(Mantellini, qui)
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Questo è il mio blog
Un format di coppia
Qui su questo tumbler di una ragazza di Seattle c’è questo video di una coppia di adolescenti innamorati, che scherzano e si baciano. Video autoprodotto, nulla di che, ma il format è giustissimo, sembra il promo di un serial americano per liceali. Vedremo sempre più di ‘ste robe, tranqui.
Innovatori Jam 2011
C’è un articolo interessante di Riccardo Luna su Repubblica, dove l’ex direttore di Wired elenca i tentativi e le sperimentazioni che negli ultimi mesi hanno riguardato le pratiche italiane e europee di costruire democrazia grazie al web.
Meccanismi comunicativi nuovi, prese di coscienza, piattaforme online per la wikicrazia, Open Data. Partecipazione libera di cittadini che contribuiscono con le idee a migliorare il funzionamento concreto dello Stato, la sua efficienza come macchina amministrativa e la sua efficacia nel provvedere qualità della vita.
“… passare dall’e-gov, il governo che si mette in rete per dare servizi; al we-gov, i cittadini che diventano cocreatori delle politiche pubbliche.”
A un certo punto Luna dice che “non è dai Governi che arriva la wikicrazia”. Nell’ultimo paragrafo dell’articolo si legge che “il governo italiano è assente per ora” nella promozione di simili iniziative partecipative, benché attivo.
La prima frase, a ben vederla, è un capovolgimento logico, perché sono i Governi che arrivano dalla democrazia. I popoli hanno combattuto per avere sistemi di potere sempre più giusti e adeguati alle esigenze e ai diritti dei singoli e delle collettività: se a esempio mancasse la democrazia, quella forma di governo si chiamerebbe dispotismo. Nella parola wikicrazia è poi esplicitamente contenuto il concetto di “partecipazione paritetica”, come condivisione e scambio libero e a tutti accessibile.
I Governi possono promuovere la democrazia, confidando nel miglioramento del sistema. Possono affinare gli strumenti dell’amministrazione del territorio, possono studiare il modo per incrementare la circolazione delle informazioni e delle opinioni (come la Scuola, come la libertà di espressione e di stampa). E possono oggi imparare a ascoltare sempre meglio i cittadini, coinvolgendoli attivamente nella produzione di soluzioni e proposte.
E’ come nel caso degli Open Data: se i governi (Open Government) pubblicassero *tutto*, tutti i dati statistici e tutti gli atti amministrativi etc., i singoli potrebbero utilizzare quei dati per ricavarne delle analisi, degli studi comparativi, perfino delle applicazioni software con cui ottimizzare l’Abitare concreto e quotidiano sul territorio.
Pubblicare i dati sarebbe per i Governi un segnale di apertura alla conversazione, tanto quanto sollecitare la pubblica partecipazione dei cittadini dentro “contenitori di wikicrazia”, affinché possano nutrire con idee e contenuti il dibattito pubblico. Perché i contenuti (le idee) sono di tutti, e offrire dei contenitori governativi per ospitare queste idee è una buona idea, se non vogliamo finire a parlare di queste cose su Facebook, che è un luogo privato e commerciale, mentre questi discorsi devono avvenire in piazza e non nei salotti di qualcuno, e le piazze sono pubbliche.
Ci sono stati in passato esempi di “call for ideas” governativi. La Riforma Brunetta è stata pubblicata lo scorso anno sui siti istituzionali in forma “provvisoria”, sono stati aperti dei forum su cui chiunque poteva intervenire per apportare commenti e suggerimenti, e dopo qualche mese è stata promulgata in maniera definitiva.
Sempre per smentire bonariamente Riccardo Luna sull’assenza del Governo italiano nella promozione di “contenitori di wikicrazia”, segnalo anche una importante iniziativa che si terrà il 13 e il 14 settembre prossimi, a cura dell’Agenzia per la diffusione delle tecnologie dell’Innovazione.
L’iniziativa si chiama Innovatori Jam 2011, sul sito viene descritta come un evento di massa gestito on-line che, attraverso la partecipazione e la collaborazione di migliaia di persone, consente l’emersione e la contemporanea condivisione di idee, valori, best practice e soluzioni ovvero quell’insieme di elementi che costituiscono l’”intelligenza collettiva” di una comunità.
Come in una jam session musicale, L’Agenzia governativa (con IBM) mette a disposizione di 20.000 persone una piattaforma online di discussione, dalla partecipazione libera.
Gli argomenti sono stati suddivisi secondo dieci aree tematiche:
1- Innovazione e internazionalizzazione: Italia degli Innovatori
2- Giovani, talento e merito nella ricerca e nell’innovazione
3- Start up, incubatori, venture capital
4- I ranking dell’innovazione
5- Accessibilità, apps e nuovi canali
6- Digital agenda: open data, cloud computing e banda larga
7- e-commerce & e-tourism
8- Il Codice dell’Amministrazione Digitale
9- Informazione e nuovi canali
10- Le Smart Cities del futuro?
