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Narrazioni di comunità, visioni condivise, scorci di futuro

Ho sete di narrazioni territoriali. Ma di  più: le collettività hanno sete, vogliono abbeverarsi con le rappresentazioni di sé allestite sul mediascape, il paesaggio mediatico.
Riassunto delle puntate precedenti:
  • c’è stato un cambiamento nei technoscape, nei paesaggi tecnologici. Abbiamo tutti per le mani strumenti di espressione nuovi, potenti e raffinati, abitiamo in Rete. E’ un momento aurorale, perché stanno nascendo nuovi format, nuove nicchie e flussi dentro l’ecosistema della conoscenza (fino a ieri biblioteche e quotidiani come imperi costruiti sulla carta, sulla pesantezza; seguiva maturazione dell’opinione pubblica lenta, partecipazione limitata, broadcast ineluttabile)
  • le collettività producono senso vivendo, e lo mostrano nello specchio della letteratura e nelle arti (come fare riflessivo, guarda un po’), tanto quanto nell’urbanistica, o nei modelli economici praticati, nella progettazione della logistica territoriale, e aggiungiamo le possibilità odierne di mostrare dinamicamente in tempo reale i comportamenti delle persone e dei gruppi tramite georeferenzialità e dispositivi connessi ubiqui… risulta oggi facile e semplice darne rappresentazione mediatica adeguata, di tutte ‘ste cose e flussi di persone e idee. Tutto nutre i mediascape, l’insieme degli atti comunicativi, la nuvola del dire di una comunità
  • nei momenti di crisi, conviene avere un serbatoio di possibilità differenti da giocarsi, per meglio adeguarsi al mutato contesto ambientale. Solito parallelo con il dialogo della selezione naturale, e al fatto che siamo tutti mutanti: succedesse qualcosa guarda caso ci sarebbe qualcuno che porta in sé una mutazione fino a quel momento ininfluente, ma che ora potrebbe diventare decisiva per far sopravvivere la specie (sto parlando di sperimentalismo, sì, in ogni settore sociale produttivo e socioculturale, nei format con cui pensiamo e storicamente realizziamo il nostro abitare). Idee per sopravvivere.
  • per potenziare l’efficacia di questo auto-pensarsi delle collettività, costruire contenitori di visioni e di progettazioni sociali, Luoghi partecipativi dove tutti possano esprimere la loro percezione e le loro linee direttrici del desiderio rispetto al futuro del territorio, alla qualità del Ben-stare su di esso come collettività in modo consapevole dell’impronta ecologica e dell’ottimizzazione delle risorse (materia energia e informazione, produzione e distribuzione), all’organizzazione sociale, alla costruzione condivisa di Grandi Narrazioni capaci di dare identità alle comunità locali, per come quele emergono dal calderone della Grande Conversazione, sotto cui abbiamo alzato il fuoco (tecnologie connettive) causando un più rapido rimescolarsi dei contenuti, nella comunicazione
  • ci sarebbe da raccontare come sulla superficie del pentolone si stiano formando aggregazioni di senso imprevedibili, cluster di memi capaci di tessere nuove forme significanti, come isole nei fiumi, luoghi di regolarità nel frattale della pubblica opinione. Non c’è più nessuno (ok, dài, i giornali potrebbero fare molto, se nativamente ripensati) a dirci quali sono gli argomenti importanti, ciò di cui val la pena parlare viene a galla nella Rete.
  • e-Government e e-Democracy non vivono nei pensieri, hanno bisogno di ambienti dove poter depositare e far maturare approcci e metodologie, tematiche e partecipazione
  • c’è di mezzo un aspetto civico del problema, che mi fa pensare che simili Luoghi di elaborazione del sentimento di appartenenza a una collettività (nel senso di aver-cura), i luoghi riflessivi autopoietici, dovrebbero essere pubblici, ovvero appartenere alla collettività. Come cittadini vogliamo che l’amministrazione pubblica renda disponibili piazze e parchi e biblioteche e spazi sociali per il pubblico dibattito e faciliti la circolazione delle opinioni. Poi le idee possono nascere dappertutto, nei caffè o su Facebook, ma là dentro dovrebbero assumere forma organizzata, orientata esplicitamente a costruire nel tempo l’archivio delle narrazioni autodirette di una comunità. Là dentro il ribollire dei punti di vista, delle consultazioni, potrebbe assumere aspetti concreti di promozione territoriale, come proposizione di linee e politiche d’intervento. L’alambicco che distilla.
Dicevo. Di simili Luoghi del “fare identità” territoriali e darne rappresentazione mediatica ne stanno nascendo un po’ ovunque, io stesso sto collaborando per realizzare qualcosa di simile, di cui racconterò più avanti. Gli Urban Center (Torino; Milano, Bologna, altre info) possono essere visti come gangli nervosi per l’elaborazione dei flussi informativi territoriali, gli esperimenti di Urban Experience danno visibilità alle nuove forme dell’abitare e del fruire gli spazi sociali.
A esempio, la Camera di Commercio di Udine ha messo giù un progettone per raccogliere le idee e le visioni della collettività friulana, si chiama Friuli Future Forum, lo trovate descritto anche qui, date una letta.
“L’ambizione è comunicare un progetto che contribuisca a trovare una nuova idea di Friuli. Ricostruiamo il concetto della nostra regione mattone dopo mattone, idea dopo idea, partendo dalle radici culturali e territoriali e individuando i valori di base sui quali poggiare le fondamenta per sostenere i sogni e le aspettative del futuro dei friulani” dicono i due professionisti coinvolti, l’uno più pubblicitario (annusare tendenze sociali e stili mediatici) e l’altro più tecnologo, docente universitario specializzato in location awareness e strumenti per rendere eloquenti le collettività.
E se la questione gira intorno al rendere visibili i flussi partecipativi dei cittadini, a organizzare e e distillare narrazioni centrate sul territorio e la qualità dell’abitare create dagli abitanti stessi, forse servirebbe anche una sorta di agenzia territoriale capace di offrire consulenze ai singoli o alle istituzioni o comunque agli attori sociali per costruire la propria narrazione, il proprio apporto alla Grande Conversazione.
Servirebbero dei Centri per la Narrazione gestiti con professionalità e orientati a progettare format di racconto per le collettività, capaci di fornire soluzioni comunicative adeguate con moderni strumenti di espressione (mappe e geotagging e blog urbani e reti civiche e mediateche e sensori ambientali e internet delle cose e teatri sociali di elaborazione, consultazione e decisione).
E quando le tematiche riguardano il fare civico, queste Agenzie di comunicazione potrebbero tranquillamente essere uno dei servizi offerti alla Cittadinanza da quegli Urban Center di cui parlavo più sopra.
Son dieci anni e più che unendo le mie competenze sulle conversazioni e sui media al mio interesse per la qualità dell’abitare sui territori provo a progettare e allestire community territoriali. Con tutto questo fiorire di ambienti per la socialità aumentata, chissà mai che non possa trovare un lavoro decente.

 

Risponde l’esperto in studio

Ucchequasimidimenticavo. 
Saran venti giorni che su Radio Onde Furlane (qui su Facebook) stanno andando in onda delle conversazioni tra me e il Diretôr Mauro Missana, dei piacevoli botta e risposta sulle tematiche della Cultura digitale. Sui cambiamenti che le innovazioni tecnologiche stanno apportando alla nostra vita quotidiana, in particolare, nella socialità e nelle istituzioni.
Abbiam parlato di Pubblica Amministrazione, di Scuola, dei nuovi modelli di funzionamento dell’editoria e del mondo dell’informazione giornalistica, di digital divide e di potenziamento della partecipazione delle collettività alla pubblica opinione, dell’industria culturale al tempo dell’mp3 e delle webtv.
E di altro, immagino: avevamo registrato sedici interventi di circa dodici minuti l’uno, all’inizio di agosto, che poi sono stati trasmessi da Onde Furlane il venerdì e il sabato mattina, per tutto agosto. Potete ascoltare le ultime puntate in questi giorni, anche in streaming dal sito della radio, verso le 10.30 di mattina.
Poi vedrò di recuperare le registrazioni e magari le metto da qualche parte.
E’ già previsto un ulteriore ciclo di chiacchierate, ne parliamo a metà settembre. La radio è cosa meravigliosa.

