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Parole dentro le parole

Avevo questa teoria, secondo cui le parole dentro le parole modificano un po’ il senso che diamo a quelle parole.
Prendiamo mascarpone, sappiamo che è un latticino, che viene dal norditalia, che è calorico. Attenzione, non è un formaggio. Neanche la ricotta è un formaggio, eh. Caglio, siero, un mucchio di microbi come catalizzatori, zangole per battere la panna e farne il burro, filiere alimentari, procedure. Oh, tecnologia, il linguaggio dell’abitare.
Insomma, scarpone. dentro mascarpone. Quindi non so a voi che effetto fa (siamo dentro dizionari personalissimi), ma dentro il mascarpone c’è lo scarpone. Si fosse chiamato mafarfalla, avrei avuto un’idea diversa di quel formaggio.
Oppure in inglese: pensate a irony, ironic.
Per me assomiglia più al sarcasmo, l’ironia degli anglofoni. Perché dentro irony c’è iron, il ferro.
E poi c’è europe. Che pronunci come You rope. La “rope” è la corda per impiccarsi. Lennon dice “money for dope, money for rope”. Anche Frank Black coi Pixies dice “Can you swing from a good rope”.
E allora se pensate a cosa pensa un inglese, quali aree neuronali si attivano per simpatia nel pensare Europe, gli vengono in mente cose così, anche se non lo sa.

Svelare e rivelare

Giovanna Cosenza smonta una notizia: abbiamo Confartigianato che pubblica un’analisi della disoccupazione giovanile in italia, ma i dati si conoscevano, dov’è la novità? E quindi, perché pubblicare questa notizia? A chi giova? Ecco che arrivano Sacconi e la Gelmini, a spingere su un modello sociale dove sia presente l’apprendistato e la promozione delle scuole professionali per meglio integrare giovani generazioni e mondo del lavoro.
Il focus del discorso non è nella bontà o meno dell’idea di portare i giovani a iscriversi a scuole professionali piuttosto che frequentare i licei, dibattito gigantesco, quanto nel segnalare, se vogliamo, una manovra del Potere. Nelle parole di Cosenza, “In conclusione, il rapporto Confartigianato non è informazione, ma comunicazione politica.

LAB2011 – 100 anni di McLuhan

Nicola Strizzolo, sociologo all’Università di Udine, ha presentato i due relatori d’eccezione, Derrick de Kerckhove e Giovanni Boccia Artieri, presidente del corso di laurea di Scienze della Comunicazione a Urbino: riguardo al primo vi rimando a Wikipedia, del secondo linko la pagina sul suo blog Mediamondo, dove proprio prende in esame alcuni passaggi-chiave del pensiero di McLuhan.
Conosco Nicola da qualche anno, Derrick pure per esserci incontrati in qualche convegno qua e là per la penisola, mi mancava invece lo scambiar quattro parole con Giovanni, che stimo moltissimo per il taglio culturologico che mette nelle cose che scrive in giro, per le sue originali osservazioni sui cambiamenti sociali attuali, per le sue considerazioni sulla nostra identità mediata, come individui e come collettività.
Era l’occasione giusta per devirtualizzarci, dopo anni che ci leggiamo e commentiamo sui blog e sui social.
Ho preso degli appunti di quello che i relatori hanno detto: li metto qui sotto, in forma sintetica.

Derrick De Kerckhove mostra un video fatto al Salone del Libro di Torino, dove scherzosamente si chiede ai visitatori se conoscono Marshall McLuhan (pochi), poi parte a commentare il ‘decalogo’ di McLuhan 1962, le sue famose dieci profezie

