiacque digitale – ché divario digitale non è digital divide, la corretta traduzione è ben più radicale – tra chi può e chi non può accedere al web in maniera dignitosa, e ancor meno comprendere l’assoluta impellente necessità di provvedere competenze civiche ai cittadini sulle nuove forme di abitanza e di democrazia elettronica, e non sto ovviamente parlando di alfabetizzazione agli strumenti.

Nonostante esistano buone leggi e indicazioni per l’ammodernamento del paese, le istituzioni indubitabilmente sono rimaste indietro, nel loro fare comunicativo. Un po’ perché le pubbliche amministrazioni sono frequentate da personaggi, da un ministro a un preside scolastico giù giù fino a un’impiegata dietro uno sportello, che pensano di vivere ancora in un’epoca in cui “non sono tenuti a dare informazioni” (notare la peculiare costruzione grammaticale), un po’ perché nell’istituzione stessa manca una cultura della comunicazione intesa come dialogo con i cittadini (i famigerati “siti-vetrina” altro non sono che una attualizzazione dell’Albo Pretorio, evidentemente monodirezionale), un po’ perché le indicazioni legislative sulla trasparenza delle procedure amministrative, back-office e front-office, almeno dalla Bassanini 1997 in qua, sono state ampiamente disattese.
En passant, vi ricordo che in quanto cittadini, secondo il Codice dell’Amministrazione digitale del 2006, avete diritto all’uso delle tecnologie (art. 3), diritto all’accesso e all’invio di documenti digitali (art. 4), diritto ad effettuare qualsiasi pagamento in forma digitale (art. 5), diritto a ricevere qualsiasi comunicazione pubblica per e-mail (art. 6), diritto alla qualità del servizio e alla misura della soddisfazione (art. 7), diritto alla partecipazione (art. 8), diritto a trovare on-line tutti i moduli e i formulari validi e aggiornati (art. 58).

E-government ed e-democracy sarebbero in buona misura praticabili oggi stesso, se gli amministratori pubblici non si comportassero come feudatari medievali, timorosi di una sana e proficua comunicazione bidirezionale tra Istituzioni e cittadini.

Dicevo che esistono numerose Indicazioni e Linee guida per la qualità della comunicazione pubblica della Pubblica Amministrazione: sul sito del Formez potrete trovare documenti e relazioni relativi all’adozione delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione nei settori pubblici.
In particolare, di recentissima pubblicazione sono gli Strumenti per le Amministrazioni 2.0, a cura del CNIPA Centro Nazionale per L’Informatica nella Pubblica Amministrazione, relativi all’utilizzo di approcci moderni 2.0 nella progettazione e nella conduzione di siti web e nelle attività di comunicazione pubblica delle Istituzioni.
Interessante anche questo articolo di Flavia Marzano “Pubblica Amministrazione 2.0” pubblicato su Astrid (altri articoli rilevanti sulla stessa pagina).

E se vi imbattete su Facebook sulla pagina del vostro Comune o della Regione, oppure se vi accorgete che il vostro Sindaco utilizza Twitter per raccontare ciò che viene dibattuto durante il Consiglio Comunale, non inorridite subito: anche le Istituzioni stanno imparando per prove ed errori l’effettiva portata comunicativa e l’efficacia dei singoli strumenti, ma nel frattempo le informazioni circolano un po’ di più, le competenze digitali si diffondono, il mondo migliora.

Chiedere, proporre. Al Primo Ministro.

Da una segnalazione di gigicogo, ecco il sito web del n.10 di Downing Street, ovvero l’homepage (letteralmente) del Primo Ministro inglese. Tutto moderno, semplice, con molte “finestre” multimediali e interattive, per dare senza troppo burocratese informazioni e resoconti dell’attività governativa.
Ancora più simpatica, la pagina delle petizioni, dove tutti possono postare la propria proposta al Premier, che poi viene votata da altri cittadini e quindi “sale” in classifica.

Per lungo tempo le petizioni sono state spedite al Primo Ministro via posta, oppure recapitate personalmente al numero 10 di Downing Street. Ora è possibile creare e firmare petizioni anche su questo sito web, avendo la possibilità di raggiungere un’audince potenzialmente assai più ampia, e di consegnare le petizioni direttamente a Downing Street.

Se questo accadesse in Italia, sarei proprio curioso di leggere la pagina delle petizioni al Governo.

I veneziani, cittadini digitali

Molte volte su questo blog si è parlato di cittadinanza digitale, non solo come nostro abitare in Rete ma come esplicito “diritto di banda” che ogni Stato civile dovrebbe garantire alla nascita ad ogni suo cittadino.

Perché diritto di banda significa garantire libero accesso a fonti informative, permette la libera espressione di sé, incoraggia la partecipazione collettiva ai meccanismi consultivi e di qui a poco decisionali, rintracciabili su blog privati o su reti civiche pubbliche, nella promozione di una vera e-democracy.
Avere una Pubblica Amministrazione che agevola la comunicazione del/dal/sul/nel/con il territorio, quel segnalare discutere proporre criticare di noi tutti che riguarda il territorio stesso e le scelte della sua pianificazione in quanto Paesaggio tecnosociale, predispondendo da parte sua buone forme di e-government nonché al contempo capace di mettersi in gioco con gli Abitanti nel dialogo e nell’ascolto di ciò che emerge dai Luoghi conversazionali formali ed informali, rappresenta sicuramente un’ottima garanzia affinché molte voci diverse e molte idee possano contribuire collaborativamente alla progettazione sociale da attuare in futuro sul territorio di riferimento.

Bene, Venezia ha capito che il territorio non è solo quello fisico, e che i cittadini abitano la Rete, che anche la Pubblica Amministrazione deve adeguatamente (ovvero, in modo conversazionale) abitare in Rete, e che far sì che tutti possano connettersi è un arricchimento culturale importantissimo, per i singoli individui e per la collettività, e non è cosa che possa esser procrastinata ulteriormente.
Quindi essere veneziani da oggi significa avere una identità digitale riconosciuta e diritto di accesso gratuito.

Trovate la notizia sul sito del Comune di Venezia; interessante anche la pagina dedicata al web2.0, dove vengono illustrati innovativi sistemi di cartografia digitale, monitoraggio del territorio e strumenti di partecipazione civica.