Personalmente curerò in veste di facilitatore le discussioni sull’area di discussione n. 7 (avendo interesse all’innovazione relativa ai sistemi di rappresentazione – cartografia digitale – del territorio) e sull’area 10, sulle Smart Cities. nelle mattine del 13 e del 14 settembre. Magari andrò a sbirciare anche negli altri forum: come NuovoAbitante, sono decisamente curioso.
Per partecipare occorre iscriversi, è gratis; poi il 12 Settembre via e-mail direttamente dai promotori di Innovatori Jam 2011 riceverete tutte le info per contribuire a questa iniziativa.
Su twitter l’hashtag è #ij11.
Far saltare il dispositivo Maastricht, E poi?
Bifo, da qui
L’ossimoro del capitalismo ecologista
Una buona intervista a Severino, su Il Manifesto.
… andiamo verso un tempo in cui il mezzo tecnico, essendo diventato la condizione della sopravvivenza dell’uomo – ed essendo anche la condizione perché la Terra possa esser salvata dagli effetti distruttivi della gestione economica della produzione – è destinato a diventare la dimensione che va sommamente e primariamente tutelata; e tutelata nei confronti di tutte le forze che vogliono servirsene. Sommamente tutelata, non usata per realizzare i diversi scopi «ideologici», per quanto grandi e importanti siano per chi li persegue. Ciò significa che la tecnica è destinata a diventare, da mezzo, scopo. Quando questo avviene, capitalismo, sinistra mondiale, democrazia, religione, ogni «ideologia» e «visione del mondo», ogni movimento e processo sociale, diventano qualcosa di subordinato; diventano essi un mezzo per realizzare quella somma tutela della potenza tecnica, che è insieme l’incremento indefinito di tale potenza.. Perciò spesso dico che la politica vincente, la «grande politica», sarà delle forze che capiranno che non ci si può più servire della tecnica. La grande politica è la crisi della politica che vuole servirsi della tecnica. Non si tratta di un processo di «deumanizzazione», o «alienazione», come invece spesso si ripete, dove l’uomo diventerebbe uno «schiavo» della tecnica; perché in tutta la cultura – anche in quella che alimenta ogni più convinto umanesimo – l’uomo è sempre stato inteso come essere tecnico. Le sto descrivendo il futuro: non prossimo, ma neanche remoto. In questo senso appunto parlo da decenni di inevitabilità del tramonto del capitalismo.
Di cosa abbiamo bisogno
«I giovani sono in via di estinzione. Negli ultimi 10 anni, dal 2000 al 2010 abbiamo perso più di 2 milioni di cittadini di età compresa tra i 15 e i 34 anni».
…. «Sono una merce rara», ha aggiunto Roma, spiegando che i dati italiani sono i peggiori insieme a quelli tedeschi. In contrapposizione – ha aggiunto – nello stesso periodo sono invece aumentati di 1 milione 896 mila unità gli italiani over 65». Corriere della Sera
Come la facciamo la internet per gli anzyani? Novecentesca?
Come si fa
Una cosa di Bifo, una cosa che è un atteggiamento, un pezzo di cuore, una visione, un suggerimento per i suoi studenti.
Figuriamoci se linko.
Potrebbe essere su Facebook, ma in realtà è altrove.
Come si fa
(è il testo con cui ho aperto stamattina la mia lezione nel cortile di Brera. A differenza del testo che ho pubblicato qualche giorno fa, che è di Rainer Maria Rilke, questo testo è mio, mi scuso per l’accostamento, e potrete trovarlo nella rivista CANgURA che uscirà il 21 marzo per le edizioni Luca Sossella)
Anche l’amore nel tempo precario
è diventato una cosa per vecchi,
un privilegio di anziani amanti
che hanno del tempo da dedicarsi.
Noi eredi di un secolo feroce
che rispettava soltanto il futuro,
siamo il futuro promesso,
l’ultimo forse però, perché il profitto
non rispetta né il domani né l’adesso.
Il patto è stato cancellato
perché la regola non vale nulla
quando non c’è la forza per imporla.
Ora ciascuno è privato,
e solitario elabora segnali
sullo schermo mutevole che irradia
intima luce ipnotica. Riceve
ordini telefonici, e risponde
con voce allegra perché non è concesso
ch’altri conosca l’intima afflizione
che ci opprime.
Talvolta sul contratto di assunzione
è compresa una norma che ti impegna
a non suicidarti.
Questo non ferma certo l’espansione
dell’esercito immenso di coloro
che levano la mano su se stessi.
Nel solo mese di maggio
all’azienda trasporti di Bologna
si sono uccisi tre lavoratori.
Dieci anni fa erano tremila
i conducenti degli autobus cittadini,
oggi sono soltanto milleduecento
e il traffico non è certo meno intenso.
Alle officine Foxsson
si danno fuoco giovani operai.
A migliaia s’immolano
i contadini indiani,
alla Telecom France
si ammazzano a decine per il mobbing.
In molte fabbriche italiane
minacciano di buttarsi giù dal tetto.
E’ un sistema perfetto
razionale, efficiente, produttivo.