Opinioni cretine

Nel cimitero di una frazione di Udine c’è un’area dedicata alle persone di fede islamica, dove le sepolture sono rivolte verso la Mecca.
Già al tempo dell’istituzione ufficiale di questa sezione cimiteriale ci furono fiaccolate di protesta e incontri pubblici, organizzati da Lega e PDL, per protestare contro l’iniziativa. 
L’altro giorno all’Ospedale di Udine è morta una neonata, e i genitori musulmani han deciso di seppellirla qui, come la legge consente. 
Ora in quel cimitero c’è un cumulo di terra a segnare la sepoltura, senza lapide, senza insegne religiose, proprio come vorrei per me, anzi io vorrei non ci fosse nemmeno il cumulo di terra, vorrei tutto ben livellato con il prato che ci cresce sopra, o meglio ancora vorrei divenire cenere per sparpagliarmi in giro.
Sul Messaggero Veneto di ieri il capogruppo del PDL in Consiglio regionale Loris Michelini si esprime così (è un virgolettato, dovrebbero essere realmente le sue parole): “Sia da vivi che da morti gli islamici dovrebbero seguire le nostre regole, solo così riescono a integrarsi” e “Dal punto di vista cristiano, ci sconvolge questo modo di iniziare un’epoca all’insegna dell’integrazione con sepolture diverse dentro un cimitero
Da morti? Integrazione? Non è possibile rispondere a queste affermazioni. Non trovo nessuna logica in quelle parole, non posso articolare nulla per ribattere. E’ al di là di me, quel pensiero, non ci posso arrivare. E come se arrivasse uno e mi dicesse “ho mangiato una mela, domani grandina”, oppure “ecco le chiavi della macchina, ma ricordati che la radice quadrata di 2 è un numero irrazionale”.
Cos’è, teatro dell’assurdo? 
Fosse possibile, la cosa più semplice sarebbe estrarre il cervello di Michelini dalla scatola cranica, procedere con un bel tagliando come per le automobili, se fosse un computer si dovrebbe aggiornarlo con gli ultimi driver  disponibili per garantirsi una compatibilità aggiornata delle interfacce con la realtà, perché evidentemente c’è qualcosa che non funziona, là dentro.
Aggiornamento: sul giornale di oggi ci sono i commenti dei politici locali su quelle frasi di Michelini, e per fortuna vedo che sia la Destra sia ovviamente la Sinistra ne prendono le distanze.

Estremo congedo 2.0 aka Lutto in salsa social

Funeras è il portale dedicato al lutto.
I necrologi con le informazioni sui funerali sono aggiornati quotidianamente.
I defunti , che riposano nel cimitero virtuale, hanno uno spazio riservato alla loro memoria dove parenti,amici e conoscenti condividono il dolore con condoglianze, dediche, messaggi commemorativi, foto e video.
I familiari inoltre possono ringraziare per la partecipazione al lutto e comunicare la data del trigesimo e anniversario in memoria della scomparsa dei loro cari.

Non mi piace punto la locuzione “in salsa social” che talvolta si legge sui media per raccontare qualsiasi sciocchezza riguardi il web attuale. Fisime personali.

Però mi piace Funeras.it. Un portale italiano per i morti, e relativa partecipazione 2.0 al lutto. Oh, mica è il primo, ce ne sono molti, ma questo è italiano e moderno, permette bene interazione con e tra coloro che rimangono..

Ci penserà anche Google, prima o poi, una cosa per i morti e una cosa per i neonati, è impossibile non accada. Basterebbe interfacciarsi con gli uffici anagrafe, se questi buttassero fuori uno straccio di feed ben fatto. Ma anche il magazine digitale cittadino dovrebbe offrire questo servizio, sapere chi (quanti) siamo è la base della self-percezione della comunità locale. Anzi, direi che si tratta proprio di un servizio pubblico, se ne dovrebbe far carico proprio il sito della PA. Cittadinanza digitale, insomma.

Poi le statistiche sarebbero interessanti.

Fino a ieri si misurava, e in italia poi con sua la ritualizzazione estrema dei momenti di passaggio figuriamoci quanta letteratura, la fama di una persona in base al numero di partecipanti al suo funerale, e in seconda battuta con le partecipazioni e le segnalazioni sul quotidiano locale.

Vedremo qui su web chi riesce a superare i mille commenti anche da morto. Voglio le classifiche della mortosfera.

Certo, sarà necessario un controllo a manina su quanto scrivono i familiari e i fans dell’estinto – così scrivono – perché va bene diffamare i vivi e ti chiudo il blog, ma non te la prendere coi morti.

Mi vengono sempre i mente i foglietti di annuncio lutto che nei paesi si vedono ancora attaccati sui muri, nelle bacheche pubbliche e sui pali della luce. Chissà se ci sono nella giurisprudenza dei processi per imbrattamento degli annunci mortuari su carta affissi in giro. Chiaramente lì è più difficile, qui abbiamo l’IP del commentatore, là è tanto se scopri la marca della penna, fatta salva la perizia calligrafica o la flagranza di reato.

Questa qui di Funeras è gente di vicino Padova, sembra. Potrei dire loro di curare maggiormente la grafica, perché quel loro sito lo vedrei bene uguale per vendere olio lubrificante sintetico per motori a due tempi (tempo di Vespa, quasi), solo cambiando le scritte.

Però al sito ci planate sopra e già vi offre i necrologi geotaggati secondo la vostra provenienza geografica, ben fatta.

Saluto qui sotto Clelia, 97 anni, un nome d’altri tempi, le auguro buon viaggio, e che Hermes psicopompo le sia vicino. Non la conoscevo, non conosco i suoi parenti, ma mi è simpatica.

Sto pubblicando una cosa pubblica, con nomi e cognomi, dite che non posso farlo? L’ho trovato qui.

Mi disturba di più quel “scrivi la tua dedica” scritto gigantesco., sembra il fan club di un cantante pop. Sotto coi sinonimi, ragazzi, e stile innanzitutto, nel momento del trapasso. Anche gli sponsor, imprese funebri e marmisti, li terrei un po’ più nascosti.