Venezia si candida come capitale del diritto universale alla Rete Diritto universale all’accesso alla Rete e vera cittadinanza digitale.
Venezia si candida come prima città al mondo a fornire, per i nati nel Comune, contemporaneamente al rilascio anagrafico dell’atto di nascita anche userid e password per accedere gratuitamente a Internet e quindi, di fatto, a certificare l’identità digitale.
E’ questo l’annuncio dato oggi dal vice sindaco di Venezia e assessore all’Automazione, Michele Vianello, presentando l’iniziativa che vede la città lagunare all’avanguardia – per dirla con le parole di Vianello – “sulla nuova frontiera del diritto alla conoscenza”.
Il nuovo tassello del progetto //Venice>connected, che vedrà il completamento della rete a larga banda nell’intero territorio comunale entro la metà del prossimo anno (74 chilometri di cavo con una capacità di 144 fibre), passa ora attraverso la localizzazione di oltre 600 hot spot che consentiranno di collegarsi ad internet in modalità WiFi attraverso computer, palmari e telefonini di ultima generazione.
“Avremmo potuto decidere da soli – ha spiegato il vice sindaco – ma abbiamo invece preferito chiedere ai giovani dove preferiscono localizzare gli hot spot che forniranno l’accesso alla Rete, proprio per dare una connotazione reale alla democrazia indotta dalla Rete”. A tal proposito, Vianello ha fatto sapere che a giorni sarà spedita una lettera a ognuno dei 24.981 giovani dai 14 ai 25 anni residenti nel comune, nella quale sarà chiesto di collegarsi via internet all’indirizzo www.comune.venezia.it/cittadinanzadigitale per esprimere, in un’apposita cartografia comunale, la loro preferenza sulla collocazione dell’hot spot.
Tra quanti parteciperanno, saranno sorteggiati 10 giovani che riceveranno da Venis, la società comunale per l’informatica, uno dei premi messi in palio (1 computer subnotebook e 9 telefonini WiFi di ultima generazione).
“E’ uno sforzo organizzativo e finanziario non indifferente – ha concluso il vice sindaco – ma ritengo che sia necessario coinvolgere il mondo dei giovani in questa operazione che consentirà il libero accesso alla Rete, garantendo finalmente questa estensione di stato sociale fin dalla nascita”.

Le guerre della Transizione

Il Grande Passaggio Epocale, l’inizio delle battaglie senza quartiere né fisico né digitale.

Oppure l’equivalente internettaro di creare un casus belli, dare la colpa al popolo eversivo, provvedere misure restrittive.

Ma è troppo stiloso per essere un autogol o un camuffo. Se qualcuno del Potere provasse a mettere su una pagina di sfacciamento di un proprio sito, probabilmente ricorrerebbe ad un’iconografia differente, più html all’arrembaggio, più povero-militante. Come se i terroristi digitali prediligessero tuttora un’estetica dal volantino ciclostilato delle BrigateRosse, che i tempi hanno poi mashuppato con la grafica hacker.
Cioè, se Tremonti avesse chiesto a qualcuno di sfacciargli il sito per finta (per poi poter gridare allupo allupo) probabilmente avrebbe approvato un prototipo con almeno una scritta “M0rt3 a||o St@t0”, giusto per compiacersi dei TG che parlano di pirati informatici che s’intromettono etcetc.

Questa era la schermata del sito di Giulio Tremonti, a pranzo di oggi.

La Sardegna diventa capitale dell’Open source e dell’e-democracy

La Sardegna diventa capitale dell’Open source e dell’e-democracy

La regione, che ha appena dato il via al passaggio dalla Tv analogica al Digitale terrestre, diventa apripista anche nell’adozione del software libero

La Sardegna diventa epicentro dell’innovazione Open source in Italia. La regione, dopo aver dato il via al passaggio dalla Tv analogica al Digitale terrestre, diventa apripista anche nell’adozione del software libero: “La principale novita’ (del Ddl, n.d.r.) – spiega l’assessore agli Affari Generali Massimo Dadea e’ rappresentata dall’inserimento nell’ordinamento regionale del software libero, considerato lo strumento piu’ idoneo per uno sviluppo della societa’ dell’informazione ispirato ai principi di contenimento della spesa pubblica e di tutela della concorrenza. Con questo Ddl la Sardegna si pone all’avanguardia anche nel settore della societa’ dell’informazione”.

La Giunta regionale sarda ha approvato il disegno di legge (Ddl) sulle “Iniziative volte alla promozione e allo sviluppo della societa’ dell’informazione e della conoscenza in Sardegna”. Il Ddl si suddivide in due parti, la prima sulle politiche e i principi che l’amministrazione regionale intende mettere in atto per lo sviluppo della societa’ dell’informazione e della conoscenza, mentre la seconda promuove la concreta attuazione, attraverso specifici strumenti a tali politiche.

Tra gli aspetti piu’ innovativi contenuti nel Ddl vi sono il diritto all’uso delle tecnologie, la partecipazione democratica, l’alfabetizzazione informatica, la ricerca per lo sviluppo delle imprese nel territorio.

Il software libero è stato scelto per il sorgente aperto, per la licenza Gnu, e per indubbi vantaggi quali il risparmio sui costi, l’indipendenza da uno specifico fornitore e le opportunità per l’industria informatica locale.

Il Ddl, che verrà presentato nei prossimi giorni in un convegno a Pisa, e’ stato realizzato con la collaborazione di Flavia Marzano, docente di Scenari e innovazioni dell’IT all’Universita’ di Bologna. Il testo del Ddl rappresenta uno dei documenti alla base di un Disegno di legge che sara’ presentato dal Pd in Parlamento.

fonte www.vnunet.it

L’ economia ai tempi del web

L’ economia ai tempi del web
di GIORGIO RUFFOLO
Repubblica — 07 agosto 2008

L’ impatto delle tecnologie cosiddette digitali sulle relazioni sociali e in particolare lo sviluppo prodigioso del fenomeno Internet sono oggetto ormai da tempo di una intensa attenzione. Non altrettanto e stranamente, almeno nel grande dibattito pubblico, il loro carattere specificamente economico, che riguarda in particolare le implicazioni della «economia digitale» sul mercato, cioè sul sistema economico largamente dominante nelle economie capitalistiche del nostro tempo.

Si da in genere per scontato che il vendere e il comprare su Internet, non solo sia in accordo con la natura e le regole del mercato, ma ne rappresenti una esaltazione. Questa è almeno l’ opinione espressa dalla corrente di economisti americani cosiddetta «californiana», secondo cui la rete costituisce l’ istituzione che incarna concretamene l’ altrimenti astratta teoria della concorrenza perfetta che sta alla base del credo liberista, escludendo lo Stato da ogni possibile interferenza nel suo funzionamento.
Ora, una analisi non fortemente intrisa da motivazioni apologetiche dovrebbe portare a conclusioni opposte: che sono infatti sostenute da altri economisti (per esempio, quelli del Centro Hypermedia dell’ Università di Westminster, che fa capo a Richard Barbrook). Si fa notare che l’ esplosione della rete, nonché esaltare la logica del mercato, ne mina alcuni presupposti essenziali e per converso apre nuove prospettive a una economia della reciprocità, libera dai vincoli sia del mercato che dello Stato.

Nel caso di Internet si verifica una condizione ben nota agli economisti, di produzione di beni non esclusivi che possono essere utilizzati simultaneamente da più utenti: un classico bene pubblico.

Inoltre, il bene prodotto (l’ informazione) a differenza di un bene fisico, non si separa dal produttore (come si dice: se ci scambiamo un dollaro, restiamo con un dollaro; se ci scambiamo un’ idea restiamo con due idee). In tali condizioni, è assai difficile esigere un prezzo.
Il problema è stato risolto in questi casi con i canoni di abbonamento. Il produttore fornisce un servizio e riceve un canone standard, indifferenziato.