Chi s’ammazza è un cattivo
cittadino che non ha capito bene
come funziona il nuovo ordinamento.
Devi essere contento,
partecipi allo sforzo collettivo
che rilancia la crescita e impedisce
che il deficit sorpassi il tre per cento.
Brucia ragazzo brucia
brucia la banca centrale
e quella periferica.
A poco servirà, purtroppo
Perché i numeri che ti rovinano l’esistenza
Non sono conservati in nessuna banca,
neppure in quella centrale.
Vagano nell’infosfera
E nessuno li può cancellare.
I nemici nascosti sono numeri
Null’altro che astratte funzioni,
integrali, algoritmi e deduzioni
della scienza economica.
Ma come puoi chiamare scienza
questo sapere che non sa niente
questo assurdo sistema di assiomi
di tecniche che spengono la vita
per non uscire dalle previsioni
di spesa?
Non è una scienza, è una superstizione
che trasforma le cose in astrazione
la ricchezza in miseria
e il tempo in ossessione.
Meglio andarsene di qui, ecco come si fa.
Meglio lasciare vuoto
il luogo dell’obbedienza e del sacrificio.
Meglio dir grazie no a chi ti propone
sopravvivenza in cambio di lavoro.
Impariamo a essere asceti
che non rinunciano al piacere né alla ricchezza
ma conoscono il piacere e la ricchezza
e perciò non li cercano al mercato.
Come gli uccelli nel cielo
e come i gigli nei campi
non abbiamo bisogno di lavoro
né di salario, ma di acqua e di carezze,
di aria, di pane, e dell’infinita ricchezza
che nasce dall’intelligenza collettiva
quando è al nostro servizio, non al servizio
dell’ignoranza economica.
Se vuoi sapere come si fa
io posso dirti soltanto
quello che abbiamo imparato dall’esperienza.
Non obbedire a chi vuole la tua vita
per farne carcassa di tempo vuoto.
Se devi vendere il tempo in cambio di danaro
sappi che non c’è somma di danaro
che valga il tuo tempo.
E’ comprensibile che qualcuno pensi
Che solo con la violenza
Possiamo avere indietro
Quello che ci han sottratto.
Invece non è così,
– dispongono di armate professionali
che la gara della violenza la vincerebbero
in pochi istanti.
Quel che puoi fare è sottrargli il tempo della tua vita.
Occorre diventare ciechi e sordi e muti
quando il potere ti chiede
di vedere ascoltare e parlare.
L’esodo inizia adesso
andiamocene via
ciascuno col suo mezzo di trasporto.
Meglio morto
che schiavo dell’astratto padrone
che non conosce
dolore né sentimento né ragione.
Ma meglio ancora vivo
senza pagare né il mutuo né l’affitto.
Quel che ci occorre non è nostro
se non nel breve tempo di un tragitto.
Quando arrivi parcheggi,
lasci le chiavi e lo sportello aperto
per qualcun altro che deve spostarsi
nella città, sui monti o nel deserto.
Ecco come si fa.
Si smette di lavorare
ché di lavoro non ce n’è più bisogno.
Occorre svegliarsi dal sogno
malato della crescita infinita
per veder chiaramente
che c’è una bolla immensa di lavoro inutile
che si gonfia col nostro tempo.
Inventiamo una vita che non pesa,
Che non costa.
Una vita leggera.
E poi sai che ti dico?
Non ti preoccupare del tuo futuro
Che tanto non ce l’hai. E’ tutto destinato
A pagare l’immenso debito accumulato
Per ripianare il debito delle banche.
Il futuro di cui parlano gli esperti
è sempre più tetro ogni giorno
che passa. E’ meglio che diserti
e comunichi intorno
il lento piacere dell’essere altrove.
Ecco come si fa.
Luglio 2010
Crogioliamoci
Vedo che in giro periodicamente riprendono quota le discussioni sui nativi digitali.
Ne ho parlato spesso. E ho sempre detto che al di là della pochezza della definizione, la questione è serissima, perché i ragazzini di oggi sono veramente gente diversa dalla generazione precedente, cento volte più divergenti di quanto lo sono stato io rispetto ai miei genitori, per essere semplicemente cresciuto immerso in un ambiente cognitivo intessuto di televisione 24/7 e radio in FM e e VHS e videogiochi.
E’ la solita riflessione sul ritmo tecnologico, e sulle ricadute antropologiche. Mi sono stancato di parlarne, dopo quest’ultima dozzina d’anni. Parlerò d’altro, in futuro, perlomeno qui sul mio blog.
Ma il seguente fetta di vita riportata da Axell spiega molto. Spiega che ogni sei mesi che stiamo qui a discutere di puttanatine e moralismi, perdiamo tre anni di vita nostra e loro, tre anni in cui il mondo va avanti di dodici anni, e intanto questi dodicenni abitano il loro mondo, com’è giusto che sia.
Luogo: Autobus 64 – direzione centro storico
Contesto: Scolaresca delle medie in visita (non so dove, forse GAM)
Protagonisti: 3 bimbi, 11/12 anni…
Bimbo 1: Hey, l’avete sentito l’ultimo album di Shakira?