Factchecking a Udine, Quintarelli, Canciani e le antenne dei cellulari

A Udine da qualche settimana si parla molto di antenne per la telefonia. Ne hanno messe un paio un po’ troppo vicino a delle scuole, nel tempo di una mattinata arrivano i tecnici e tirano su un mostro, nessuno nei quartieri ne sa niente, il sindaco Honsell prova a sostenere le ragioni dei cittadini a parole ma poi deve capitolare perché “il Comune ha le mani legate”, ci sono direttive legislative precise che stabiliscono che una volta che i Comuni hanno offerto alle aziende di telefonia le mappe con i luoghi possibili di instalazione delle antenne, parere dell’ARPA favorevole, queste possono procedere senza indugio. 
La Regione FVG ci aveva provato a normare meglio la proliferazione selvaggia delle antenne, ma il TAR bocciò l’iniziativa, vinsero le aziende.
Poi oggi sul Messaggero Veneto prende la parola Mario Canciani, noto medico pneumologo, che cavalcando il malcontento popolare (il dottore è anche consigliere comunale di maggioranza a Udine, un po’ di visibilità non fa mai male) sproloquia su risonanze magnetiche effettuate su persone mentre utilizzano un cellulare, la qual cosa non può semplicemente essere possibile, in termini scientifici. Non può essere presente un pezzo di metallo dentro la camera della Risonanza Magnetica, tutto qui, stop. Uscisse i casi di studio, per cortesia.
Di questo serious fact-checking vengo a conoscenza nientemeno che da Stefano Quintarelli, il quale pubblica oggi sul suo blog le parole di Canciani riportate dal Messaggero Veneto, avendo evidentemente a cuore il controllo delle informazioni pseudoscientifiche, spesso utilizzate pro domo di qualcuno, che vengono qua e là affermate con troppa leggerezza. 
Siam mica tutti allocchi, qui, ognuno sa un pezzetto di qualcosa e tutti insieme in Rete sappiamo tutto, più di quello che qualsiasi enciclopedia potrà mai riportare.
Il dottor Canciani ha anche un sito professionale dignitoso, adesso vado a segnalargli l’articolo di Quintarelli e vediamo cosa risponde, poi vi faccio sapere.
Per la cronaca: qui non stiamo disquisendo di cellulari sì o no, di inquinamento elettromagnetico… sto parlando di etica comunicativa da adottare nel pronunciare parole ai mezzi stampa da parte di un luminare della medicina, che per il fatto della autorevolezza della fonte vengono magari prese per buone da molti, senza che si inneschi una capacità critica nel recepire l’informazione.
Inoltre: chiaro che personalmente sono anche preoccupato dai livelli di inquinamento elettromagnetico, fondamentalmente perché non sappiamo bene con cosa stiamo giocando e perché come al solito qui si fanno le cose tenendo all’oscuro la cittadinanza, senza utilizzare strumenti per la progettazione partecipata di iniziative comunali, a vantaggio di aziende di cui per principio non mi fido.
In ogni caso, meglio avere molte antenne a bassa emissione, che poche molto potenti.

Accade a Udine

Due rapide notizie di cronaca locale, su fatti che riguardano la Rete.
Marco Belviso, tenutario del blog udinese Il Perbenista, è stato querelato dal coordinatore locale PdL Massimo Blasoni per 1,5 milioni di euro. Anche qui in periferia abbiamo qualcosa da raccontarci, eccheccazzo :)
Il bello è che Belviso è a sua volta “animale politico” del centrodestra, quindi abbiamo a che fare con faide interne. Il Perbenista è blog dichiaratamente “irriverente”, a volte satirico, ma la cosa buffa è che gli viene imputato un realto di diffamazione a partire dai commenti, spesso anonimi, lasciati dai frequentatori.
Già la lettera di diffida dell’avvocato parte lesa, denominando Belviso quale “direttore responsabile” del blog, fa chiaramente capire che chi ha mosso la causa non ne capisce poi molto di internette, visto che un blog non è testata editoriale registrata e non ha quindi né obblighi né tutele simili a quelle della stampa cartacea. 
Il giudice non sarà vincolato, certo, ma esistono già sentenze in italia, Cassazione compresa, che stabiliscono nettamente gli àmbiti e la portata della libera espressione personale su web.
Il politico sensibilone chiederà e otterrà di veder rimossi i commenti ritenuti lesivi, ma si arriverà facile alla remissione della querela, e non ci farà una bella figura.
Qui la notizia sul Messaggero Veneto, qui e qui il blog di Belviso.
La seconda notizia riguarda il lancio da parte dell’Amministrazione pubblica del Comune di Udine di un vero e proprio giornale online, denominato Udinè, lo trovate qui www.udin-e.it.
L’ho aggregato, l’ho “sfogliato”, mi sembra un giornale-vetrina, una cassa di risonanza delle comunicazione istituzionale, modello broadcast uno-a-molti, come al solito.
Il che è strano, perché Udine si sta muovendo abbastanza bene nell’interpretare correttamente e dar Luogo a strumenti di comunicazione verso la cittadinanza, utilizza i feed rss, possiede un canale youtube per alcune dirette di webtv, abita su facebook, offre siti istituzionali abbastanza ben disegnati, promuove innovazione nel backoffice utilizzando redazioni interne basate su applicativi web20 e GoogleApps, tanto per dire.
Ma qui c’è il problema: se i contenuti della comunicazione del giornale Udinè spesso ricalcano quelli già pubblicati sul sito del Comune di Udine e sul “portale Cultura“, quale bisogno c’era di questo nuovo Luogo web istituzionale?
Certo, è stato appena lanciato, auspicabilmente nel futuro vedrà meglio implementate delle aree dedicate all’interazione diretta con la cittadinanza (blog urbani, forum, bacheche interattive, mappe), vedremo.
Ne parla un consigliere comunale di Udine, Fabrizio Anzolini, uno che sta con l’Unione di Centro di Casini e di cui spesso non condivido i contenuti, mentre sul piano della forma gli potrei consigliare di scrivere sul suo blog in prima persona, con tono conversazionale e non sempre tramite dei comunicati-stampa… ne guadagnerebbe la qualità del dialogo con i cittadini.
Ma questa volta devo dire che ha perfettamente ragione nell’interrogarsi sul significato di questo nuovo strumento comunicativo dell’Ente locale.

e-Honsell

Honsell è un informatico old school. Un matematico, in realtà, che poi si è appassionato ai linguaggi di programmazione. Come mi disse una volta in una chiacchierata volante, sa benissimo costruire un sistema operativo usando il blocco note, ma di tutta questa roba di web non ne sa poi molto.

Però oggi via Messaggero Veneto Honsell racconta la sua visione da Sindaco per Udine digitale, e ci sono frasi da cui emerge una certa consapevolezza riguardo le dinamiche dell’abitare online, il momento duepuntozero, le politiche per la riduzione del digital divide come possibilità concreta di partecipazione dei cittadini alla discussione pubblica. Tra le righe, si trovano spiragli di e-government e di e-democracy. Vedremo.
Magari nel frattempo potrebbe aprire un suo personale Luogo disintermediato, per promuovere conversazione.

Politiche energetiche a Udine

Il 26 settembre alla Fiera di Udine si è tenuto il convegno “Il ruolo dei Comuni nella promozione del risparmio energetico”, dove si è cercato di approfondire le scelte sulle politiche energetiche a partire dall’esperienza di Udine, visto che qui dal primo giugno, prima amministrazione comunale in Regione FVG, è in vigore il nuovo regolamento edilizio che prevede la certificazione CasaClima per tutti i nuovi edifici.

Nel corso del convegno sono intervenuti il sindaco di Udine Furio Honsell, il presidente dell’Ape di Udine Loris Mestroni, l’assessore all’Energia della Provincia di Udine Stefano Teghil, il dirigente del ministero dell’Ambiente Antonio Lumicisi, il direttore dell’agenzia CasaClima di Bolzano Norbert Lantschner, l’arch. Stefano Fattor, già assessore al Comune di Bolzano, l’amministratore delegato della Fantoni spa Paolo Fantoni, il presidente di Legambiente FVG Giorgio Cavallo, Vitto Claut del Codacons di Udine, Claudio Pantanali di Confindustria Udine e Adriano Savoia, presidente della Federazione Italiana Agenti Immobiliari.

Honsell ha presentato il PEC Piano Energetico Comunale, parlando di riduzione di CO2 e di tecnologie per i sistemi di risparmio soprattutto per edifici di una certa età quale via maestra per ottemperare alle indicazioni europee, ovvero il “Pacchetto Energia” del gennaio 2009, definite 20-20-20 (arrivare entro il 2020 a produrre il 20% dell’energia da fonti rinnovabili e ridurre del 20% le emissioni di anidride carbonica), nonché esponendo la filosofia stessa dell’impegno sul risparmio, ragionando a esempio sul kilometro zero.
Interessante il Patto tra i Sindaci europei (a riprova di iniziative “dal basso”) per il raggiungimento di simili obiettivi, firmato come protocollo recentemente dal Comune di Udine e da altre novanta municipalità in Italia.