The next medium, whatever it is –
  1. it may be the extension of consciousness –
  2. will include television as its content, not as its environment,
  3. and will transform television into an art form.
  4. A computer as a research and communication instrument
  5. could enhance retrieval,
  6. obsolesce mass library organization,
  7. retrieve the individual’s encyclopedic function
  8. and flip it into a private line
  9. to speedily tailored data
  10. of a saleable kind.
Derrck accenna il discorso sui media come protesi del corpo e dei sensi umani, poi con Harry Potter porta la platea a ragionare sulla magia moderna, mostra un video di un tipo che muove cose sullo schermo con il pensiero, onde cerebrali. Sta parlando di realtà aumentata, di informazione geolocalizzata, e sottolinea come il tutto sia “magico”, un po’ medievale nella forma della narrazione, intendendo stupore e meraviglia.
Interessante quando commentando il punto 3 chiede un parere sul significato della televisione come forma d’arte, e indica Youtube come esempio concreto.
Derrick fa scorrere sul muro dietro di sé una composizione di icone, cliccando sulle quali fa partire un video o apre un’immagine che poi gli serve per argomentare il proprio discorso. Seleziona un’illustrazione di Pinocchio, racconta come la favola italiana sia conosciuta nel mondo ovunque lui vada, poi spiega come Pinocchio rappresenti l’uomo nel passaggio all’industrializzazione, dalla toscana rurale alla meccanizzazione, quindi il nucleo narrativo sia quello del tornare umano, la sfida ovvero la prova dell’eroe… E questo avviene attraverso la balena, matrice del cambiamento (sulla parola “matrice”, rapidamente cita i film recenti che trattano di queste problematiche, centrali nella cultura attuale, come appunto Matrix, Avatar, Atto di forza, Blade runner). La personificazione, il diventare un’identità, e non si può arrestare, si poteva forse fare due secoli fa fermando la stampa, ma ora no, c’è FaceBook, siamo oltre.
Questo è la rivoluzione del terzo linguaggio, dopo orale e scritto ora c’è l’elettrico, e noi personalmente, in noi, portiamo questo linguaggio, grazie a lui significhiamo.
A conclusone del convegno avrebbe poi aggiunto alcune considerazioni “politiche” sul nostro essere ormai connessi planetariamente, del nostro aver maturato consapevolezza riguardo l’effettiva forza del nostro agire quando coordinato e potenziato da Internet: i riferimenti sono le Tweet Revolutions del nord Africa dei mesi scorsi e le forme della censura cinese su Internet, e Derrick dice che o i Governi imparano a fare meno della censura, oppure noi qui in Rete impariamo a fare a meno dei Governi.
Giovanni Boccia Artieri esordisce indicando la sua volontà di ragionare attorno alcune “sonde” di McLuhan, quei passaggi divenuti poi proverbiali nel descrivere il pensiero dell’autore e il suo impatto sulla riflessione odierna riguardo la natura dei massmedia.
Le ‘sonde’ di McLuhan sono degli slogan, sono idee che poi si propagano, il futuro è il presente.
1. Medium is the message
La forma dei media hanno implicazioni più profonde dei contenuti che veicolano; non si tratta banalmente di sminuire i contenuti, ma di porre come oggetto di analisi proprio la forma storica che veicola quei contenuti, e il modo in cui questa modifica profondamente il nostro pensare. A esempio FaceBook: le nuove forme della connessione interumana sono il nocciolo da osservare, lì c’è il cambiamento.

“La tv è tattile” e le molte altre frasi di McLuhan, apparentemente paradossali, cercano di far capire proprio questo, una sorta di dislocazione dell’attenzione che permetta di inquadrare i fenomeni mediatici secondo altri punti di vista. McLuhan: “Le società sono sempre state plasmate più dalla natura dei media attraverso i quali gli uomini comunicano che non dal contenuto della comunicazione”.