Bimbo 2: No, ma è quella di Vacca Vacca?
Bimbo 3: Ah ah ah… Sì è lei, quella troia che canta Waka Waka.
Bimbo 1: L’ho scaricato con Bittorrent.
Bimbo 2: Mio padre lo usa per scaricare i pornazzi, li ho visti sull’hard disk
Bimbo 3: Per quelli c’è YouPorn… che scarica a fare? Vedi che non capiscono un cazzo i vecchi?
Bimbo 2: Sì, non capiscono un cazzo.
(risata collettiva)
Ecosofia e grassroots
Ecofilosofia, Ecosofia e il Movimento dell’Ecologia Profonda
Durante gli ultimi trent’anni, i filosofi occidentali hanno criticato gli argomenti di base della filosofia moderna riguardo ilmondo naturale. Questa maturazione è stata solo una parte della continua espansione del lavoro filosofico che ha coinvolto studi comparati sulle opinioni del mondo e sulle più recenti filosofie. Siccome gli studi filosofici occidentali hanno spesso ignorato il mondo naturale e siccome la maggior parte degli studi etici si sono focalizzati sui valori umani, gli approcci che mettono in risalto i valori ecocentrici hanno preso il nome di ecofilosofia. Così come la sofia o la saggezza sono la meta della filosofia tradizionale, così il traguardo dell’ecofilosofia è l’ecosofia o la saggezza ecologica. La Procedura dell’ecofilosofiaè un’indagine continua, vasta e profonda, nei valori, nella natura del mondo e nel sé.
La missione dell’ecofilosofia è quella di esplorare tutti i punti di vista che riguardano i rapporti e le relazioni tra uomo e Natura. Essa fa proprie le relazioni armoniose e più profonde tra il luogo, il sé, la comunità e il mondo naturale. Inoltre si accresce attraverso la comparazione delle diverse ecosofie con le quali le gente sostiene i principi della piattaforma del movimento, vasto e globale, dell’ecologia profonda.
Ecco la definizione originale di ecosofia di Arne Naess: «Per ecosofia intendo una filosofia di equilibrio, e armonia, ecologico. Una filosofia, del tipo sofia (o) saggezza, è apertamente normativa; essa contiene norme, regole, postulati, dichiarazioni di priorità di valori ed ipotesi che riguardano lo stato degli avvenimenti nel nostro universo. Saggezza vuol dire politica saggia, norma, non solo descrizione e previsione scientifica. I dettagli di una ecosofia avranno molte varianti in quanto esistono delle diversità che sono dovute a significative differenze non solo nei “fatti” come l’inquinamento, le risorse, la popolazione ecc. ma anche nelle priorità dei valori.» (Vedi A. Drengson e Y. Inoue, 1995, pag. 8.)
Nel 1973 (Inquiry 16, pp. 95-100) il nome deep ecology movement, ovvero “movimento dell’ecologia profonda”, venneintrodotto nella letteratura ambientale dal professore filosofo e scalatore norvegese Arne Naess. (Per una ristampa dell’articolo vedi Drengson e Inoue 1995.) L’ambientalismo nacque come movimento politico popolare, grass root, negli anni 1960 con la pubblicazione del libro Primavera silenziosa, Silent Spring, di Rachel Carson. Coloro i quali erano già attivi nelle battaglie della conservazione/preservazione vennero affiancati da molte altre persone preoccupate per gli impatti ambientali negativi della moderna tecnologia industriale. Andando indietro nel tempo potremmo considerare come vecchi membri del movimento gli scittori e attivisti Thoreau e Muir, mentre la consapevolezza della nuova corrente è più vicino alla filosofia della saggia conservazione di persone come Gifford Pinchot.
L’articolo di Naess era basato su un intervento che fece a Bucarest nel 1972 alla Conferenza sulla Ricerca del Futuro del Terzo Mondo, Third World Future Research Conference. In quell’intervento Naess discusse il vasto retroterra del movimento ecologico e le sue connessioni col rispetto per la Natura e il valore inerente degli altri esseri viventi. In quanto amante delle montagne che aveva scalato in tutto il mondo, Naess aveva avuto l’opportunità di osservare le azioni politiche e sociali nelle diverse culture. Sia storicamente che nel movimento contemporaneo Naess vide due forme di ambientalismo, non necessariamente incompatibili l’una con l’altra. Una la chiamò “il vasto movimento dell’ecologia profonda”, long-range deepecology movement, l’altra “il movimento ecologista superficiale”. La parola “profondo” si riferiva anche al livello di ragionamento sulle nostre intenzioni e sui nostri valori quando discutiamo dei conflitti ambientali. Il movimento “profondo” riguarda il porsi quelle domande che vanno direttamente alla base dei principi fondamentali. Quello superficiale si ferma prima.