Dopo altri interventi di Mestroni (il ruolo di APE Agenzia Provinciale per l’Energia di Udine) e di Lumicisi (ha mostrato un po’ di grafici sulle fonti energetiche, sulla necessità del rinnovabile) ha preso la parola Lantschner di CasaClima di Bolzano, il quale ha esordito preannunciando il suo dover fare necessariamente la parte del “cattivo”, perché qui non si è ancora capito bene il dramma a cui stiamo andando incontro, nell’insistere con petrolio e carbone senza comprendere l’ormai superato picco della produzione e la non-economicità dei sistemi attuali.
L’Italia, ha detto esplicitamente, è messa male: continua a fare gli stessi errori da 40 anni, nel campo edilizio.

Dove sbagliamo? Oltre alla dipendenza dal petrolio, e alla stoltezza dell’attuale sistema di distribuzione dell’energia, la gravità sta nel non tenere in considerazione l’efficienza energetica, vera chiave di volta di tutti questi ragionamenti, in ogni settore.
Aiutandosi con dei grafici, Lantschner ha illustrato come il problema vero sia l’edilizia, non i trasporti: a causa dell’inadeguatezza delle costruzioni presenti oggi in Italia abbiamo uno spreco incredibile, non giustificabile.
E bisogna cambiare subito strategia: se ti accorgi di essere su un treno sbagliato, non serve a molto correre verso la coda, devi scendere il prima possibile.
I Comuni non devono “prescrivere” delle iniziative o delle migliorìe, devono piuttosto “premiare” chi fa le case meglio delle leggi attuali… in questo modo, introducendo un sistema premiante, diventa fondamentale il problema del certificato energetico.

Sempre da Bolzano, dove sono veramente all’avanguardia con simili pratiche edilizie (le case “popolari” vengono costruite in fascia B, e questo obbliga anche l’edilizia privata ad alzare la qualità dell’offerta), Stefano Fattor docente di architettura e già assessore a Bolzano mostra come in italia i sistemi di certificazione (caso unico, come al solito) non seguano i criteri europei, cosicché può capitare di acquistare o di poter costruire case che vantano una bassa “impronta” ecologica, ma la cui manutenzione energetica in realtà non appartiene affatto alla categoria di assegnazione, risultando più dispendiosa.

Il prossimo 9 ottobre a Udine verrà presentato il Piano energetico Comunale.

Pianificare l’energia, comunicare l’energia

Il giorno 9 ottobre 2009 alle ore 16.00 presso la sala Ajace del Comune di Udine, si terrà l’incontro pubblico “Pianificare l’energia, comunicare l’energia” per presentare il Piano Energetico Comunale 2009 e il progetto di comunicazione ambientale “Cyber-Display” a co-finanziamento europeo.
L’evento sarà l’occasione anche per raccogliere valutazioni e punti di vista sul nuovo Piano Energetico comunale, che saranno utili per pianificare i futuri interventi in ambito energetico.
Il PEC vuole inoltre implementare le funzioni della pianificazione territoriale e delle politiche di sviluppo sociale a livello locale, valorizzando la variabile energia quale fattore chiave di sviluppo. Viene pertanto assegnata alta priorità alla promozione delle fonti rinnovabili ed al risparmio energetico come mezzi per una maggior tutela ambientale.
Il PEC analizza le caratteristiche del sistema energetico locale alla data odierna, e definisce gli obiettivi di sostenibilità al 2020 coerentemente con gli indirizzi e gli obiettivi della commissione Europea nel settore dei consumi, delle emissioni di gas climalteranti e delle azioni individuate in ambito internazionale per il loro raggiungimento.

Il Piano Energetico è costituito da due documenti:
1. Bilancio Energetico;
2. Piano d’Azione.
Il Bilancio energetico restituisce l’immagine della domanda/offerta di energia sia per quanto riferibile all’Amministrazione che per il Territorio comunale. Il risultato è un documento che prevede una struttura flessibile ed adatta ad essere aggiornata con facilità.
Il Piano d’Azione è suddiviso in proposte di intervento a breve-medio termine e proposte a lungo termine, volte a promuovere l’uso razionale dell’energia ed il contenimento delle emissioni climalteranti. L’intento è duplice: da un lato sono state programmate iniziative per il contenimento dei consumi negli edifici e negl i impianti di proprietà comunale; dall’altro verranno realizzate campagne per la sensibilizzazione ed il coinvolgimento fattivo di soggetti di varia natura (pubblici e privati).

In termini pratici, la caratteristica del PEC è quindi quella di costituire uno strumento operativo, condiviso, chiaro, semplice, che coinvolge i diversi settori che hanno competenza indirettamente su aspetti energetici, e integrato con gli altri strumenti di programmazione e governo del territorio, evitando sovrapposizione tra essi.
L’incontro presenterà inoltre le prime attività svolte nell’ambito del progetto “Cyber-Display” a co-finanziamento europeo, per la comunicazione ambientale nelle scuole e ai cittadini dei temi del risparmi energetico.
All’evento, oltre all’Ass. Lorenzo Croattini in rappresentanza dell’Amministrazione Comunale, parteciperanno alcuni responsabili di Ecuba srl (la società affidataria dell’incarico di redazione del Piano) e Agnese Precotto in qualità di responsabile di una delle campagne di comunicazione sui temi dell’energia attualmente in corso. Sono stati inoltre invitati i rappresentanti di Confartigianato, Legambiente, dell’Agenzia Provinciale per l’Energia di Udine e di AMGA SPA al fine di fornire il punto di vista di diversi portatori di interesse operanti sul territorio.

Il Grande Fratello siamo noi

Certo, viviamo tempi paranoici.
“Help, the paranoids are after me!!” era una battuta di trent’anni fa, la vedevo scarabocchiata sugli astucci alle medie.
E se cammino per strada nella mia cittadina, il saper di essere osservato da centinaia di videocamere potrebbe indurmi a comportamenti sospettosi, il che mi rende sospetto, quindi chi ti sorveglia a ragione direbbe “A-ha! Ecco quello lì che nasconde qualcosa, manda una Volante a controllare”, ed ecco che mi mordo la coda. Anzi, sto proprio deviando le linee del destino, mettendo in scena una profezia che si autodetermina, visto che se penso che mi controllino così allora mi comporto colà e quindi mi notano e quindi mi controllano etcetcetcetc.
Se vedete nelle serate dei finesettimana dei gruppetti di persone di mezza età che si guardano in giro con il naso all’insù, non preoccupatevi, sono i soliti amici avvocati architetti medici docenti universitari o psicologi che per fumarsi con tranquillità due canne in centro devono giocare a nascondino con gli occhietti elettronici che dovunque, a Udine come in molte altre città italiane, sorvegliano il territorio. Gente che si preoccupa, professionisti seri, che li sgami subito per la paranoia che hanno di essere beccati, appunto. Encomiabili, quelli, ci vuole un coraggio da leoni oggidì, mentre l’approccio corretto sarebbe fottersene platealmente dell’intero problema, visto che problema non è (tranne che per le stolti leggi italiane al riguardo).
E se tu che leggi qui sei contro l’uso ricreativo della canapa, sappi che con buona probabilità le persone intorno a te, il tuo avvocato o il benzinaio o il tuo medico o il bancario o la commessa del negozio di scarpe sniffano cocaina, e qui il problema c’è (tranne che per le stolte leggi italiane al riguardo, che non conoscono la differenza).