Ma che succede se l’ utente del servizio diventa a sua volta fornitore «scaricando» l’ informazione dalla rete e vendendola o regalandola in concorrenza col produttore? Nel caso Internet proprio questo succede. Ciò provoca danni ingenti ai fornitori del servizio, contraendo le entrate pubblicitarie. Per evitarli, essi non possono far altro che ricorrere alla legge: alla polizia e alla magistratura, il che rende manifesta la dipendenza del mercato dallo Stato, la falsità della sua pretesa «autoregolazione».

Ma poiché è molto difficile accertare le violazioni da parte dei «free riders» (dei parassiti di Internet) emerge la proposta di istituire un sistema di spionaggio permanente detto Panopticon (in memoria della famosa proposta di Jeremy Bentham) che permetta di controllare permanentemente tutte le operazioni degli utenti. Ecco un divertente esempio di regolazione staliniana del mercato autoregolato.

Esiste, fanno notare gli economisti di Hypermedia, un’ alternativa. Lo Stato assume il compito di fornire l’ infrastruttura della rete Internet che non è più finanziata dalla pubblicità (col beneficio di una diminuzione dell’ inquinamento dovuto alla contrazione dei consumi «indotti» da quella); ma dalle tasse, che la collettività decide democraticamente di pagare per massimizzare il bene pubblico dell’ informazione. In tal caso non esiste più un problema di free riders. La libera circolazione dell’ informazione fornita dalla rete, anziché costituire un danno per i fornitori privati, soddisfa pienamente lo scopo del fornitore pubblico.
Si apre un nuovo spazio dove allo scambio valorizzato (informazione contro pubblicità) subentrano prestazioni reciproche gratuite. Economia del dono? No, non c’ è nessun dono. C’ è la decisione della comunità di trasformare il valore di scambio dell’ informazione in valore d’ uso, affidandolo alla libera gestione della comunità stessa: né allo Stato, che si limita a fornire l’ infrastruttura, né al mercato.

Il lato più interessante di questa riforma non sta solo nel rendere possibile la libera fruizione dell’ informazione contenuta nella rete, ma di promuovere l’ aspetto più innovativo di Internet: la partecipazione attiva dell’ utente allo sviluppo dell’ informazione. Contribuendo alla creazione di nuova informazione, egli non è più un consumatore passivo, ma un produttore attivo di idee: un prosumatore (prosumer), come con geniale anticipazione lo definiva Alvin Toffler.

Internet sta producendo una vera e propria rivoluzione nel mondo del lavoro e della produzione generando una nuova classe di lavoratori-imprenditori che non esalta il momento dello scambio valorizzato ma quello della libera creatività.

E’ bene che queste idee circolino liberamente senza essere protette da copyright. Le prestazioni effettuate sulla rete non sarebbero soggette ad alcun vincolo di proprietà riservata (copyright). I soli limiti riguarderebbero la sicurezza e la moralità. Ma in quei casi si tratta di perseguire casi concreti e manifesti, e non capacità potenziali e diffuse di violazione delle regole.
Come Richard Barbrook osserva, non si tratta affatto di sostituire il mercato e lo Stato con una economia caratterizzata dal principio della reciprocità, ma di integrare economia di mercato, economia amministrativa ed economia digitale in un sistema più ampio e articolato. Lo Stato fornirebbe l’ infrastruttura, il mercato promuoverebbe le innovazioni tecnologiche, per esempio sviluppando la griglia delle fibre ottiche, la rete promuoverebbe la diffusione e lo sviluppo dell’ informazione attraverso un immenso dialogo sociale.
Dunque, Internet rappresenta, non, come sostiene l’ ideologia californiana, la suprema esaltazione dell’ economia di mercato ma una macroscopica premessa del suo superamento, nel campo dei beni sociali.
Quanto ai beni autenticamente privati il mercato è insostituibile, come rivelatore delle preferenze individuali (ricordiamo la lezione di von Hayek). In tal senso esso costituisce uno strumento prezioso del benessere sociale. Uno strumento, però, non uno scopo. Uno strumento che affianchi l’ altrettanto insostituibile presenza dello Stato e quella delle nuove istituzioni associative e volontarie, delle quali Internet è un felice esempio. –

E-government, la strada è ancora lunga

Fonte: il Sole 24ore

E-government, la strada è ancora lunga
di Giuseppe Caravita

L’internet di massa ha ormai più di dieci anni. Connette più di un europeo su tre, con punte, nei paesi Scandinavi, che superano il 70%. Centinaia di milioni di persone, e di organizzazioni abitualmente la usano per comunicare, informarsi, vendere e comprare, condividere e divertirsi.
Ma meno, molto meno, per superare ostacoli burocratici, per i cosiddetti servizi pubblici online o di e-government.

Nel 1999 l’e-gov era di gran moda. Tutti i governi d’Europa, Usa e Asia lanciavano progetti: l’obbiettivo sembrava a portata di mano, una pubblica amministrazione meno costosa, servizi più accessibili, tempo e denaro risparmiato dai cittadini. Non è andata così: l’e-gov, un po’ ovunque nel mondo, ha deluso tutti. Certo, con qualche eccezione (anche europea), ma questo filone di internet è rimasto il fanalino di coda della rete, agli ultimi posti nelle statistiche d’uso. Perché?
I ricercatori informatici convenuti in questi giorni a Torino alla Dexa 2008 questo problema, tra le righe, se lo stanno ponendo. Per esempio Jorg Becker e Bjorn Niehaves che, per conto del Governo tedesco, hanno sviluppato un’indagine sull’effettivo uso dei servizi pubblici in rete. Risultato: pur nella grande Germania, perno d’Europa, con il 45% di popolazione stabilmente connessa alla rete, l’uso dei servizi di e-government non supera il 20%, di cui l’11% per semplici informazioni e solo il 9% per servizi transattivi completi. Per contro, in Italia, le cifre, rilevate da Accenture, appaiono dimezzate: 30% di italiani online, di questi solo l’8% utenti abituali dei servizi pubblici informativi e solo il 3% dei pochi transattivi completi.
A confronto il 60% degli utenti internet tedeschi usa abitualmente le pagine di Wikipedia, il 30% fa e-commerce, e una percentuale analoga condivide files (legalmente o meno) sui circuiti peer-to-peer.

E’ un gap che si riduce solo nei paesi scandinavi, in Olanda (dover un servizio di autenticazione nazionale, base dell’e-gov, è attivo e ampiamente usato) in Austria e in Estonia, campione europeo grazie a un’agenzia pubblica dedicata e a un massiccio programma di marketing dei servizi.
Per il resto regna la delusione. Le nuove carte digitali vengono usate, nel caso spagnolo, tedesco e anche austriaco, prevalentemente come sostituti plastificati dei vecchi documenti cartacei. E solo in piccoli numeri come sistemi di autenticazione sul Web. La firma digitale stenta a decollare, un po’ ovunque.