Analizzando comparativamente i movimenti sociali e politici di base, grass root, nella sua struttura ecofilosofica Naessdistingue quattro livelli di ragionamento (vedi la tabella sotto). Durante la formazione dei movimenti culturali trasversaliglobali, si sviluppano delle idee condivise generali che mettono a fuoco il movimento attraverso dei principi piattaforma (questo è il caso di molti movimenti di letteratura, filosofici, sociali, politici, ecc.), così come lo sono i principi di giustizia sociale, o i principi di pace e non violenza, o i principi del movimento dell’ecologia profonda, deep ecology movement (DEM). I principi di questi movimenti emergono dalla base e per questo vengono chiamati grass root movements (come nella tradizione gandhiana), e non sono caratterizzati da un potere gerarchico che va dall’alto al basso.
Lo scopo dell’ecofilosofia è quello di raggiungere una visione totale, completa, della nostra condizione, sia come genere umano umana che come singolo individuo. La completezza comprende l’intero contesto globale, con noi in esso, noi che condividiamo un mondo di diverse culture e di diversi esseri viventi. Ci muoviamo verso una visione totale ponendoci domande profonde – sempre chiedendoci perché – verso norme e condizioni supreme, anche attraverso la formulazione (o l’applicazione) di politiche e azioni. Molto del lavoro culturale integrato viene svolto al livello dei principi della piattaforma, e le nostre opinioni trovano un’ampia convergenza a questo livello che Naess chiama Livello II. Dal questo livello possiamo iniziare impegnandoci in questioni profonde e procedere ad una elaborazione della nostra ecosofia personale, che può basarsi su alcune delle principali filosofie o religioni, come ad esempio il Panteismo o la Cristianità. Questo livello che comprende le filosofie supreme è chiamato Livello I. C’è una diversità considerevole a questo livello. Dai principi del Livello II possiamo sviluppare delle specifiche raccomandazioni e formulazioni politiche, che stanno al Livello III. L’applicazione delle politiche del Livello III porta alle azioni pratiche del Livello IV. Esistono grandi diversità di opinioni a livello delle politiche e ancor di più a livello pratico.
Nel porci domande profonde ci muoviamo verso presupposti e norme supremi [dal livello II al livello I – n.d.T.]. Nel processo di acquisizione e di applicazione ci muoviamo verso un sostegno alla piattaforma e verso politiche di sviluppo ed azioni pratiche [dal livello II ai livelli III e IV – n.d.T]. Questo è un processo continuo di avanti e indietro che mantiene la nostra conoscenza e le nostre azioni in armonia con il mondo che cambia. L’approccio profondo, quindi, diventa evolutivo, cambiando al cambiare delle condizioni naturali. (Per esempio, la “new corporation” [o comunità] deve impegnarsi in questo movimento di avanti ed indietro e così richiede una completa partecipazione degli impiegati, dei diversi leader e dei decisori). Nei tre movimenti grass root menzionati prima, i principi sono individuali e internazionali. E’ importante notare che c’è unagrande diversità al livello delle filosofie supreme. Non abbiamo tutti l’obbligo di sottoscrivere le stesse filosofie ecologiche supreme per lavorare assieme per il beneficio del pianeta e delle sue comunità di esseri viventi. Il fronte è molto ampio e ognuno di noi ha dei valori per dare il proprio contributo nella realizzazione di qualità di vita globalmente migliori. Dobbiamo lavorare a diversi e svariati livelli.
Alan Drengson (Tratto da: The Trumpeter: Journal of Ecosophy, Vol 14, No. 3, Summer 1997, pp. 110-111)
Il Senso, tempo e superficie
Qualche anno fa scrisse una cosa che si chiamava “I barbari”, e provava a descrivere i cambiamenti culturali epocali che stiamo vivendo, i nuovi modelli della conoscenza, i nuovi linguaggi dentro cui abitiamo mentre usiamo ancora parole vecchie, che non riescono più a raffigurare il senso esatto di ciò che intendiamo comunicare, non riescono più a cogliere il fluire degli accadimenti.
Oggi Alessandro Baricco, su Wired, ha aggiunto qualcosa a quelle riflessioni, un ragionamento sulla superficie e la profondità, sul senso nascosto delle cose. O meglio, sulla morte apparente attuale di quella tradizione culturale che ci spinge a cercare ciò che vale, le cose preziose, la Verità, nelle profondità dei discorsi o nell’oscurità di libri rari o in altri Luoghi esoterici, celati alla vista, astrusi, complicatissimi.
C’è da dire che l’umanità ha sempre vissuto con questa idea del sapere iniziatico, grammatiche magiche e sacre per leggere il senso segreto delle cose. Stregonerie rituali e iniziazioni, Parmenide e Pitagora, Misteri greci, Gnosi, alchimia, spiritismo, New Age e similia. Sulla superficie, alla luce, abbiamo la chiacchiera e le carabattole. Sotto, nell’oscurità, brillano le vere gemme, ma bisogna saper cercare, ed è faticoso. E forse non è nemmeno per tutti, né cercare né godersi il tesoro.
E questa nostra epoca, dove tutto è in superficie? E’ avvenuto un funerale, da qualche parte? Stiamo elaborando il lutto per la perdita di una dimensione? Cosa traghettiamo nel domani?