Ma delle ridicole politiche proibizioniste parleremo un’altra volta, torniamo al problema del Grande Fratello, le centinaia di videocamere che ci sorvegliano mentre passeggiamo in centro.
Qui a Udine vogliono metterne un altro centinaio intorno alle scuole, visto che i vandali cagionano 200.000 Euro di danni all’anno, come ci racconta un preoccupato (forse per i soldi) assessore provinciale sul Messaggero Veneto. E la Regione o altri stanzieranno un milione di euro per le videocamere. E a me sembrano tanti, 10.000€ per ogni telecamera e il lavoro di metterla e tutto. Ma vabbè, paghiamo e teniamo sotto controllo i giovani, dài. Vorrai mica e-du-car-li, no? Approccio obsoleto, suvvia. In questo modo poi imparano sul campo l’arte del sotterfugio, italico vanto, e le marachelle le faranno ugualmente, se non peggiori.
E in ogni caso per i prossimi anni non si tornerà indietro, garantito, la tecnologia verrà ampiamente utilizzata per il controllo del territorio e delle persone, in forme sempre più raffinate. Ce lo diceva paradossalmente anni fa Rodotà, da Garante della privacy: se non volete essere rintracciabili, non limitatevi a spegnere il cellulare, togliete proprio la batteria, sennò qualcuno (chi? con quali fini? ovviamente uno incorruttibile e di specchiata moralità) potrebbe sempre facilmente sapere dove siete.

La domanda è: chi le guarda, queste immagini? La Polizia, immagino, oppure i Vigili Urbani. Centinaia o migliaia di videocamere in funzione alle 3 di notte, esiste chi le guarda sui monitor nella centrale operativa? Nelle università e nei centri di ricerca stanno sviluppando software specifico per rilevare comportamenti aberranti di umani e automobili, sappiatelo, tipo riunirsi a capannello in piazza in tre persone. Non credo le immagini nemmeno servirebbero a cogliere i malintenzionati in flagrante, penso piuttosto le registrazioni costituirebbero materiale d’indagine successivo al reato, per l’identificazione degli autori.

Insomma, vengo al punto.
C’è solo un modo per evitare gli atteggiamenti sospettosi, la paranoia sociale, l’ombra del grande Fratello che si allunga minacciosa sulle nostre ridenti cittadine minando la fiducia nel prossimo e nelle istituzioni.
Le immagini riprese dalle videocamere di sicurezza sul territorio pubblico devono essere pubbliche. Tutti devono poter vedere quello che vedono le forze dell’ordine in centrale operativa.
Tutti devono poter vedere tutto, in tempo reale, su un bel sitino web dove posso scegliere camera per camera le varie inquadrature, e le mappe con le ubicazioni dei punti coperti pure devono essere pubbliche.
E grave assai dovrebbe essere il reato di non rendere pubblici questi dati sulle ubicazioni di tutte le videocamere, perché saremmo nel caso di pubbliche amministrazioni che celano dati pubblici.

Magari diamo una mano alle forze dell’ordine, gratis: gli insonni potrebbero buttare un occhio negli angoli bui della città, senza muoversi di casa, e segnalare stranezze.
E soprattutto, per cose che riguardano appunto gli spazi pubblici, togliamo di mezzo questa idea della sorveglianza occulta, dove non posso controllare cosa controllano i controllori.
Ma proprio questo è il problema: chi controlla i controllori? La risposta migliore è oggi tecnologicamente praticabile: tutti noi possiamo controllare i controllori, tutti noi controlliamo noi stessi, ché è meglio tutti che una parte soltanto. Sennò non mi fido, sono paranoico.

Un vero reality

Forse già dal 27 luglio Udine avrà lo streaming del Consiglio Comunale. Interesting.
Credo Paolo Coppola, assessore diUdine all’Innovazione e all’e-Government, si meriti una pacca sulla spalla, perché sta facendo un buon lavoro sulla presenza mediatica del Comune (aspetto strumenti più interattivi; senza un po’ di sana e-Democracy l’e-Government suona come una “concessione”), e perché credo abbia dovuto lottare con assessori e consiglieri contrari a mostrare il loro faccione in webdiretta.

Si lavora per far partire il servizio già da lunedì prossimo, 27 luglio
IL CONSIGLIO COMUNALE VA ONLINE
Coppola: “Un segnale di partecipazione, apertura e trasparenza della politica verso tutti i cittadini”.

Due telecamere riprenderanno le sedute e le trasmetteranno in diretta streaming sul sito del Comune

Due telecamere che riprendono i lavori del Consiglio comunale di Udine e che trasmettono le immagini in diretta streaming sul sito del Comune. È l’idea dell’assessore all’Innovazione e alla Trasparenza Paolo Coppola che, probabilmente già dalla prossima seduta del 27 luglio, in via sperimentale, intende offrire a tutti i cittadini la possibilità di seguire in diretta online il consiglio comunale. “In queste ore stiamo cercando di risolvere i problemi tecnici e burocratici – spiega Coppola – per lanciare il servizio in via sperimentale già da questo Consiglio. Credo che coinvolgere i cittadini, attraverso tutti gli strumenti che la tecnologia ci offre, rappresenti un segnale di apertura della politica e delle istituzioni verso una sempre maggiore trasparenza e partecipazione”.
Nella sala del consiglio, oltre alle due telecamere, sarà posizionata una piccola regia, basata su un computer portatile che gestirà le riprese e inserirà i sottotitoli per spiegare chi in quel momento sta parlando.
Collegandosi al sito www.comune.udine.it, dunque, sarà possibile seguire in diretta lo svolgimento della seduta pubblica. Ma non solo. Nei giorni successivi al consiglio, infatti, i video verranno caricati su youtube, sul canale del comune, e suddivisi per i diversi punti all’ordine del giorno, in modo tale da rendere più facile il reperimento di una parte specifica della discussione. “È la prima volta in assoluto che a Udine viene effettuato un servizio del genere – prosegue soddisfatto l’assessore che ha anche la delega ai servizi informativi – e spero vivamente che, dopo la fase sperimentale, si possa partire a pieno regime perché credo sia fondamentale rendere consapevoli e partecipi i cittadini delle decisioni prese per tutta la collettività, riducendo il pericoloso distacco tra politica e vita quotidiana. Vedremo poi – conclude – quali saranno le reazioni da parte del web e, sulla base dei risultati, vedremo se continuare o meno”.
Sta di fatto che, a partire dalla campagna elettorale di Obama fino alle nostre recenti elezioni europee, se da un lato si sta diffondendo sempre più l’uso di internet nella comunicazione politica, è anche vero che dall’altro sono sempre più le persone di tutte le età che cercano in modo diretto le informazioni, possibilmente senza intermediazioni. Ed è proprio in quest’ottica che si inserisce l’idea di far seguire online le discussioni del consiglio comunale udinese.

Udine, 21 luglio 2009 Ufficio stampa

via Facebook (della notizia non ne ho trovato ancora traccia sul sito del Comune di Udine)

Udine stupidina, e sprecata

Ho letto questo post di Gaia, che non conosco, e credo sia più giovane di me.
Sono annoni che non vado a una festa di laurea di qualcuno, e anche l’epoca dei primi matrimoni credo sia finita, nel mio giro di amicizie. Infatti le notizie a distanza uno/due gradi di separazione sono i tradimenti e i secondi matrimoni, e manca poco al “sai che Gino ha avuto un infarto? Stava sniffando una riga di bianca tra le tette di una cubista croata durante un’orgia di scambisti in un club privè” (cit. a memoria di non mi ricordo chi; ndGJ).