Che fare? I punti chiave che emergono dalla quattro giorni di Dexa 2008 paiono tre: organizzazione, incentivi, apertura.
Laddove hanno potuto operare agenzie pubbliche realmente motivate e focalizzate sullo sviluppo dei servizi i risultati si sono visti. Non solo in Estonia, ma anche in Austria, Olanda e persino in Italia. Qui per esempio vale il caso del più antico operatore di servizi pubblici online italiano, il Csi Piemonte, che, unico nel Paese, è riuscito a diffondere a centinaia di piccoli comuni della regione i suoi servizi, grazie anche a finanziamenti centrali che hanno reso l’operazione a costo zero. In pratica il Csi Piemonte funziona da centro servizi anche per la Liguria e la Val d’Aosta. E dispone, già rodato da anni, di un sistema di autenticazione (cruciale per l’e-gov evoluto) che potrebbe essere rapidamente diffuso a livello nazionale.

Secondo: incentivi. Quando i piccoli comuni piemontesi si sono accorti che, con i nuovi piani governativi, l’adozione dei servizi telematici sarebbe stata di fatto gratuita li hanno adottati. E in Italia la dichiarazione dei redditi online (forse l’unica vera bandiera dell’e-government italiano) viene usata da centinaia di migliaia di commercialisti, patronati e altri intermediari per ridurre sostanzialmente i propri costi operativi.

Terzo: apertura. La comunità europea da tempo (anche qui tra le righe) si è resa conto del fallimento sostanziale dell’e-government. Servizi complicati, portali astrusi e ricalcati sulle precedenti procedure burocratiche, mai verificati con gli utenti, costruiti più per salvaguardare le amministrazioni che per risolvere i problemi della gente. Un esempio. La ricerca tedesca mostra tre gruppi di esclusi dalla rete: anziani, piccoli paesi rurali, disoccupati. I primi lamentano la complicazione della burocrazia online, i secondi la scarsità di collegamenti a larga banda, e i terzi sembrano refrattari a ogni forma di internet. Però, quando si tratta di accedere ai servizi informativi federali sui posti di lavoro disponibili, ecco che la media d’uso di questi “disconnessi” balza al 110% sulla media nazionale. Sintomo di un fenomeno già notato sulla rete: quando un servizio colpisce realmente un problema civico reale, e vitale, non c’è digital divide che tenga. «Vanno negli uffici federali a consultare internet per le offerte di lavoro – osserva Niehaves».

E così per siti civici pubblici creati spontaneamente negli ultimi mesi, come CrimeChicago (una comunità che si scambia informazione sui posti più o meno sicuri della città) oppure “Rate Your Doctor”, sito australiano (e inglese) che indica, a suon di esperienze reali, i medici e gli ospedali migliori, o da evitare.
Il cosiddetto Web 2.0 (ovvero l’internet partecipata dei Blog, dei Wiki e dei web scritti a più mani) sta rapidamente approdando ai problemi civici vitali e di ogni giorno (cosa diversa dai servizi pubblici) e una ricercatore italiano, David Osimo, ne ha recentemente censiti un centinaio, per le nuove strategie di ricerca della Commissione Ue.
E poi il connubio pubblico-privato. «Negli Usa stanno nascendo startup come la Nic che offrono gratuitamente alle Amministrazioni servizi di e-government -spiega Enrico Ferro del Politecnico di Torino- salvo riservarsi piccole fees su alcuni servizi più complessi. E solo con queste si ripagano le attività e fanno profitti».

Modelli di business di questo tipo se ne possono inventare diversi. Forse con l’annunciato federalismo fiscale anche le Amministrazioni locali italiane potrebbero porsi il problema di far rendere realmente l’e-government, sia in termini di minori costi interni che di ricavi aggiuntivi. Mettendo in moto un circolo virtuoso di investimenti. Aprendosi, magari tramite reali e provati specialisti, alla cooperazione con nuovi intermediari e, soprattutto, con gli utenti. Di quelli che hanno bisogno di un cambio di residenza veloce, di sapere se c’è lavoro, di una cura di qualità per una malattia grave di un familiare.

Progetto e21, ICT ed e-participation per lo sviluppo sostenibile

Riprendo qui un articolo di Chiara Bolognini tratto dal sito della PubblicaAmministrazione, dove viene trattato il tema dell’utilizzo degli strumenti partecipativi permessi dalla Rete in relazione ai meccanismi consultivi messi in atto in Lombardia dalle iniziative locali legate a Agenda 21 (qui il sito del progetto e21)

Fonte: pubblicaamministrazione.net

Progetto e21, ICT ed e-participation per lo sviluppo sostenibile
di Chiara Bolognini

Citato tra i progetti più interessanti nell’ultimo rapporto del CNIPA, il Progetto e21 vede coinvolti, oltre che la Regione Lombardia, dieci importanti Comuni e coniuga l’Agenda 21 locale con soluzioni ICT pratiche per la partecipazione dei cittadini

Coniugare uno dei più interessanti strumenti di partecipazione civica alle scelte di governo del territorio – noto come Agenda 21 locale – con un mix di soluzioni di informatica e telematica civica ad elevata usabilità ed accessibilità: è questo l’obiettivo del Progetto e-21, presentato presso la sede della Regione Lombardia il 3 giugno scorso. Progetto che, nato in seno all’Associazione Informatica e Reti Civiche (A.I.Re.C.) Lombardia, vede dieci importanti Comuni della Lombardia (Brescia, Como, Desenzano del Garda, Lecco, Mantova – che è il capofila -, Malgesso – per conto del consorzio Co.Ri., Pavia, San Donato Milanese, Vigevano e Vimercate) e la stessa Regione, impegnati a sperimentare nei percorsi di Agenda 21 locale nuove opportunità per la partecipazione via rete con l’utilizzo delle Information and Communication Technologies (ICT).

L’Agenda 21 è il programma per lo sviluppo sostenibile sottoscritto da 178 governi di tutto il mondo nel summit delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo svoltosi a Rio de Janeiro nel 1992. Viene messo a punto e sperimentato in una molteplicità di diverse situazioni – nel mondo così come nel nostro Paese – e si basa su una metodologia di partecipazione, con cui si dà una possibilità in modo organizzato e sistematico, alla Comunità locale di far emergere i problemi del territorio (quelli ambientali, ma anche quelli dell’economia, quelli sociali e della qualità della vita), analizzarne le cause, formulare proposte per migliorare lo stato attuale delle cose, seguire l’attuazione dei progetti e delle iniziative per lo sviluppo sostenibile e verificarne gli effetti.

Con il Progetto e21, co-finanziato dal Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie nell’ambito dell’Avviso per la selezione di progetti per lo sviluppo della cittadinanza digitale (e-democracy) dell’aprile 2004, proprio il tema della partecipazione dei cittadini nel governo del territorio e nella definizione e nell’attuazione delle politiche della sostenibilità e il tema dell’Agenda 21 locale, trova uno strumento concreto e innovativo di attuazione.

