Pandora e l’aquila (bicefala?)

Era simpatico, Pandora. Forse una delle prime applicazioni web che ci hanno fatto annusare il profumo fragrante del duepuntozero.

Sembra che io ne abbia parlato l’11 dicembre del 2005, ma il post devo averlo cancellato. Vabbè.

Fatto sta che adesso Pandora è costretta, sia per motivi giuridici sia economici, a riservare il proprio servizio ai residenti negli States, dove vengono versate le royalties per le licenze d’utilizzo.

Questo l’inizio della mail che ho ricevuto:

Dear Pandora listener, 

Today we have some extremely disappointing news to share with you. Due to international licensing constraints, we are deeply, deeply sorry to say that we must begin proactively preventing access to Pandora’s streaming service for most countries outside of the U.S.

Prima, a quanto pare, non tracciavano gli IP; adesso sì, e quindi negano il servizio alla maggior parte del pianeta. Vabbè.

Aspetteremo che si risolva la questione delle licenze, e poi continueremo a scoprire con Pandora i gruppi e i cantanti che assomigliano “geneticamente” a quelli che ci piacciono. Oppure arriverà qualcun altro, a svolgere lo stesso servizio.

No, non faccio battute sul vaso di Pandora. Però la speranza rimane, e l’astuzia c’entra alquanto. Anche il dono della conoscenza, ora che noto. Dell’aquila americana ho già parlato nel titolo, rimane solo da nominare quell’Hermes a cui sacrifico parole, come scritto qui a destra, in fondo.

Aggiornamento, 4 maggio, 22.24: usate un proxy, ovvio.

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