Fermarsi alla superficie dei contenuti non va arrivare alla cosa importante: l’esperienza che facciamo del mondo è sempre un’esperienza autentica, e la realtà fisica vale tanto quanto Second Life per come sono da noi vissute. La stessa notizia sul giornale, sulla radio, in tv sono tre esperienze diverse, che ci costruiscono. Quello che è in ballo è la forma della rappresentazione, quindi le diverse modalità relazionali, le occasioni percettive differenti – nella realtà aumentata sul cellulare vivo diversamente il reale… le tweet revolution in africa sono state rese possibili perché le reti tecnosociali hanno reso visibili le reti di persone, costruendo nelle collettività una percezione nuova di se stesse.
Determinismo tecnologico di McLuhan? Nodo storico e cruciale del suo pensiero, con cui si tende a scartare l’importanza l’importanza del pensatore muovendo facili critiche. Partendo dal famoso esempio mcluhaniano dell’invenzione della staffa per poggiare i piedi stando a cavallo, Boccia Artieri illustra il significato della nascita della cavalleria pesante nel Medioevo, quindi nasce la professione di soldato, quindi il feudalesimo (staffa sta a feudalesimo, dice semplificando, come Twitter sta a Africa nei recenti movimenti di piazza e rivoluzioni).
E’ da comprendere però come il ragionamento vada inteso correttamente: nel sistema dei media noi siamo fuori dalla causalità, siamo sistemici, “circolarità delle intenzioni”, quindi va compresa la nozione di “cause negative”.

Riferendosi al pensiero di Debray, Boccia Artieri mostra come sia errato riferirsi a una correlazione causa-effetto nella considerazione di certi processi culturali o nell’invenzione tecnica degli strumenti, compresi i ragionamenti massmediologici: la staffa non “determina” il feudalesimo (o la stampa a torchio del protestantesimo), ma lo “autorizza”, ne costruisce la condizione di possibilità. Non ne è causa, ma senza staffa niente feudalesimo, senza Gutenberg nessun Lutero. Le causalità sistemiche sono negative. A non produce B, ma se non-A allora nessun B.

2a sonda: i media sono metafore attive, traducono l’esperienza in forme nuove.
Esempio del cellulare: noi oggi siamo sempre connessi, always on, e anche l’esperienza dei luoghi è diversa.
Rapporto tra media e corpo, apparato neuropercettivo: noi nei media impariamo il mondo, gli schemi d’interpretazione, i media sono ambienti evolutivi per la storia vitale, luoghi dove si sviluppano emozioni e sentimenti, atti reali, basta con il pensiero di una separazione.
E’ mutato il senso della nostra POSIZIONE nella comunicazione… Da oggetto della comunicazione (cittadino, consumatore, audience…) a soggetto della comunicazione: questo è quello che la rete sta facendo, enpowerment dell’individuo, e il senso dell’abitare cambia, per singoli, per enti privati e pubbblici (i cittadini enpowerati dalla partecipazione).
Arriviamo in modo diverso all’informazione, oggidì tutto passa attraverso filtri diversi, sociali, amicale, cerchie.
User generated content: persone e contenuti sono strettamente collegati, e la fiducia e la credibilità sono i valori che circolano, quello che funziona, non la quantità. Reputazione.
McLuhan: “il contenuto è l’utente”.
UPDATE: trovate un buon resoconto anche qui
Personalmente, non saprei cosa aggiungere qui ora su McLuhan. Perché McLuhan è un universo intero di discorso, peraltro dislocato rispetto alle grandi correnti di analisi massmediologica di fine Novecento.
Ne ha fatto cenno anche Boccia Artieri: McLuhan non viene insegnato per bene nelle Università. Quella massa di ragionamenti espressi con stile originale e a volte paroliberisticamente paradossale (d’altronde, come raccontare nel 1962 ciò che non può essere capito, in quale altro modo far passare nella pubblica opinione il messaggio che intende far porre attenzione sulla forma del messaggio, se non sabotando le narrazioni e le aspettative d’ascolto?), spesso dipinta come un insieme disordinato dove qui e là brillano delle intuizioni e delle suggestioni  in forma di slogan, mi è personalmente arrivata sotto forma di un paio di capitoletti dentro i manuali di teoria della comunicazione o di sociologia della ricezione, ma non mi sono mai imbattuto in un monografico dedicato al massmediologo canadese, pur avendo avuto la fortuna di avere professori universitari liberi o addirittura “selvaggi” nel loro approccio alla disciplina.