La peculiarità dell’iniziativa viene illustrata da Gianpaolo Trevisani, responsabile tecnico del Progetto per il Comune di Mantova: «Rispetto agli strumenti tradizionali di comunicazione quali forum, blog, mailing list ecc., gli strumenti software sviluppati in e21 hanno la caratteristica di essere progettati specificamente per gestire processi partecipativi, cioè processi caratterizzati da un’interazione tra gli utenti finalizzata al raggiungimento di una posizione condivisa. Per questo abbiamo dotato lo strumento, che gestisce le discussioni di funzionalità che consentono di realizzare un documento di sintesi delle posizioni che hanno riscosso un maggior gradimento, di definire una data di inizio o di fine della discussione, di mettere in evidenza i documenti a supporto, ecc. A questi strumenti deliberativi, si affianca la CityMap, uno strumento finalizzato a raccogliere osservazioni, proposte, segnalazioni da parte dei cittadini localizzandole grazie all’uso di una mappa della città».

In concreto, lo scopo generale del sistema e21 è quello di supportare lo svolgimento di processi partecipativi, suddivisi in fasi, mettendo a disposizione degli utenti strumenti in grado di implementare differenti tecniche partecipative, denominati strumenti deliberativi. Tali strumenti hanno come principale caratteristica quella di consentire un’interazione tra gli utenti finalizzata al raggiungimento di un risultato condiviso. Più in generale, e21 fornisce un contesto tecnologico atto alla creazione di un ambiente politico-sociale in grado di utilizzare abitualmente le ICT per supportare la partecipazione locale, affiancando agli strumenti deliberativi suddetti, adeguati strumenti di community capaci di stimolare la partecipazione dei cittadini ai processi partecipativi della Pubblica Amministrazione locale.

Il sistema e21 è costituito da uno spazio di community, in cui è possibile un’interazione libera tra gli utenti, cioè non finalizzata al raggiungimento di un risultato specifico, e uno spazio deliberativo, in cui è possibile gestire processi partecipativi, cioè processi caratterizzati da un’interazione tra gli utenti finalizzata al raggiungimento di un risultato condiviso.

Gianpaolo Trevisani fornisce ulteriori dettagli: «Lo spazio di community è la parte del sistema, a cui è demandata la gestione delle interazioni libere tra gli utenti, cioè non finalizzate ad uno specifico obiettivo. Lo strumento presente in tale area, la CityMap, ha la funzione di consentire una discussione libera focalizzata sul territorio, stimolando l’adesione ai processi partecipativi. In pratica la City Map è un forum di discussione, in cui le discussioni sono costituite da un messaggio di avvio (il primo del thread) e da una serie di commenti (risposte). I commenti vengono comunque denominati genericamente messaggi. Il messaggio di avvio della discussione ha un oggetto (subject) che costituisce l’argomento della stessa, mentre i commenti ne sono privi. È possibile inviare una risposta sia al messaggio di avvio che ad un commento, senza alcun limite di annidamento».

La particolarità di questo strumento consiste nella possibilità di localizzare le discussioni, cioè associare ad esse (tramite il messaggio di avvio) un indirizzo geografico nella città di riferimento del sistema (definita in fase di configurazione del sistema) che ne consente la rappresentazione su una mappa gestita tramite Google Maps.

Oltre a questo, ecco altri due applicativi “chiave”:

  • la discussione informata: uno strumento per la discussione ed elaborazione collaborativa di proposte basate su documenti, con possibilità di assegnazione di gradimento ai messaggi, finalizzata alla realizzazione di un documento di sintesi redatto anche a più mani attraverso l’utilizzo di uno strumento di scrittura collaborativa (wiki);
  • il Meeting On-line regolato: uno strumento che permette lo svolgimento ordinato di meeting e conferenze online seguendo precise regole di conduzione che permettono ad esempio di presentare proposte ed emendamenti, votare mozioni, ecc.

Partito nel 2005 e citato esplicitamente nell’ultimo rapporto di sintesi del CNIPA (marzo 2008) tra i progetti di e-democracy più interessanti, il Progetto e-21 si è articolato in diverse fasi, che può essere utile riepilogare brevemente per le Ammininistrazioni interessate al riuso.

La prima tappa è stata l’analisi dei processi di Agenda 21 locale presso gli Enti Locali aderenti, con uno studio approfondito dei processi partecipativi in atto e previsti dai rispettivi progetti di Agenda 21 locale nei 10 comuni aderenti al progetto, al fine di valutarne il livello di avanzamento ed il grado di partecipazione e rappresentatività raggiunto e stimare il fabbisogno scoperto di partecipazione.

Poi si è focalizzata l’attenzione sull’e-participation e l’uso delle ICT negli Enti Locali aderenti, prendendo in esame, per ciascuno di essi, la tipologia, l’accessibilità e l’utilizzo delle applicazioni ICT a supporto dei processi partecipativi, decisionali e comunicativi. Come terzo step si è passati alla progettazione vera e propria, alla realizzazione delle applicazioni ICT e all’implementazioni delle componenti software infrastrutturali e di servizio che costituiscono la piattaforma tecnologica e21, utili a supportare i diversi contesti partecipativi e le diverse fasi del processo di Agenda 21.

Sono stati quindi approfondite le scelte delineate nel documento di progetto, anche tramite il coinvolgimento di rappresentanti dei destinatari delle applicazioni e degli sponsor per quanto riguarda gli aspetti di portabilità delle applicazioni stesse. Per quanto riguarda l’accessibilità delle applicazioni sviluppate, queste sono state sottoposte alla verifica tecnica di accessibilità (normative AIPA e WAI) e alla verifica soggettiva della sua fruibilità. Si viene poi al capitolo “riuso” e alla personalizzazione della piattaforma tecnologica e21 per gli Enti Locali aderenti.

Le attività di costruzione, gestione e promozione degli ambienti partecipativi e21 saranno assicurate dai comuni assistiti dallo Staff di progetto e dai promoter, figure di raccordo, regolazione e promozione della e-participation che dovranno anche assicurare il coordinamento tra il dibattito e le proposte che maturano nell’ambiente online e quanto emerge dai contesti di partecipazione del territorio. Il lavoro consta di 3 fasi:

  1. al termine dello sviluppo della piattaforma e21: creazione di installazioni personalizzate presso il server centrale di progetto (per i Comuni che scelgono l’utilizzo in modalità ASP) ed eventuale sviluppo del software necessario all’utilizzo delle componenti messe a disposizione tramite web services da parte dei Comuni che lo richiedano; sviluppo di moduli per l’accesso di utenti già registrati presso i sistemi ICT dei Comuni e lo scambio di archivi già esistenti;
  2. durante le sperimentazioni locali: esecuzione degli interventi necessari per garantire l’allineamento con le esigenze emerse e messa a punto delle applicazioni;
  3. al termine delle sperimentazioni: studio delle modalità più efficaci e delle opportune ulteriori personalizzazioni necessarie per garantire continuità alle prassi di e-participation sperimentate in e21.

