AGCom, Calabrò, la censura in Rete, la feccia

Quante volte ne ho scritto, di censura sul web? Ne abbiamo scritto, in tanti. Di Cassinelli e di D’Alia, della Carlucci anni fa, del wifi libero, di Mediaset e Youtube, dei blogger processati negli ultimi anni. Abbiamo firmato petizioni, promosso campagne mediatiche per informare e far conoscere le manovre oscure di chi teme la Rete e la sua libertà di espressione, oppure più banalmente deve proteggere imperi televisivi e business pluridecennali.
Gestione del potere, lotte, schifezze di uomini e donne al governo e nei posti chiave dell’economia italiana, feccia umana. 
Dice giustamente Nicotra di AgoràDigitale che avevamo sbagliato obiettivo, o meglio che avevamo sottovalutato il nemico, identificandolo con poche teste, mentre qui è da comprendere rapidamente come tutto il sistema sia marcio. “Non è così. Dobbiamo dirlo altrimenti non si capisce perche’ stiamo urlando ai bari. Non c’era nessuna partita. L’intera Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni è un enorme imbroglio, un gioco di prestigio del potere.” 

Un’authority come AGCom che emette un provvedimento “di frontiera”, come lo ha definito Calabrò stesso, che arriva a normare e normalizzare pesantemente i comportamenti  di noi cittadini digitali, forse anche al di là di quanto le è concesso fare, senza precedenti in Europa, in modo stolto e punitivo, senza aver nemmeno idea della quantità di procedimenti (segnalazioni, ingiunzioni di rimozione dei contenuti pubblicati in Rete, blocco degli IP sia su siti italiani sia esteri), ben oltre il decreto Romani del 2005, ben oltre le varie leggi-bavaglio di questi anni. Gente arrogante, ominicchi, feccia: “… la partita era ben più grande, di un livello che tocca invece quell’enorme conflitto di interesse del nostro Presidente del Consiglio e proprietario di Mediaset e tutti i suoi (ex?) dipendenti all’interno del Ministero dello Sviluppo Economico e nell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. O cominciamo a dire che è questa la partita o non ci capirete, non capirete perchè ci agitiamo e sbraitiamo.” (sempre Nicotra). 



Alcune fonti per approfondire (via AgoràDigitale):

Un dinosauro moribondo, ecco chi abbiamo davanti, e dobbiamo fronteggiare gli ultimi disperati colpi di coda.  La notizia non circolerà molto su tv e giornali, figuriamoci. Ci sono anche altre emergenze (la battaglia NOTAV in Val di Susa, i rifiuti di Napoli) che bucano molto di più la sfera mediatica italiana, eppure qui ne va di mezzo la libertà di espressione di noi tutti, il poter parlare e informare delle cose che succedono. Entro il 6 luglio vedremo alzarsi la solita cortina fumogena, esploderanno dichiarazioni e accadimenti congegnati a arte per distogliere l’attenzione da questo provvedimento dell’AGCom, che mina alla base il nostro stesso poter raccontare.
Giorni di tam tam ci aspettano, e saranno tamburi di guerra.

Cosa prevede la delibera [Tratto dalla sintesi di www.valigiablu.it
Secondo la delibera AGCOM, se il titolare dei diritti di un contenuto audiovisivo dovesse riscontrare una violazione di copyright su un qualunque sito (senza distinzione tra portali, banche dati, siti privati, blog, a scopo di lucro o meno) può chiederne la rimozione al gestore. Che, «se la richiesta apparisse fondata», avrebbe 48 ore di tempo dalla ricezione per adempiere. CINQUE GIORNI PER IL CONTRADDITTORIO. Se ciò non dovesse avvenire, il richiedente potrebbe, secondo la delibera ancora in bozza, rivolgersi all’Authority che «effettuerebbe una breve verifica in contraddittorio con le parti da concludere entro cinque giorni», comunicandone l’avvio al gestore del sito o del servizio di hosting. E in caso di esito negativo, l’Agcom potrebbe disporre la rimozione dei contenuti. Per i siti esteri, «in casi estremi e previo contraddittorio», è prevista «l’inibizione del nome del sito web», prosegue l’allegato B della delibera, «ovvero dell’indirizzo Ip, analogamente a quanto già avviene per i casi di offerta, attraverso la rete telematica, di giochi, lotterie, scommesse o concorsi in assenza di autorizzazione, o ancora per i casi di pedopornografia».

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