Da questi barbari stiamo ricevendo un’impaginazione del mondo adatta agli occhi che abbiamo, un design mentale appropriato ai nostri cervelli, e un plot della speranza all’altezza dei nostri cuori, per così dire. Si muovono a stormi, guidati da un rivoluzionario istinto a creazioni collettive e sovrapersonali, e per questo mi ricordano la moltitudine senza nomi dei copisti medievali: in quel loro modo strano, stanno copiando la grande biblioteca nella lingua che è nostra. È un lavoro delicato, e destinato a collezionare errori. Ma è l’unico modo che conosciamo per consegnare in eredità, a chi verrà, non solo il passato, ma anche un futuro.
Tentacoli
Fondare arrogantemente la democrazia della Rete
Lessig, più meno letterale: “vi incoraggio a prendere sul serio la rabbia, riconoscere che la vostra presunzione di democrazia non è una presunzione che si tutela da sola. Si può proteggere quest’idea di democrazia se si ascolta la generazione dei nativi, in un dialogo che rispetti questa generazione”.
Cittadino digitale naturalizzato
Tutto questo perché ogni tot di tempo riemergono le discussioni sul significato e sulla portata dell’espressione “nativi digitali”, a partire dalla definizione iniziale di Prensky del 2001.
Anche se ho già fatto notare che l’espressione “immigranti” (e quindi “nativi”, per correlazione immediata) sia presente nella Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio di Barlow, del 1996.
Cercate nativi digitali su Google, io ne ho parlato qui e qui, per non dire di tutte le volte che ho lasciato interventi kilometrici sui blog altrui, soprattutto quelli che trattano di formazione scolastica o in generale di educazione alle nuove generazioni.
La mia idea era che sì, siamo immigrati, i nostri schemi mentali non si sono sviluppati a contatto con gli ipertesti, siamo fatti di libri che ci agitano dentro, siamo meno multitasking, attribuiamo intelligenza e profondità a argomentazioni ipotattiche e diffidiamo un po’ di chi ragiona per paratattiche e costruzioni grammaticali fatte di coordinate, anche se qualche filosofo ha detto che “la verità è in superficie” rimaniamo dubbiosi, l’idea che le cose importanti siano ben nascoste (una cosa rinascimentale-neoplatonica-alchemica, in fondo, come ripresa dei Misteri e della Gnosi) è sempre lì che orienta il nostro sguardo, in fondo non capiremo mai veramente la Cultura digitale, i nativi digitali sviluppano modalità cognitive che non ci apparterranno mai, nessuno abita territori e tutti abitiamo linguaggi (vero) e loro abitano appunto altri linguaggi, lo scarto generazionale è incolmabile, i barbari ci seppelliranno, noi siamo tardivi digitali, siamo traghettatori della Cultura umana nei nuovi Luoghi di Abitanza digitale, siamo esploratori e forse abitanti nomadi ma non siamo i primi coloni stanziali dei nuovi Territori immateriali ecosistemici della Conoscenza, come formatori dobbiamo mediare in noi stessi la nostra inadeguatezza rispetto ai giovani e accordarci ai nuovi contesti educativi, e via andare.
Tutto vero, ma sono pensieri, guarda un po’, binari. O così o cosà, bianco e nero. Le semplificazioni dei pionieri, che han bisogno di capire rapidamente il mondo sennò vanno in confusione, quindi tranciano giudizi frettolosi, e per giunta sulla base di una cultura inadatta a comprendere i nuovi fenomeni.
Ora, io sono nato nel 1967. Al momento, e spero per molto tempo ancora ma dubito, ho 42 anni.
Da bambino vedevo arrivare la tv a colori e la radio FM, avevo una macchina fotografica e una cinepresa in super8 per le mani, mi spiegavano il telex, giocavo a videogames nei bar con Asteroid e PacMan, smontavo oggetti tecnologici fatti di cose elettrotecniche o elettroniche, compravo riviste di elettronica con il kit faidate per costruire allarmi sonori, ragazzino rubavo manciate di led rossi nelle fiere dell’elettronica per costruire impianti di “luci psichedeliche” fatti stagnando condensatori a un filo elettrico collegato all’altoparlante della radiolina, i miei amici avevano lo ZX Spectrum o l’Amiga nei primi Ottanta con cui programmavamo in Basic un gioco della bottiglia che assomigliava tantissimo alla schermata dell’ora esatta in TV, il manuale delle GiovaniMarmotte mi insegnava a scrivere in codice Morse o a costruire una antenna, usavo registratori a quattro piste e facevo i radiogiornali con le colonne sonore, a quattordici anni insieme al rock settantone mi son beccato tutto il synthpop dritto nei neuroni, a diciassette anni smanettavo gli oscillatori del mio defunto synth Poly800 e batterie elettroniche, per ballare da 25 anni preferisco la musica elettronica, ho fatto cose su un palco usando campionatori, sono cresciuto con narrativa o telefilm di fantascienza dove dispositivi elettronici da SHADO a Neuromancer a Avatar sono ubiqui, chattavo con il Videotel nei primi Novanta e guardavo le BBS degli amici informatici, ho imparato a usare il PC per scrivere e giocare, ho un cellulare dal 1998, eccetera eccetera.