Il futuro riguarda le possibilità di riuso e trasferimento della piattaforma e21, nonché di un suo potenziamento, ampliamento ed evoluzione, che si possono correlare in particolare all’opportunità che gli enti aderenti adottino in modo sistematico gli strumenti della partecipazione telematica sperimentati nelle proprie politiche, che altri Enti locali impegnati in processi partecipativi li adottino, che si consolidi la “Comunità di Pratica” degli operatori delle politiche della sostenibilità, della partecipazione e dell’e-participation. Un’opportunità che incontra l’interesse della Regione Lombardia nonché del nascente Coordinamento delle Agende 21 lombarde, che vede tra i promotori alcuni dei Comuni aderenti al progetto e21. Serviranno anche altri due alleati fondamentali: la formazione di esperti e “facilitatori” sul territorio e la puntuale ed efficace comunicazione sulle evoluzioni e i risultati raggiunti.

Tutti gli approfondimenti sul sito dedicato al Progetto.

Antropologia dei blog

 

Aggiornamento del 30 luglio: Mantellini dice che tutto l’incipit dell’articolo in questione è una sua definizione di blog di qualche tempo fa. E qui purtroppo Niola fa una figura barbina, nel non citare l’autore della fonte.

Marino Niola, professore ordinario di Antropologia Culturale a Napoli (qui su Wikipedia), ha scritto per larepubblica.it un articolo sul mondo dei blog, sul loro significato sociale e sulle relazioni interumane che hanno luogo in Rete. Che poi si tratta sempre di un Luogo, appunto antropologicamente connotato.

Lungi da essere il solito sproloquio di certo giornalismo nostrano, dove i blog vengono nominati solo per aspetti scandalistici oppure con toni canzonatorii da giornalisti platealmente incompetenti riguardo le dinamiche comunicative in Rete e le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione, l’articolo di Niola prova a tratteggiare la nascente “cartografia sociale” che emerge dal libero scambio di informazioni e di opinioni degli Abitanti digitali, dove l’aggregazione e l’interazione interpersonale sono motivate esclusivamente dalla partecipazione attiva da parte di ognuno alla condivisione di tematiche e alla frequentazione di campi di interesse comuni, ovviamente in modo indipendente dalla distanza fisica che separa gli interlocutori.
La società sta evolvendo, nel suo superamento glocale delle categorie spaziali tradizionali, e certamente concetti come “confine geografico” o “prossimità relazionale” vanno profondamente rivisti, in un epoca contrassegnata da fenomeni di telepresenza (web e cellulari) , dal primato dell’Informazione e della Conoscenza in formato digitale, dall’Economia dell’immateriale.

Purtuttavia sfugge a Niola, ancora forse incantato dalla visione certo importantissima di una Rete relazionale a estensione planetaria, il concreto risvolto “local” di quella parola glocal (vedi Bauman su Wikipedia, glocalizzazione) più su accennata: esiste oggi la possibilità per chiunque, pubblico o privato, di aprire dei blog urbani o comunque dei luoghi-contenitori di partecipazione democratica delle collettività per la progettazione e la definizione collaborativa delle strategie da adottare per migliorare il proprio Ben-Stare sul territorio, da concepire ormai come tecnoterritorio, come una rete di rioni digitali che compongono paesaggi biodigitali attraversati da flussi di persone e di rappresentazioni mediatiche (vedi i concetti di Appadurai, antropologo, su Wikipedia).

Ben vengano, comunque, articoli come questo di Repubblica per muovere anche in Italia l’opinione pubblica, in un paese di scarse letture e tuttora ancorato alla televisione quale unica fonte informativa (ammesso che abbia ancora una tale funzione), alla comprensione delle profonde modificazioni sociali in atto sul pianeta.

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Villaggio blog, vista sul mondo le nuove forme di dialogo

di Marino Niola

Fonte: larepubblica.it

“Dovessi spiegarti che cos’è il mio blog ti direi che è un luogo, riscaldato d’inverno ed areato d’estate, con un indirizzo e una buca delle lettere, finestre per guardarci dentro se passi nei pressi ed una porta aperta per entrare se ti andrà. L’insieme dei blog che leggiamo e di quelli che ci leggono è un villaggio particolarmente salubre fatto di abitanti che si siano scelti fra loro e non paracadutati lì dal caso”. Parola di blogger.
È evidente che il blog è molto più di un sistema di comunicazione. È un angolo di mondo, avrebbe detto Herder. O una forma di vita, per dirla con Wittgenstein. In entrambi i casi uno spazio di condivisione simbolica caratterizzato dai suoi usi, costumi, sensibilità, abitudini, codici sedimentati – ma prima ancora creati – e da un linguaggio comune. I blog sono a tutti gli effetti le nuove forme di vita prodotte dalla rete, degli autentici angoli di mondo virtuale.

Certo che il blog è un luogo di confronto e di scambio di idee, informazioni, pareri, servizi, ma è anche di più, molto di più. Questa forma di diario in rete – il termine è la contrazione di web e di log che significa appunto diario ma anche traccia – sta dando vita a una nuova cartografia sociale. Fatta di punti di aggregazione fondati sulla circolazione delle opinioni.

Qualcuno li considera un po’ come la versione immateriale dello Speaker’s Corner, letteralmente angolo dell’oratore, di Hyde Park a Londra, dove chiunque può montare su una cassetta di legno a mo’ di palco e predicare sul mondo in assoluta libertà. Occupando un angolo di spazio pubblico per dire la sua. Quella minuscola cassetta garantisce una sorta di extraterritorialità che consente a ciascuno di dire fino in fondo tutto ciò che pensa. A ben vedere il blog è proprio una occupazione di immaginario pubblico, una sorta di tribuna virtuale. E contribuisce a rivelare la forma dei nuovi spazi collettivi di una società che ha profondamente mutato le sue categorie spaziali e sta passando dalle divisioni alle condivisioni, dai luoghi tradizionali – territori fisici delimitati, confinati, sul modello delle nazioni – agli iperluoghi immateriali che ridisegnano le mappe del presente.

Nuovo luogo della condivisione pubblica in un tempo caratterizzato dalla scomparsa progressiva dello spazio pubblico tradizionale: un po’ circolo, un po’ palcoscenico, un po’ salotto, un po’ sezione di partito, un po’ piazza, un po’ caffè. I diari in rete rappresentano modi diversi di sentirsi comunità. Non più comunità locali, e localistiche, basate sulla prossimità geografica, residenziale, cittadina, ma su forme inedite di appartenenza.

Ecco perché il blog non è solo uno strumento del comunicare, ma è una potente metafora del nostro presente in rapida trasformazione e un simbolo anticipatore del nostro futuro. A farne un mito d’oggi è proprio la sua capacità di dirci qualcosa di profondo su noi stessi, di mostrarci con estrema lungimiranza ciò che stiamo per diventare anche se ancora non lo sappiamo con precisione. Nei grandi cambiamenti epocali il mito, la metafora, il simbolo si assumono proprio il compito di lanciare dei ponti verso quelle sponde del reale che ancora non vediamo ma, appunto, intravediamo. Anche se abbiamo già cominciato a viverci dentro istintivamente. In questo senso i comportamenti del popolo dei blog ci aiutano a cogliere quanto stiano di fatto mutando le stesse categorie di identità e di appartenenza: sempre meno materiali, sostanziali, fisse e sempre più fluttuanti, mobili, convenzionali.