Perché Gaia parla di Udine, una città stupidina. E dice cose giuste e appunto letteralmente condivisibili, tant’è che copioincollo qua sotto le sue parole. Qualche volta ci ho provato anch’io, su questo blog, a raccontare degli stereotipi schizoidi di questa città di provincia. Della sua ambigua socialità che vivacchia tra l’indignato perbenismo di facile calco televisivo e i topless lapdance spritz party nei capannoni delle statali, tra le ferrari e le porsche in doppia fila e la mensa dei frati che trabocca di gente in cerca di una minestra. Un territorio che offre iniziative culturali internazionali – Sunsplash, FarEastFilmFestival, VicinoLontano, realtà sorte “dal basso” – offuscato dalla miopia culturale di una classe politica incapace di progettare un’identità e una linea d’azione innovativa e lungimirante, fondata su una lettura semplicissima della modernità fatta di scenari transfrontalieri, consapevolezza ecologica del rispetto del territorio (il FVG è la regione più cementizzata d’italia), nuove forme di socialità, superamento delle logiche economiche di tipo veteroindustriale.
Se c’è una cosa in cui i friulani sono bravi, e dove gli udinesi raggiungono l’eccellenza, è nell’impedire che il vicino di casa faccia qualcosa di innovativo e magari culturalmente ed economicamente redditizio. Siamo specializzati nello sbranarci a vicenda, prima ancora che le cose si muovano. Invidia, rancore, pressione sociale al conformismo, guerra di bande, cattolici vs. massoni, chissà. Piuttosto che lasciarti aprire un negozio sotto casa mia, dò fuoco al condominio dove entrambi abitiamo, ecco.

Ma riprendo qui gli sforzi di Gaia, mi associo e continuo a credere di poter cambiare la mentalità di questa città sprecata.

cosa ci faccio qui?

Luglio 17, 2009 — gaiabaracetti

Ieri ho avuto il piacere di partecipare ad una festa di laurea a Padova. Con i suoi 55,000 studenti (dati del Miur), Padova è decisamente una città universitaria, per cui molto diverente: una delle città in cui sarebbe bello vivere. Ce ne sono tante, in Italia, penso a Torino, Roma, Bologna, per dirne alcune, o le città del sud… per non parlare delle fantastiche metropoli europee: Berlino, Parigi, Barcellona… Invece sono ancora a Udine. Ogni tanto mi chiedo perché, che ci faccio qui, in questa città piccola, sgarbata e conservatrice, quando le alternative sono illimitate e così allettanti

La risposta, oltre che agli ovvi motivi che qui ci sono nata e che qui lavoro, è che io vedo Udine non per quello che è, ma per quello che potrebbe essere -e potrebbe essere veramente una città perfetta. Ogni tanto può nauseare, ma le piccole dimensioni hanno numerosi vantaggi: non ci si sente soli come in una grande città, è facile rimanere in contatto con tutti, e coinvolgere molte persone nelle proprie iniziative. In grandi città, per la mia esperienza, è tutto molto più dispersivo e faticoso.

Udine è una città ricca: se solo gli udinesi spendessero i propri soldi in cose come la cultura, o persino l’artigianato, invece di comprare cose inutili nei centri commerciali, si creerebbero posti di lavoro fantastici che spingerebbero i giovani a restare, e si renderebbe stimolantissima la vita udinese.

Siamo una regione di confine, eppure dell’Austria ci importa poco, e la Slovenia la trattiamo con diffidenza. Se sapessimo sfruttare questa posizione, potremmo essere al centro di scambi culturali unici, invece che una periferia considerata dal resto d’Italia rozza, remota e poco invitante -mentre noi non facciamo altro che ripeterci quanto siamo speciali perché siamo friulani.

Infine, ho deciso di restare in una zona ricca come il Friuli perchè bisogna ridurre guerre e povertà nel mondo, e siccome entrambe queste cose sono sempre più collegate alle disparità nella distribuzione globale di risorse, se agendo qui si potesse spingere la parte ricca del mondo (tutti i friulani, quindi, non solo quelli che noi consideriamo ricchi) a consumare di meno, avremmo già risolto metà del problema. Noi consumiamo più risorse di quante la nostra terra ci fornisca, e per queste risorse ci sono guerre, sfruttamento e fame in parti del mondo che non conosciamo nemmeno.

Udine è strana: tantissimi giovani se ne vogliono andare, però la maggior parte finisce per restare, risucchiata qui da non si capisce cosa… io ora come ora sono tra questi. Ogni tanto anch’io sento le sirene di altre città, o dell’estero, e vivere a Udine, dove è così difficile mettere in pratica idee nuove, può essere frustrante. Però penso che la nostra potrebbe essere davvero una città che riassuma in sè il meglio della nostra era in una dimensione davvero umana… ma siamo lontani da questo obiettivo, e quando mi trovo davanti a gente che si lamenta perché non si parcheggia in centro, o chiede più polizia in borgo stazione, mi chiedo se basteranno i miei sforzi per cambiare la mentalità di questa città sprecata.

Coprifuoco a Udine

Ne ho già parlato altre volte qui su questo blog, perché si tratta di una situazione oggettiva, misurabile, non dei deliri di uno come me a cui talvolta piace andare in giro di notte a vedere cosa fa la gioventù per sentirsi viva e dirlo al mondo. Capirai, vado al cinema, a vedere delle robe di arte, a sentire musica nei locali, cerco gente e idee. Socialità. Udine è un deserto di per sé, dove una pozzanghera minuscola diventa un mare di novità dove si ritrovano a sguazzare quelle poche centinaia di ragazzi e ragazze, forse mille, che animano la vita notturna di una città di centomila abitanti, dove i pubblici esercizi possono contare su un certo numero di clienti, anche grazie all’Università.

Un anno fa chiudeva il NoFun aka LaCantina, un circoloarci dove Gaetano era riuscito a portare con costanza un po’ di gruppetti simpatici a suonare, persino americani o inglesi, una programmazione di qualità. Questo faro di cultura giovanile udinese (se non altro per il fatto di essere l’unico posto stabile per fare concerti con 80 persone dentro, ripeto ottanta; a Udine non ci sono posti per fare un concerto con chessò 300 persone) dopo quindici anni di presenza non ha ottenuto il rinnovo del contratto di locazione, e può capitare.
Un altro circoloarci, il Pabitele aka Zoo, è riuscito a fare pochi anni di concerti e djset, ma sempre in modo un po’ precario, e ora credo facciano solo delle serate di milonga e tango, perché il vicino da sempre protesta a tal punto da far passare la voglia ai gestori di combattere con denunce e sanzioni.
Ora gli eventi stanno precipitando: hanno chiuso il Barcollo, in pieno centro, dove i ragazzi soprattutto universitari si incontravano per i rituali dello spritz, e hanno fortemente limitato gli orari di apertura dei Provinciali, che è (era) un osteria con la cucina aperta fino alle 23.
Nel primo caso il gestore ventitreenne seguiva scrupolosamente gli orari di spegnimento musica, stop somministrazione bevande, chiusura serranda: poi la gente rimane a parlare in strada, com’è ovvio, e le forze dell’ordine hanno chiuso il locale, una mattina, su denuncia di qualcuno che abita nelle vicinanze. Chiuso, e basta, con i dipendenti a casa e migliaia di euro di perdita a fronte di un affitto che immagino stellare.
Il gestore dei Provinciali ha dovuto mandare a casa quattro o cinque dipendenti, non potendo più contare sulle entrate serali legate all’attività di ristorantino: gli è stato imposto di smettere tutto alle 21.00.
Se a Udine andate al cinema di sera, uscendo dal primo spettacolo (!) troverete con difficoltà un locale dove bere qualcosa, e camminando in centro a mezzanotte e mezza sentirete solo il silenzio.


Perché l’ultima novità è quest’ordinanza sindacale con cui si stabilisce che la musica nei locali (live o riprodotta) deve finire appunto a mezzanotte e mezza, 00.30 anziché all’1.00, e i locali hanno mezz’ora o un’ora massimo per far sgombrare la gente. A casa, a dormire, e non rompere i coglioni soprattutto.
L’altro sabato sera in piazza hanno fatto smettere di suonare a mezzanotte una tipa che era da sola sul palco con la sua chitarra, mica una band di metallo pesante.