Ho 42 anni, credo di essere la “soglia alta”, tutti i miei coetanei e tutti quelli più giovani sono come me cresciuti immersi in un ambiente elettronico, poco da fare. Ci siamo cresciuti dentro.
Non è che per capire la Cultura digitale devo cadere per forza nelle categorie di nativo o di immigrato, che sia chiaro sono uno spartiacque temporale, fondato sull’essere nati prima o dopo il 1990, ma poi perdono significato se indagate secondo le competenze digitali individualmente possedute, nel nostro essere cognitivamente o antropologicamente orientati all’abitare qui dentro.
Internet l’han fatto dei vecchiacci come noi, i giovani ci abitano con modalità loro, i loro figli muteranno ancora il senso dell’abitare indifferentemente in Luoghi biodigitali.
Lo scopo finale dell’educazione è formare cittadini, proattivi attenti critici e consapevoli. E chiaramente penso anche alla Cittadinanza digitale. E i nativi digitali devono essere formati da persone che devono avere anche competenze di cittadinanza digitale nel loro bagaglio culturale, altrimenti non funziona. Non possono insegnare a sé stessi da soli, i ragazzi, come comportarsi nel mondo. Né è ammissibile che gli insegnanti tralascino questo aspetto, molte volte ne ho parlato, perché non si possono tralasciare nell’educazione quegli aspetti di orientamento al mondo concreto dove le giovani generazioni si trovano già a vivere, un mondo fatto di comunicazione istantanea come mai si è visto prima.
E in ogni caso per noi tardivi digitali le cose non vanno viste come se ci fosse stato un BigBang, un evento che pone il prima e il dopo, i nativi e gli immigrati. Io sono cresciuto dentro un mondo elettronico, non ho avuto nessuna difficoltà da bambino a capire il telecomando della televisione o il telex, ragionare con un computer o un videogioco non mi ha creato nessun problema, ero pronto a farlo, mi è venuto naturale, perché evidentemente già abitavo dentro quel linguaggio fatto di display e di sensori e di interfacce e di joystick.
Siamo Cittadini Digitali naturalizzati. E come formatore non è che mi sveglio una mattina e vado nel panico, perché d’un tratto ho compreso una mia ontologica inadeguatezza a insegnare la vita a persone che sono nate con il mouse in mano e l’occhio su YouTube. Sono pronto.
Il compito rimane comunque quello di educare i giovani, educare i nativi digitali alla Cittadinanza digitale, che non è certo in loro nativa. E’ sufficiente ragionare sulle differenze tra alfabetizzazione informatica e competenza digitale, per comprendere l’intero discorso. E’ sufficiente muovere da basi di competenza digitale (privacy, reputazione, rispetto, ascolto, consapevolezza) per arrivare alla Cittadinanza digitale correttamente intesa. Come dico sempre, un conto è il carburatore, un conto è il Codice della Strada.
Io conosco la tecnologia molto meglio degli studenti. Ci sono cresciuto dentro, ho frequentato le tecnologie vivendoci assieme tutta la mia vita, ci ho riflettuto sopra, ho compreso le dimensioni tecnosociali, ho costruito il web, come il solito nano sulle spalle degli altri ho contribuito a delineare alcune norme di buon comportamento civico, continuo a imparare, so insegnare Cultura digitale, so raccontare il mondo, vivo la modernità e la mia performance.
Non sono un immigrato, sono un cittadino digitale, e abito molti linguaggi.
Due note sul diario
L’ultima cattiva notizia del 2009 è che con il Milleproroghe hanno allungato per un altro anno il decreto Pisanu, quello del wifi inchiavardato che abbiamo in italia. Certo, è imbarazzante scegliere una cattiva notizia nel mucchio, e sì, c’è gente che lavora il 31 dicembre in Parlamento.
Ne parlammo in molti una cinquantina di giorni fa, Gilioli pubblicandola sull’Espresso ne diede investitura mainstream, di quella Carta per il libero wifi firmata da cento persone, tra cui me medesimo. Non se ne fa nulla, per ora. Figuriamoci.
Maistrello per primo ha dato notizia della proroga, e poi se volete cercate altri commenti da Scorza, da DeBiase, oppure in giro sulle news.
La prima buona notizia del 2010 invece non è una notizia, è un buon umore. Mi riferisco all’oramai canonico punto della situazione redatto da Giuseppe Granieri, su Apogeonline, dove l’autore prova a gettare uno sguardo in prospettiva su quello che potrebbe accadere in questo nuovo anno, sulla scorta di quello che abbiamo visto succedere nei dodici mesi appena trascorsi, tra Facebook, telefonini connessi e risvolti sociopolitici.