Il medium è il massaggio“, appunto. Quei quattro sensi della lettura, come in Dante: Message and Mess Age, Massage and Mass Age. Quel massaggiare il sensorio della cultura umana, quell’innescare brividi agendo direttamente sugli organi di senso delle collettività, ovvero sui massmedia. Agire cambiamento.
Appena ho dieci anni liberi, mi ributto a studiare McLuhan.

Sembra talco ma…

Ieri parlavo di RedRonnie e dell’effettopisapia – non dimenticate la figlia di Red, mi raccomando, mentre disquisite di suicidio mediatico al baretto: seminate negli astanti l’idea che Gemma del Sud sia stata la spin doctor dell’intera rappresentazione.

Oggi la Rete narra di #Sucate. E’ tutta fibrillazione qui, #primaverarevolution. Ok, la fuffa stufa, il virale annoia rapidamente. Ma non mi importa. Nemmeno se poi modifica o no le cose o rimane giochino, m’importa.

Lo apprezzo per come è, una via creativa di quelle da sottofondi del web che leggiamo da anni dentro i forum sperduti nelle periferie, scintille di lolz che poi esondano in centro, parole come orghl che bucano strati di realtà e cerchie sociali e finiscono nei titoli dei giornali, svelamento surreale di meccanismi di comunicazione e crisi professionale dello stagista poveraccio della Moratti.

E un esperimento sulla travasabilità, quindi, sull’osmosi tra Luoghi della Rete, di uno stesso sentimento che per un attimo è vissuto sulla punta delle dita di centinaia di migliaia di persone. La fase centrifuga di decine di riferimenti culturali pop storicamente italiani, rimescolati con nuove sensibilità.

Sono le pratiche sperimentali delle comunità che trovano forme narrative adeguate, ombrelli sotto cui possono ripararsi e aggregarsi brandelli sparsi di discorso, calamite sotto il foglio che riallineano la limatura di ferro, donando figurazione, rendendo visibile il campo e le linee.

E tutto questo non serve per il presente, serve per il futuro. Serve a ciascuno di noi per guardare un po’ più lontano, per darci sicurezza sulla solidità del terreno su cui ci stiamo incamminando, nel mostrarci le possibilità anche giocose con cui possono avvenire i cambiamenti. E’ un genere letterario su cui possiamo eventualmente poggiare, nel caso domani le circostanze lo richiedessero. E’ un modo nuovo di dire la realtà, è uno stile dell’abitare, mai prima esperito da essere umano, questo che oggi abbiamo scoperto e guardato fiorire.

Balletti situazionali dentro i social

C’è un candidato alla carica di Sindaco in una città del nordest che dichiara in pubblico di non essere credente, qualcun altro della parte avversa monta in video un confronto tra quella asserzione e le sue info su Facebook, dove invece il candidato si dichiara cattolico. Poi ovviamente si continua, le campagne elettorali sono calde, si arriva a insinuare che il candidato non conosca la coerenza, sia opportunista nell’adeguarsi ai diversi contesti.

Il video a sua volta circola su FB, e lì la riga di commenti, e gli argomenti spaziano dall’esistenza di Dio alle politiche di innovazione all’importanza dell’essere onesti su Facebook (?) al metteteci voi quel volete, avete presente, in un thread ovunque esso sia, fosse un forum dieci anni fa o una riga di commenti su un social, si può sempre arrivare a parlare di qualsiasi cosa partendo da un argomento random.

Emergono visioni. Contano molto le cose che scrivi su facebook, la gente ti va a vedere e poi si ritiene ingannata, a esempio. Oppure ci sono quelli che provano a avere uno sguardo sempre un po’ consapevole sulla discussione stessa, e cercano continuamente di riportare in carreggiata il discorso. Pochezza e fastidio, ben disseminate. 