E come sia cambiata la stessa nozione di luogo di cui viene oggi revocato in questione il fondamento primo, ovvero l’idea di confine naturale, in favore di quella di confine digitale. Il blog anticipa una realtà che non è più quella del paese, della città, del quartiere, della classe d’età, della famiglia, della parrocchia, del circolo. I bloggers si rappresentano come una comunità di persone che si scelgono liberamente e su scala planetaria. E in questa dimensione extraterritoriale intessono un nuovo legame sociale.
Comunità senza luogo? Niente affatto. È la vecchia nozione di luogo ad essere inadeguata. E assieme a lei quella apparentemente nuova di non-luogo che della prima non è che la figlia degenere. Perché è fondata su una idea pesante, solida, ottocentesca del luogo e della persona.

Un’idea che ha l’immobile solidità del ferro e non la mutevole fluidità dei cristalli liquidi. In realtà a costituire il tessuto spaziale, ieri come oggi, sono sempre le relazioni, mai semplicemente le persone fisiche. E oggi le relazioni sono sempre meno incarnate, sempre meno materializzate, ma non per questo scompaiono.

La liquidità della rete è la vera materia sottile della trama sociale contemporanea, e perfino di quella spaziale se è vero che oggi l’iperconnessione è il principio vitale che circola come sangue nel corpo del villaggio globale. I cosiddetti non-luoghi sono in realtà più-che-luoghi, super-luoghi, sono luoghi all’ennesima potenza, acceleratori di contatti, incroci ad alta densità, moltiplicatori di collegamenti tra bande larghe di umanità. È questa la cartografia wi-fi della nuova territorialità, la cosmografia del presente di cui Internet è il dio e Google è il primo motore immobile. Una rivoluzione recente ma che sta già cambiando il vocabolario dell’essere: dal to be al to google e, sopratutto, al to blog.

Non a caso bloggare è diventato un verbo. Il terzo ausiliare per chi è in cerca di casa, di lavoro, di visibilità, di posizione insomma. È la terra promessa degli homeless digitali, la nuova frontiera dei migranti interinali in cerca di hot spots, di porte wireless, di ambienti interconnessi. Un nuovo paesaggio fatto di camere con vista sul web. Proprio così una blogger definisce il suo miniappartamento virtuale. O un villaggio di villette monofamiliari dove si lascia sempre aperta la porta di casa perché chi ne ha voglia possa entrare a prendere un caffè. Altro che fine del legame sociale. La blogosfera è la traduzione della mitologia comunitaria nella lingua del web, la declinazione immateriale della società faccia a faccia: la nostalgia del paese a misura d’uomo in un download.

Frequentare i blog serve, fra l’altro, a smontare molti dei luoghi comuni sugli effetti nefasti della digitalizzazione della realtà e sull’apocalisse culturale che essa comporterebbe. Fine della lettura, tramonto dell’italiano, declino dello spirito collettivo. In realtà questo sguardo luttuoso sul cambiamento lamenta sempre la scomparsa delle vecchie forme e proprio per questo fa fatica a riconoscere l’intelligenza del presente.

A parte quelli specializzati, espressamente attrezzati a luoghi di cultura, palestre di discussione critica, gabinetti di lettura, atelier di scrittura, i blog sono in generale delle officine stilistiche e retoriche in continua attività, dove la capacità di persuasione e l’estetizzazione della comunicazione hanno spesso un ruolo fondamentale. “Qui sul blog è tutta un’altra cosa. Scrivo in modo molto diverso da come scriverei su un diario. Le persone che mi conoscono commentano e dicono la loro, e i pensieri pubblicati sono molto più profondi”.

Per quanto diversi fra loro, i blogger nascono dal linguaggio e vivono di linguaggio. Un regime democratico, dove ciascuno è opinionista nel libero mercato delle opinioni, senza gerarchie di posizione, senza ruoli, senza il peso dell’autorità. Dove ognuno è quel che scrive, dove tutti hanno pari facoltà d’interlocuzione. È la nuova utopia della libertà e dell’eguaglianza. Compensazione simbolica al malessere attuale della democrazia in carne e ossa.

Educazione civica, e-Democracy

Introdurre i giovani alla politica e ai meccanismi che stanno alla base dei processi decisionali in modo semplice ed interattivo. Oggi tutto questo è possibile come dimostra il nuovo progetto del Consiglio regionale Veneto, Civil Life. L’iniziativa, presentata alcune settimane fa nel corso della rassegna “Dire e Fare nel Nord-Est”, rientra nei piani di e-democracy della Regione Veneto ed è stata pensata con un obiettivo preciso ed ambizioso: rimuovere tutti gli ostacoli che possono compromettere il dialogo fra la Scuola veneta e l’Istituzione regionale. Un risultato che può essere raggiunto facilmente se il dialogo fra politica e scuola avviene con i linguaggi interattivi che caratterizzano il web e che rendono più immediata la comprensione dell’attività del Consiglio regionale.

Una sezione di “Terzo Veneto”, il portale dedicato dalla Regione Veneto all’e-democracy, ha sviluppato un sistema informatico per favorire la partecipazione degli studenti con tecnologie quali forum e sondaggi interattivi. A questi si affiancano però anche due proposte multimediali di “educazione civica”. Dal sito del Consiglio regionale sarà possibile simulare una visita virtuale a Palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio, ed effettuare così un percorso nelle sale di maggior interesse storico-architettonico alla scoperta delle attività istituzionali. La visita virtuale offre la possibilità di muoversi all’interno delle sale attraverso alcune animazioni e di ascoltare l’audio-guida descrittiva.
Per spiegare ai giovani la vita democratica e politica, il Consiglio Regionale ha deciso di coinvolgere gli studenti anche nella sperimentazione di un innovativo videogioco: “Election Play, il videogioco della democrazia”.
Utilizzando il modello dei giochi di ruolo, Election Play vuole dare, a giovani e meno giovani, l’occasione di confrontarsi con le prove cui deve sottoporsi chi intende presentarsi al confronto elettorale: stesura di un programma, scelta dei candidati, impiego dei media, confronto pubblico, insidie e trabocchetti degli avversari politici. All’interno del videogioco l’aspetto ludico si fonde con la funzione didattica. Ogni studente ha il compito di raggiungere il punteggio più alto superando anche prove che richiedono di raccogliere informazioni e documenti sulla struttura, le leggi e molti altri aspetti della realtà italiana.

