E io vorrei che io voglio

Il buio abita nel buio delle case
il catalogo-frangette*, bordo della strada
e gli alberi hanno i rami luuunghi, e i pini corti
E io vorrei che io voglio
appendere due furgoni agli alberi, con un gancio.
Il biscotto lo inlatto nel latte
è troppo buono, mi piace, è furbacchione!

Jacopo Jannis, tre anni e mezzo, nel marzo 2017
*catarinfrangente

Nel consueto e nel noto dello spazio domestico, da sempre vissuto come caldo e rassicurante, il giovin poeta scopre ombre e timori, ravvisa quell’Altro-da-sé come piega dell’inquietudine, bisbiglìo obliquo della quotidianità.
Eppur subito lo slancio vitale prepotente s’orienta e s’inerpica verso la Luce, stabilisce forte la cesura netta tra Io e non-Io, il limite del proprio definirsi, la frattura del Senso indotta dall’epifanìa improvvisa del Segno, e insieme al contempo il percorso e la direzione.
Ecco dunque emergere la descrizione del Mondo, ecco ciò che è, e non può non essere: la meraviglia dello sguardo, e la catalogazione dell’Essere, ripostiglio recondito di alterità assoluta, scrigno inesauribile della eterna pulsione a nominare le cose, ordinandole e giocandole e rigiocandole.
Tutta l’Umwelt diventa playground: l’affermazione perentoria e volitiva della soggettività, ribadita e marcata e sancita, negoziata e ratificata nella nascente socialità dell’Io, sottende quel poter-fare concreto del Poeta ora in grado finalmente di agire sul Mondo, di modificare l’ambiente vitale a proprio esclusivo piacere, nel Desiderio compiutamente divenuto Gesto, atto consapevole di Parola fecondante, una Realtà gravida di forme ed eloquente di possibilità e infiniti significati.
Il Piacere, troppo umano e divino, suggerisce e guida adesso l’intuizione, la ricerca manipolatoria, la congettura dell’ipotetico. L’esplorazione e l’intersecarsi dei sensi costruisce piani di realtà prima letteralmente impensabili, il fuori diventa dentro, l’identità affermata e desiderante, indubitabile e scolpita, si compiace del proprio scegliersi e sciogliersi senza fine nel fluire immoto nella tazza del Divenire.
L’inquietudine forse ora è appagata, ma per un sol attimo: c’è come sempre una porta socchiusa, c’è l’inganno delle cose che guizzano, l’apparenza dalle vesti cangianti, l’irrompere di uno sguardo o l’incrinarsi di una superficie, il biscotto che zuppo si spezza, lo splash nell’atavico nutrimento, la risata panica della gioia sorpresa a divertirsi.

Jannis Father and son

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