Eppure quella è una discussione politica, colta nel momento in cui i partecipanti all’evento comunicativo rivendicano per le posizioni espresse dai propri argomenti una liceità a essere prese in considerazione come proposte effettive in una dimensione civica, come linee programmatiche, come espressione di un sentire collettivo.

O meglio, qui siamo dove un io pronuncia “noi” per aderire proprio a una linea.

In questa situazione c’è un moto verso l’esterno, un espandersi. La morale di un personaggio s’ingigantisce nelle sue parole, i termini vengono generalizzati, e subito quella morale diventa un’etica.

Immaginate il tipo che parla a voce alta al bancone del bar: quella è la dimensione minima della comunicazione politica. Due che parlano in pubblico, è già sufficiente. Lì vengono esposte prese di posizione rispetto alle tematiche, lì per la prima volta rispondendo a qualcuno affermiamo qualcosa che poi ci connoterà per gli altri e ai nostri stessi occhi; lì nel palcoscenico dell’informazione e della relazione troviamo conferme oppure le novità che nutriranno le nostre idee, le nostre credenze, i nostri atteggiamenti.

Questo succede da sempre. Ci sono sempre i capannelli di persone che chiacchierano nelle piazze di tutto il mondo. Dentro un gigantesco meccanismo planetario (con tempi di funzionamento pluriennali, fino a ieri) di elaborazione dell’opinione pubblica le posizioni individuali di quel personaggio al bar o di quei capannelli convergeranno dentro una retorica pubblica già organizzata secondo consorterie e linee di discorso storiche, quegli elenchi di cose di cui parliamo da sempre, come Dio Anima Mondo e il culo delle donne e degli uomini. 

C’è tutto un rimescolio dentro il calderone della socialità.

Che adesso vediamo, possiamo osservare, porre dinanzi a noi come oggetto di analisi. Nella parole scritte sullo schermo, che hanno diverso impatto rispetto a quelle pronunciate in presenza (non c’è memoria) oppure scritte sulla carta (lentezza della discussione). Esponiamo i visceri della pubblica conversazione, dove sta ancora avvenendo l’assimilazione delle informazioni e delle opinioni, dove le idee germinano e cominciano a scorrere nel flusso della socialità.

Facebook è un social. Lì dentro (purtroppo è FB, ce ne vorrebbe un altro migliore, ma al momento siamo lì) la gente si esprime normalmente. Fate i distinguo, ma rimane che quelle discussioni nei bar e nei salotti che da sempre accompagnano la specie umana diventano visibili. Avevamo sempre potuto guardare soltanto la chioma degli alberi, ora possiamo scrutare anche nel sottobosco. Oppure gorghi, vortici su uno specchio d’acqua continuamente rimescolata, l’insieme delle conversazioni, l’attrazione.

Molti dicono appunto “la pancia”, per dire che forse questo osservare il farsi non è di qualità, molto meglio aspettare che dal pentolone affiorino configurazioni di discorso più strutturate, riconoscibili, quelle che poi diventano l’opinione pubblica in quanto ufficialmente versione narrata dai media.

Ma lì, in una discussione al bar o nei commenti di un video su Facebook, c’è la scintilla del cambiamento, lì costruiamo noi stessi, ci esprimiamo, siamo e diamo voce e inneschiamo azioni.

Poco da dire: questo osservare i momenti aurorali di una situazione comunicativa interpersonale, l’allestimento dei ruoli, le rispettive posture, le strategie linguistiche, le scelte lessicali, la stilistica del discorso social, mi rapisce sempre.

Borborigmi gruppali

C’è un candidato alla carica di Sindaco in una città del nordest che dichiara in pubblico di non essere credente, qualcun altro della parte avversa monta in video un confronto tra quella asserzione e le sue info su Facebook, dove invece il candidato si dichiara cattolico. E’ ovvio, le campagne elettorali sono calde, si arriva a insinuare che il candidato non conosca la coerenza, sia opportunista nell’adeguarsi ai diversi contesti.