L’idea di utilizzare un videogioco a scopo didattico può rappresentare un’interessante esperimento anche per quanto riguarda l’insegnamento della storia. La Provincia di Bolzano sta sviluppando, a questo proposito, un gioco on-line che aiuterà gli studenti a comprendere meglio la stora della loro terra. Il video-game sarà on-line per il 2009 in occasione del 200esimo anniversario dell´insurrezione guidata dal patriota tirolese Andreas Hofer contro Napoleone. Proprio quest’evento sarà il tema del game che cercherà di mettere in contatto gli studenti con la storia tirolese in maniera ludica e interattiva, dando spazio non solo alle vicende storiche, ma anche alla cultura e alla natura.

Fonte: Sophia.it

NuoviAbitanti a Pordenone

Martedì 11 dicembre, alla Sala Convegni della Camera di Commercio di Pordenone (vedi invito) avrà luogo un seminario pubblico promosso dall’Assessorato alle Politiche sociali sulle tematiche dell’e-Democracy e dei social network.

Il Comune di Pordenone sta provvedendo in questi giorni – la notizia è apparsa anche sulla stampa – alla realizzazione di reti wireless per la diffusione della connettività veloce ai cittadini sul territorio comunale, ed è sicuramente un buon segno che presso la Pubblica Amministrazione venga presa seriamente in considerazione la progettazione e l’allestimento di Luoghi digitali dove i cittadini possano ricevere ed offrire informazioni, spazi web dove certo il Comune possa illustrare sé stesso e le proprie iniziative, ma al contempo offrire piazze telematiche e occasioni di incontro per tutti gli attori sociali del territorio.

NuoviAbitanti partecipa al progetto pordenonese portando i propri ragionamenti e la propria esperienza nel delineare alcune dimensioni senz’altro antropologiche della moderna Abitanza digitale, come pure la necessità di una diffusione di una Cultura TecnoTerritoriale in grado di far comprendere il significato “connettivo” e identitario, nonché civico, degli oggetti e degli ambienti vitali interattivi delle generazioni biodigitali.

Tra qualche anno guarderemo indietro e giudicheremo buffi questi incerti primi passi nei Luoghi dell’Abitanza digitale, dove quasi senza mappe noi primi esploratori oggi stiamo costruendo i primi spazi digitali urbani, in quanto espressamente progettati per una fruizione sociale da parte di una collettività residente in modo biodigitale.

Il nostro procedere a tentoni (peraltro, l’unico modo giusto: chi potrebbe saper cosa fare dinanzi all’ignoto?) non può ora che nutrirsi delle idee di tutti, di opinioni, riflessioni, dialogo: i Luoghi sociali dell’Abitanza sorgeranno come risultato olistico della partecipazione della collettività, dei singoli e dei gruppi sociali già motori di socialità e nodi nelle reti di relazioni interpersonali, dell’allestimento corale di una identità multipla e dialogica.

Riti di passaggio

Riporto qui integralmente un articolo di Luca Sofri per Nova, riguardo la nota passione del giornalista Gigi Moncalvo per le querele verso chi scrive liberamente di lui.

Se siete interessati all’argomento, con qualche ricerca troverete tutto.

In realtà l’articolo si rivela molto interessante nella seconda parte, perché sancisce a chiare lettere le differenti “qualità ambientali” dei Luoghi online e conseguentemente la necessità per ciascuno di noi di immergersi in questa nuova realtà (flusso di informazioni, relazioni interpersonali, comportamenti) prima di pronunciare giudizi affrettati, malfondati.

E il ragionamento su quanto sia importante comprendere il mondo digitale nelle sue peculiarità (come forma e possibilità di Abitanza digitale, in questo blog), senza applicare pedissequamente norme e regole che qui dentro lo schermo semplicemente non funzionano, viene condotto da un giornalista di fama nazionale come Sofri jr., osservatore acuto di costumi e lifestyle, non certo informatico o persona connotata come geek.
Forse qualcosa si muove nell’opinione pubblica; forse stanno prendendo forma storica e sociale le prime norme etiche di una collettività in grado di comprendere il Ben-stare in maniera biodigitale.

L’onere delle avanguardie: educare le retroguardie di Luca Sofri

Ci sono alcune ragioni, dalla parte di Gigi Moncalvo. La pretesa che poiché la rete sarebbe libertà, democrazia, bla bla bla, questo consenta a chiunque qualsiasi inciviltà è una sciocchezza che ricorda le parodie di Corrado Guzzanti sulla Casa delle libertà, quella dove “facciamo un po’ come cazzo ci pare”. Poi si può suggerire a Moncalvo maggiore indifferenza e serenità nei confronti delle violente ma piccole aggressioni di critici con pochi mezzi, lui che va in onda in tv tutte le settimane: ma è indubbio che alcune delle sue querele stiano del tutto dentro la legittimità legale.

Poi ci sono diversi torti, dalla parte di Gigi Moncalvo.
Alcune delle sue denunce riguardano espressioni che solo giudici molto bigotti potrebbero definire “diffamazione” (e però ci sono, giudici molto bigotti), e le sue cause legali travolgono con seccature, spese, e preoccupazioni persone che non hanno fatto nulla di male. Quando non si arriva addirittura a una condanna – come è avvenuto – per l’uso dell’espressione “ex idiota”, di cui ognuno valuti la gravità: probabilmente dovrebbe esistere una differenza tra la critica antipatica o maleducata e la diffamazione.
Differenza percepita dal giudice che ha invece archiviato la denuncia nei confronti del blogger che lo aveva definito “leghistone” e “ridicolo”.

Ma gli argomenti di Moncalvo sollevano un altro problema, e non solo quello delle normative che riguardano internet. Ed è quello della grandissima difficoltà che molte persone hanno a relazionarsi con un mondo che non ha niente a che fare con quello che conoscono e a cui fanno riferimento. Ed è una difficoltà di cui non si può solo sorridere, avendo gli strumenti per farlo. Perché l’abitudine che tutti abbiamo, nel tentativo di definire le novità della rete, a fare dei paralleli con il mondo “di prima” o “di fuori”, è utile fino a un certo punto: oltre il quale diventa fuorviante o impraticabile.

Questo mondo, la rete, funziona in tutti altri modi e con tutt’altri meccanismi: è un’altra cosa. E bisogna inventare nuove regole per spiegarla e definirne i casi, e sapere chiarire queste regole.

Altrimenti, quando si parla di internet usando per facilità i paragoni con il mondo che c’era prima, poi bisogna affrontare l’obiezione di Moncalvo di fronte a un link: “io clicco, e mi trovo davanti un testo diffamante. È come un giornale che pubblichi una calunnia copiata da un altro giornale. È come se io in tv ospito uno che dice cose diffamatorie nei confronti di qualcuno: io sono responsabile, e vengo denunciato e condannato”. Avendo gli strumenti, è facile vedere le differenze tra questi casi: quello che è difficile, è vedere qualcosa a cui invece assomiglino, i links.

Perché non assomigliano a niente di quello che c’era prima, di quello che conoscevamo, di quello che per gran parte delle persone è ancora la realtà: e forse bisogna trovare modi e pazienze per spiegarle, queste cose, perché d’ora in poi siano chiare per tutti. E non definite dalla roulette russa delle sensazioni di giudici più o meno preparati e attenti.
Nova [*]

[il grassetto è mio]