E l’articolo è simpatico, perché punta dritto alla delineazione degli evidenti cambiamenti sociali avvenuti in italia e nel mondo, nei massmedia e nei bar, riguardo i punti di non-ritorno raggiunti nell’opinione pubblica e nei discorsi popolari dalle cose della Rete, visto che ormai Internet nutre con le proprie tematiche tutta la conversazione di una nazione, infilandosi perfino nelle parole di chi il web non l’ha mai visto, come i novantenni in casa di riposo e i politici in Parlamento.
Granieri è ottimista, ma non è certo ingenuo. Segnala adeguatamente le magagne del 2009, ma poi con belle parole ci fa ben sperare per il 2010. E mi ha messo di buon umore, appunto, nel confidare in un Mondo 2.0, connesso e sociale, maggiore di un Mondo 1.0, un po’ come dicevo qua sotto, ma meglio.
2010 – L’anno del contatto
Abbiate fiducia, e occhi aperti.
Miglioreranno le tecnologie relazionali, dentro questi ambienti online e nella portabilità personale di tracce di affettività interpesonale, e proprio grazie a questo ci incontreremo di più, a bere e a mangiare e a ballare e a chiacchierare e a imparare gli uni dagli altri.
Negli ultimi dieci anni il web è diventato per prove ed errori quello che si riprometteva di essere fin dalla sua nascita, un Luogo esplicitamente sociale.
Fatti gli ambienti sociali, bisogna fare la socialità.
Molti devono imparare a dialogare, molti devono ancora comprendere che conversare significa donare senza impoverirsi, molti non si sono accorti di niente e pensano di vivere ancora nell’altro secolo, e spero che questi ultimi vadano serenamente quanto velocemente in pensione, per godersi un mondo che non capiscono.
La frase più comune del prossimo decennio sarà “Eh, ai miei tempi non era così che funzionavano le cose”, ed è importante appunto che questi vecchi dinosauri non abbiano nessun potere per imporre nuovamente agli individui e alle collettività rituali e comportamenti seppelliti dai recenti cambiamenti sociali.
Mi auguro che la Rete arrivi dappertutto rapidamente, in ogni angolo del pianeta, perché lo scambio di opinioni e la libertà di espressione sono l’arma migliore contro il fanatismo e l’ignoranza, e chi vuole il pensiero unico potrà controllare i flussi televisivi – e i giornalisti tornino a fare seriamente il loro mestiere – ma non potrà fermare le voci che innumerevoli si sentono risuonare ovunque.
E cambierà tutto, qui in giro. Giornali, scuole, industrie, meccanismi politici, e la forma delle istituzioni, e gli ammenicoli che abbiamo per le tasche o in giro per casa, le forme economiche, l’agricoltura, il nostro corpo bionico, e tutto cambierà così velocemente che il libro di fantascienza che stiamo leggendo sarà sorpassato mentre lo leggiamo. E non vedo l’ora.
Per me, chiedo la forza e la passione di continuare a suonare la batteria e tutte le altre cosette, e non importa nemmeno poi fare musica, ma solo suonare con altri e per altri, sentendo scorrere emozioni e sintonia. Risuonare il mondo, e raccontarlo in molti linguaggi diversi.
Rimboccarsi le maniche per il clima
Quello che fa ognuno di noi, nel suo piccolo, moltiplicato per tante altre “piccole” ottime pratiche potrebbe introdurre quell’efficienza e quell’efficacia nel sistema dell’economia sostenibile che i grandi politici benché bendisposti faticano a promuovere per via legislativa.
E anche l’obiettivo europeo del 20-20-20 per il 2020 sembra allontanarsi.
Oltre la delusione per Copenhagen
Stati Uniti e Cina fanno perdere altro tempo al mondo sul riscaldamento globale. Tocca ripartire dalle persone
di Sergio MaistrelloÈ più utile, in una prospettiva globale di lungo periodo, investire sul dialogo tra Occidente e Cina oppure trovare un accordo che porti in tempi ragionevoli all’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica nei paesi industrializzati? All’equilibrio geopolitico di fine decennio serve più una cambiale di Pechino sul tavolo di Washington o l’avviare una volta per tutte il processo di riconversione dell’economia mondiale verso la sostenibilità di lungo termine?
Certo è che il fallimento, a questo punto probabile e addirittura preventivo, del vertice di Copenhagen si infila in una lunga serie di occasioni mancate dal Protocollo di Kyoto (1997) in poi, marcando un distacco sempre più evidente tra le tensioni politiche ideali e l’opportunismo della realtà.
Sembra sempre più evidente che non saranno le grandi nazioni civilizzate i soggetti in grado di imprimere una svolta decisiva nel rendere questo pianeta un luogo più civile ed equo.
Ed è un peccato perché le popolazioni sembrano paradossalmente più reattive dei loro governanti, in questo senso. Così viene da pensare che se un cambiamento profondo ci sarà, non sarà imposto dall’alto, ma emergerà dalle pratiche virtuose dal basso.
Oggi più che mai quanti si dichiareranno delusi dal veto cinese e americano hanno un’alternativa più costruttiva del limitarsi a protestare: modificare i propri comportamenti e l’impatto ambientale delle proprie scelte di vita e dare l’esempio al vicini. Vediamo chi arriva prima al risultato.