Il video a sua volta circola su FB, e lì partono i commenti, e gli argomenti spaziano dall’esistenza di Dio alle politiche di innovazione all’importanza dell’essere onesti su Facebook (?) al metteteci voi quel volete, avete presente, in un thread ovunque esso sia, fosse un forum dieci anni fa o una riga di commenti su un social, si può sempre arrivare a parlare di qualsiasi cosa partendo da un argomento random.

Emergono visioni. Contano molto le cose che scrivi su facebook, dicono, la gente ti va a vedere e poi si ritiene ingannata, a esempio. Oppure ci sono quelli che provano a avere uno sguardo sempre un po’ consapevole sulla discussione stessa, e cercano continuamente di riportare in carreggiata il discorso. Il paciere, il provocatore, quelli che puntualizzano, quello che non capisce ma si adegua. Pochezza e fastidio, ben disseminate.

Eppure quella è una discussione politica, colta nel momento in cui i partecipanti all’evento comunicativo rivendicano per le posizioni espresse dai propri argomenti una liceità a essere prese in considerazione come proposte effettive in una dimensione civica, come linee programmatiche, come espressione di un sentire collettivo.

O meglio, qui siamo dove un io pronuncia “noi” per aderire proprio a una linea riconoscibile.

In questa situazione c’è un moto verso l’esterno, un espandersi. La morale di un personaggio s’ingigantisce nelle sue parole, i termini vengono generalizzati, e subito quella morale diventa un’etica.

Immaginate il tipo che parla a voce alta al bancone del bar: quella è la dimensione minima della comunicazione politica. Due che parlano in pubblico, è già sufficiente. Lì vengono esposte prese di posizione rispetto alle tematiche, lì per la prima volta rispondendo a qualcuno affermiamo qualcosa che poi ci connoterà per gli altri e ai nostri stessi occhi, lì nell’esposizione all’informazione e alla relazione troviamo conferme oppure le novità che nutriranno le nostre idee, le nostre credenze.

Questo succede da sempre. Ci sono i capannelli di persone che da quindicimila anni chiacchierano nelle piazze di tutto il mondo; dentro un gigantesco meccanismo planetario (con tempi di funzionamento decennali, fino a ieri) di elaborazione dell’opinione pubblica le posizioni individuali di quel personaggio al bar o di quei capannelli convergeranno dentro una retorica pubblica già organizzata secondo consorterie e linee di discorso storiche, quegli elenchi di cose di cui parliamo da sempre, come Dio Anima Mondo e il culo delle donne e degli uomini (che rientra in Mondo, ma in realtà è una categoria dello Spirito).

C’è tutto un rimescolio dentro il calderone della socialità.

Che adesso vediamo, possiamo osservare, porre dinanzi a noi come oggetto di analisi. Nella parole scritte sullo schermo, che hanno diverso impatto rispetto a quelle pronunciate in presenza (non c’è memoria) oppure scritte sulla carta (lentezza della discussione). Esponiamo i visceri della pubblica conversazione, dove sta ancora avvenendo l’assimilazione delle informazioni e delle opinioni, dove le idee cominciano a scorrere nel flusso della socialità.

Facebook è un social. Lì dentro (purtroppo è FB, ce ne vorrebbe un altro migliore, ma al momento siamo lì) la gente si esprime normalmente. Tutte quelle discussioni nei bar e nei salotti che da sempre accompagnano la specie umana diventano visibili. Avevamo sempre potuto guardare soltanto la chioma degli alberi, ora possiamo scrutare anche nel sottobosco. Oppure gorghi, vortici su uno specchio d’acqua continuamente rimescolata, l’insieme delle conversazioni, l’attrazione.

Molti dicono appunto “la pancia”, per dire che forse questo osservare il farsi non è di qualità, molto meglio aspettare che dal pentolone affiorino configurazioni di discorso più strutturate, riconoscibili, quelle che poi diventano l’opinione pubblica in quanto ufficialmente versione narrata dai media.