Il Visionario, che fondamentalmente è un bar lungo con una stretta terrazza e con un palchetto buono appena per ospitare un paio di dj, quando offre una serata musicale vede arrivare centinaia di ragazzi e ragazze, perché non ci sono altri posti dove andare, semplicemente. Ieri sera scommettevo col gestore non sul fatto che la polizia arrivasse o meno a controllare il rispetto dell’ordinanza sindacale, quello era ovvio: noi puntavamo sul loro orario di arrivo. Io dicevo prima della chiusura, lui diceva appena dopo. Ho vinto io, e titubante mi son scolato lo shottino di uischi in palio temendo che insieme all’unico drink bevuto mezzora prima mi facesse salire il livello alcolico oltre il fatidico 0.5, e qui ci fermano anche sulla Vespa per farci il palloncino.

Di questa cosa ne parlano Gaia Baracetti e Alessandro Venanzi, quest’ultimo anche ventisettenne consigliere comunale, che provano bontà loro anche a suggerire delle soluzioni ispirate al buon senso e al dialogo, nella consapevolezza che l’offerta di luoghi cittadini di socialità (rispettosa delle leggi, certo) sia un sinonimo di qualità del vivere, di vivacità culturale.

A Udine c’è una giunta di sinistra, il sindaco è quell’Honsell ex-rettore dell’Università, che scrive su Wired e andava da Fazio a spiegare matematicamente perché se piove è meglio camminare che correre. Non posso credere che la Giunta comunale abbia motu proprio operato questo giro di vite, questo inasprirsi del controllo sociale su Udine, che quasi sembra un piano repressivo. Udine è morta, sia chiaro, culturalmente parlando.
Potrebbero essere indicazioni dei Destri (Regione e Provincia) sul questore, che però difficilmente si muove senza coordinarsi con il sindaco di una città. Oppure siamo dentro un do ut des, dove in cambio di una certa tranquillità politica la Destra ha ottenuto appunto la certezza di vedere applicate certe iniziative di controllo sociale. Non c’erano più locali da strigliare, siam passati a chiudere i bar.

Ecco a cosa potrebbe servire Facebook: a far arrivare per caso 800 ragazzi e ragazze in piazza, con i bidoni per suonare e cantare la bellezza di una vita, quale potrebbe essere e non è.

Diventa anche tu delatore

Sì, lo so, la delazione e la civiltà e il farsi i cazzi propri eccetera eccetera. Ma mi sono stancato.
Su questo argomento in particolare poi, da vecchio rissaiolo, mi prudono subito le mani.
E vi risparmio la faccia di maritino e mogliettina, l’arroganza delle loro occhiate sulla plebaglia, altrimenti Lombroso mi applaude dalla tomba.

Bene. Un’ora fa ero a far la spesa in un super qualsiasi. Subito fuori dall’entrata ci sono ovviamente gli stalli per far parcheggiare le persone ad esempio con handicap motorio, e mi pare civiltà.
Quindi considero assolutamente incivile (nonché meritevole almeno di pubblico ludìbrio) chi potendo camminare per 15 – quindici! – metri parcheggia sugli stalli riservati a chi espone il bollino col disegnetto della carrozzella. E’ sinceramente una delle cose che mi altera maggiormente, passo subito in modalità “rissa”.

Sono anche rimasto ad aspettare i proprietari dell’auto, e dalla mia postura e da come li guardavo hanno capito subito che in realtà aspettavo una scintilla qualsiasi… il maritino voleva forse chiedermi qualcosa a muso duro, la mogliettina gli ha fatto cenno di tirar via dritto.

In questo stesso supermarket ho già battibeccato per lo stesso motivo un paio di volte, con dei croati tamarrissimi che però han capito e con una sioretta che invece si ostinava a far finta di non capire. Ormai andare a far la spesa lì è uno dei motivi che mi tiene vivo.
In entrambi i casi erano macchinoni, BMW grosse oppure il SUVetto della siora.
Oggi si trattava di Mercedes 320 da 60.000 euro assolutamente senza bollino esposto, che vi siano correlazioni statisticamente significative tra atteggiamenti arroganti e macchina posseduta?

Non sono ancora arrivato al punto di chiamare un vigile, ma pubblicare qui sì.
Segnatevi la targa del merda: DK793GC.

Sempre Bilancio Partecipativo

Ascoltando conversazioni in Rete scopro questo interessante articolo esplicativo sul Bilancio Partecipativo, di Giovanni Tonutti, pubblicato nella pagine del Centro Studi per l’America Latina dell’Università di Trieste. L’argomento è “caldo” e di estrema attualità, soprattutto a Udine dove Anna Paola Peratoner in quanto consigliere comunale con delega specifica al Bilancio Partecipativo sta seguendo l’adozione di questo processo democratico di partecipazione di tutti i cittadini portatori di interesse alle scelte concrete di amministrazione del territorio (qui trovate un verbale di un recente incontro pubblico).

L’argomento del Bilancio Partecipativo (vedi post precedente), insieme all’ottimizzazione dei sistemi distributivi dei farmer’s market cittadini e dei locali Gruppi di Acquisto Solidale, costituisce uno dei nuclei dei ragionamenti della RES di Udine, e solitamente avrei riportato qui l’intero articolo, citandone ovviamente la fonte: purtroppo, com’è (pessimo) costume delle Università italiane, il materiale è sotto copyright stretto (sarebbe stata sufficiente una licenza Creative Common, come per questo sito e i suoi materiali), e non può essere utilizzato neanche in parte, benché frutto di ricerche condotte con denaro pubblico. Un buon concetto di ecosistema della conoscenza (apertura, libera conversazione, condivisione) è oggi necessario, in questa nostra Società della Conoscenza, al pari delle attenzione che prestiamo alla gestione delle materie prime e dell’energia, oltre che alla qualità degli ambienti relazionali interumani.

Udine e bilancio partecipativo

Dal blog di Marina Galluzzo, comunicatore pubblico per il Comune di Udine.

La città di Udine ha concluso in questi giorni la sua prima esperienza di bilancio partecipativo: un progetto sperimentale sviluppatosi, nell’arco di pochi mesi, attraverso assemblee pubbliche di quartiere e che ha visto l’Amministrazione Comunale interessata da un punto di vista squisitamente tecnico e di accompagnamento al processo.
Quella udinese non è la prima esperienza di Bilancio Partecipativo in Italia: i processi di partecipazione popolare, partiti già da qualche tempo, stanno ora assumendo anche in Italia dimensioni interessanti.
Il fatto che tali esperienze si sviluppino in un sistema di governo basato sulla democrazia rappresentativa induce a chiederci se e in che termini l’ampia formula di democrazia diretta possa convivere in questo sistema.
In questa prospettiva è bene chiarire come fin dall’origine del costituzionalismo moderno, l’esercizio “diretto” della sovranità si risolveva “nel deliberare, in regime di compresenza fisica dei consociati – sulla piazza pubblica”, senza la partecipazione di intermediari che si potessero frapporre fra il decisore e la decisione.
Al contempo tra la democrazia e il regime rappresentativo, si è da sempre tracciata una nettissima linea di demarcazione, diretta a chiarire la radicale differenza che le separa.
Ma, se il concetto di democrazia diretta, è ancora oggi quello dei classici, (cioè quello del “popolo adunato”), è pur vero che nelle società complesse, ogni tecnica decisionale comporta, pur sempre (oggi più che mai) una mediazione. Nelle società pluralistiche diviene infatti inevitabile una interposizione fra il popolo e la decisione politica, anche quando quella decisione viene imputata allo stesso popolo e ad una sua “diretta” manifestazione di volontà. La realtà dei fatti dimostra come l’opinione pubblica si forma pur sempre e anzitutto attraverso la mediazione dell’attività di partiti e gruppi, e, sopratutto, attraverso i mezzi di informazione che, spesse volte, prevaricano l’ideologia degli stessi gruppi e partiti politici (più deboli).
Per tutto ciò, allorchè si discuta di processi di Bilancio Partecipativo, si dovrebbe più correttamente utilizzare il termine di democrazia partecipativa, pur consapevoli che il Bilancio partecipativo presenta connotati propri e specifici che vanno ben oltre il significato della partecipazione degli istituti costituzionali del referendum abrogativo e di partecipazione popolare.