Ma lì, in una discussione al bar o nei commenti di un video su Facebook, c’è la scintilla del cambiamento, lì costruiamo noi stessi, ci esprimiamo, siamo e diamo voce e inneschiamo azioni.

Poco da dire: questo osservare i momenti aurorali di una situazione comunicativa interpersonale, l’allestimento dei ruoli, le rispettive posture, le strategie linguistiche, le scelte lessicali, la stilistica del discorso, mi rapisce sempre. Grammatiche della relazione umana.

Abitanza digitale a Pordenone

Alla fine a Pordenone l’altro giorno ho passato un pomeriggio piacevole, con una platea abbastanza folta e incuriosita da questo progetto cittadino della connettività wifi con eDemocracy incorporata che li riguarda direttamente. Un signore di una certa età ha voluto sapere per bene eventuali spese tasse balzelli, ma gli è stato assicurato che la connettività è garantita gratuita per i cittadini e anche per quelli che vengono da fuori, con delle password specifiche.

A me piacerebbe sentir dire che si tratta proprio di un diritto dei cittadini, dalla nascita. Diritto di banda. Ci arriveremo. E misureremo anche il grado di civiltà delle collettività planetarie in base alla banda disponibile pro-capite, dice uno che conosco.Ad un certo punto nella mia relazione – la trovate a questo indirizzo, per provare l’ho fatta con GooglePresentazioni – racconto di come in questo momento storico di edificazione “urbanistica” degli spazi sociali online sia credo importante riuscire a costruire collaborativamente da parte degli Attori sociali di un territorio una grammatica dei Luoghi rilevanti, dove alla semantica dei nodi delle reti socioterritoriali esistenti (PA, proloco, servizi, terzosettore, associazioni, gruppi, sportivi, parroco, scuola buddista, comunità cinese, biblioteche, negozi, imprese, etc.: ciascuna entità produrrà e manterrà una immagine di sé dentro la Rete Civica online) bisogna aggiungere una sintassi delle relazioni tra i nodi: qui un valido aiuto lo offre la Cultura TecnoTerritoriale, nel mostrare le reti tecnologiche di produzione e distribuzione che da secoli innervano il Comune di Pordenone, e che vanno mediaticamente rappresentate nelle linee relazionali tra portatori di interesse, dentro le comunità digitali territoriali.

E’ argomento che mi affascina molto, questo della costruzione delle identità web come rappresentazione o ri-modellazione delle collettività territoriali. C’è di mezzo un passaggio, un accorrere di simboli, avatar gruppali.
In realtà si tratta come al solito di identità in progress, che auspicabilmente saranno in grado di narrativizzare sé stesse, sapranno leggersi, e quindi progettarsi (dopo il saper leggere, il saper scrivere) coerentemente con i valori di Abitanza digitali che emergeranno dal calderone delle community.

Questo comporta però una postura progettuale attenta alle strategie identitarie dei gruppi sociali e relative dinamiche comunicative, ma soprattutto una consapevolezza sui limiti stessi del progettare: come sento dire da più parti, bisogna progettare meno. Lasciare il tempo alle cose, aver fiducia.
Soprattutto poi quando si cerca proprio di trarre indicazioni di tipo folksonomy nel progettare flussi informativi e relazionali, potrebbe essere buona cosa approntare dei contenitori generici o comunque abbastanza destrutturati (la cosa può creare ansia, ma si può fronteggiare con linguaggio appropriato e procedure snelle) dove possano incontrarsi le idee e nascere dei motori di socialità digitale.

Saluto nuovamente Sergio, che sta facendo un ottimo lavoro per la sua città, e gli auguro buon viaggio e buon divertimento verso questo convegno eccezionale di Matera, intitolato “La nuova grammatica digitale per comunicare la promozione del territorio. Dai linguaggi della rete all’esperienza di Second Life”; già aspetto impaziente le relazioni online degli invitati.