Non vi è dubbio peraltro che simili processi partecipativi siano nati dall’esigenza di affrontare criticità proprie della democrazia rappresentativa che, ai nostri fini, si possono riassumere in una duplicità di fattori:

1) – l’ampliarsi del principio di sussidiaretà.
Una sorta di invito allo Stato a non intervenire ogni qualvolta i cittadini e loro aggregazioni sociali (famiglia, associazioni ed altri “corpi intermedi”, incluse le istituzioni locali) possono ‘fare da soli’. Il principio di sussidiarietà ha in sostanza innescato una catena di de-responsabilizzazioni progressive, con caratteristiche fortemente asimmetriche: infatti nell’epoca caratterizzata dal fenomeno della globalizzazione dei problemi viviamo una sempre più incisiva “localizzazione” delle soluzioni, che caricano le amministrazioni locali della responsabilità delle scelte (ma a cui, peraltro, non seguono adeguati trasferimenti di risorse, indispensabili per farvi fronte).
Questa crescita del decisionismo istituzionale locale, avviato con l’era dell’elezione diretta dei sindaci e della dimunizione di potere dei consigli comunali, è andata sempre più coniugando una creazione di spazi di partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni pubbliche.
Il coinvolgimento degli abitanti nelle scelte pubbliche diviene così quasi indispensabile sopratutto per ricostruire una fiducia dei cittadini nella politica, che possa darle ‘sostenibilità’ davanti alle continue crisi di legittimazione che ha attraversato nell’ultimo trentennio.
La riforma poi del Titolo V della Costituzione (2001) – con tutte le sue molteplici contraddizioni – si inserisce in questo percorso di sussidiarietà, diretto a valorizzare l’autonomia degli enti locali e degli istituti di partecipazione popolare. Il nuovo testo dell’art. 118 prevde così nuovi modelli organizzativi e di relazione tra amministrazione e cittadini, fondati sulla comunicazione e sulla co-decisione.
Con ciò rafforzando quel concetto di partecipazione evidenziato fin dai primi articoli della Costituzione, in cui appare chiara la convergenza tra sovranità popolare, partecipazione effettiva, uguaglianza sostanziale e pluralismo.

2) – la crisi del sistema dei partiti politici.
Già Carlo Esposito, giurista e filosofo del secolo scorso, aveva avuto modo di affermare che se un partito invece di rappresentare una ideologia e tendere al bene comune rappresentasse le esigenze di un gruppo di pressione economico, sarebbe di fatto un gruppo di pressione mascherato, e sarebbe per questo da combattere, da espellere dal Parlamento, da denunciare come scandaloso”
Il maestro filoso e giurista del secolo scorso precisa, tra l’altro, che l’azione dei partiti sui Ministri e sul Governo è lecita, ma “da condannare quando sia determinata da privati interessi” : la proiezione pubblica del partito, in quanto strumento di raccordo tra Stato e società civile con l’esclusiva funzione pubblica di trasmettere la volontà sovrana del popolo, non è compatibile, per Esposito, con l’inquinamento della politica da parte degli interessi personali ed economici.

In questa prospettiva non vi è chi non veda come l’inquinamento della politica con interessi personali ed economici di parte abbia avviato ad una crisi del sistema che, fin dagli anni 90, ha amplificato il senso di diffidenza e di sfiducia del popolo sovrano che ha finito col riversarsi sulle istituzioni, nucleo e fondamento della democrazia rappresentativa.
Se quindi i partiti sono chiamati a assolvere a una “funzione basilare nella vita della nostra democrazia rappresentativa”, ecco che, la crisi che oggi essi vivono si traduce e confonde nella crisi stessa della democrazia rappresentativa: con la naturale conseguenza della necessità di ricerca di nuove soluzioni.

È negli anni ’60 che il tema della partecipazione entra con forza nel dibattito politico italiano; sono gli anni dei consigli di fabbrica, consigli scolastici ed esperienze di urbanistica partecipata che avviano, nel decennio successivo, un percorso di elaborazioni normative.
La crisi degli anni ’90 ha portato poi alla differenziazione degli statuti comunali, soprattutto dopo la nuova legge elettorale del 1993 istitutiva dell’elezione diretta dei sindaci; mentre il Testo Unico degli Enti Locali del 2000, ha rafforzato il ruolo delle istituzioni più vicine al cittadino. Da allora hanno iniziato a costituirsi strumenti specifici e adatti ai diversi contesti socioculturali locali, con l’obiettivo di trasformare la partecipazione da risorsa simbolica in risorsa strumentale.
In Italia, la conoscenza del tema del Bilancio Partecipativo è avvenuta nel 1998, grazie ad alcuni studi universitari e alla neonata rivista ‘Carta’.
Se è vero che l’approccio al Bilancio Partecipativo è risultato fin da subito estremamente politicizzato , è pur altrettanto vero che oggi l’approccio al Bilancio Partecipativo appare più maturo, in quanto pensato e voluto quale strumento di relazione trilaterale tra amministrazioni, cittadinanza e apparato burocratico e, in ultima analisi, di miglioramento della gestione urbana.
Il Bilancio Partecipativo costituisce un percorso importante all’interno di queste sperimentazioni. In Italia, il dibattito sui ‘bilanci’ si è sviluppato in parallelo a quello dei Bilanci Sociali (strumenti diretti a misurare gli effetti in termini sociali delle politiche pubbliche) e ha trovato un terreno fertile alla comprensione del suo ruolo di strumento di rinnovamento politico/pedagogico centrale per l’arricchimento dell’autoconsapevolezza e del senso civico di cittadino.

L’esperienza di Udine, favorita e anticipata, dalla partecipazione alla Rete 9^ del Progetto europeo UR-BAL e successivamente dalla decisione consiliare di associarsi alla Rete del Nuovo Municipio è centrata in particolare sull’idea di portare avanti un’autoeducazione alla democrazia della cittadinanza, attraverso forme di co-decisione tra abitanti ed istituzioni relativamente ai nuovi investimenti strategici per il territorio. In tal senso Udine ha promosso e realizzato un progetto – ancorché sperimentale – di vero e proprio Bilancio Partecipativo, da non confondere con il Bilancio partecipato, il cui approccio sostanziale è ben diverso e certamente più riduttivo e limitante.
Si tratta di un percorso di coinvolgimento che presenta tutte le caratteristiche per tradursi in un percorso duraturo e strutturato dove i cittadini svolgono un ruolo attivo nella costruzione delle decisioni, e non certo di una partecipazione quasi ‘passiva’.

In tale prospettiva, Udine assume il ruolo e la funzione di “apripista” nell’ambito dell’intero territorio regionale, dove il Bilancio partecipativo, assieme al Bilancio Sociale, sono ancora al di là da venire.

Udine 2.0

Il Comune di Udine ha messo i feedrss sul proprio sito istituzionale. C’è anche un feed per i propri video su YouTube, in quanto utente dal nome “youcomunediudine” (immagino la riunione di brainstorming).
Dài che qualcosa si muove.

Vi segnalo anche la sezione “Oggetti smarriti”, dove oltre a chiavi, biciclette, occhiali, borse, telefonini, portafogli e oggetti preziosi trovate l’impagabile categoria “Altro“, piena di sorrisi.