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Accelerazionismo di destra, tecnofeudalesimo, delirio

Ci sono da sempre, in ogni tempo, fenomeni sociali in elaborazione profonda, di cui non siamo consapevoli. Mancano parole per etichettarli e comprenderli, per portarli alla percezione e alla comprensione, alla diffusione. Come la punta dell’iceberg, dove in realtà ci sfugge la massa colossale di quanto è sotto la superficie del mare, in questo caso ci sfugge quell’agitarsi di parole, ideologie, processi, prassi sociali che vivono sotto la soglia della coscienza collettiva. Forse presenti, non ancora tematizzati, soltanto nei gesti o nei pensieri di qualcuno; forse approcci soltanto verbalmente espressi nei piccoli gruppi (la “cinghia di trasmissione” delle innovazioni sociali, dall’individuo alle masse) nei bar o nei circoli esclusivi che poi diventavano manoscritti o pamphlet o manifesti, ma di certo non subito resi noti tramite pubblicazioni o diffusione sui massmedia come oggi, per diventar alla fine (“il destino di un segno è fissarsi in una credenza”, C.S. Peirce, a memoria) dopo lungo cammino possesso stabile dell’opinione pubblica.
Se vogliamo abbiamo quella famosa frase di Victor Hugo per svelare la questione, ovvero che “niente è più irresistibile di un’idea il cui tempo sia giunto”, oppure quell’ottimo concetto della “finestra di Overton”, per provare a descrivere i meccanismi della comparsa e dell’accettazione sociale delle idee innovative, in quella che propriamente può essere analizzata come Storia delle idee, dignitosissima disciplina anche accademica, purtroppo assai trascurata.

Il concetto emergente per la comprensione della realtà sociopolitica odierna, in termini planetari, è “accelerazionismo”.

L’accelerazionismo si manifesta, nel panorama politico e sociale contemporaneo, in diverse forme e con obiettivi spesso contrastanti. Non è più relegato a circoli filosofici o marginali, ma sta trovando eco in dibattiti più ampi e influenzando, in modi a volte sottili e a volte più espliciti, movimenti e ideologie, nonché le scelte politiche attuali. Una delle ragioni della sua crescente rilevanza risiede nella diffusa sensazione di insoddisfazione nei confronti dello status quo, per quelli che percepiscono una sorta di lentezza o un’incapacità dei sistemi politici tradizionali di affrontare sfide globali urgenti come il cambiamento climatico, le disuguaglianze economiche o l’impatto delle nuove tecnologie. Per chi pensa di avere le soluzioni e vuole comandare, senza mezzi termini, la democrazia stessa è vista come un ostacolo, o per lo meno come un metodo obsoleto per la gestione delle società umane. 

In questo contesto, l’idea di “accelerare” i processi, di forzare un cambiamento radicale piuttosto che affidarsi a riforme graduali, acquista un certo fascino per chi è frustrato dalla lentezza del progresso o, al contrario, teme un declino inarrestabile.

L’accelerazionismo non è un’ideologia monolitica. Esistono diverse correnti, spesso in tensione tra loro. Un filone, spesso definito di “sinistra”, mira ad accelerare le contraddizioni del capitalismo per giungere a un superamento del sistema stesso e all’instaurazione di modelli sociali più egualitari e sostenibili. Questo filone può guardare alle potenzialità trasformative delle tecnologie o alle dinamiche di conflitto sociale come motori di un cambiamento necessario. C’è tutta una genealogia dei pensatori che hanno contribuito alla focalizzazione di questo approccio, da Bogdanov a Deleuze e Guattari della de-territorializzazione, ai più recenti e necessari Mark Fisher nonché Nick Srnicek e Alex Williams di “Inventare il futuro”.

Ma qui abbiamo a che fare ora con il lato oscuro, l’accelerazionismo di destra di Nick Land e di Curtis Yarvin, di Peter Thiel e di Elon Musk, la negazione della democrazia a favore di oligarchie facoltose, di superamento delle strutture sociali faticosamente e sanguinosamente conquistate nel corso del Novecento (tribunali, parlamenti, diritti civili) verso forme di organizzazione della collettività mutuate da impostazioni aziendali o militari, con rigide gerarchie di comando.

Il Dark Enlightenment, Illuminismo Oscuro, emerge come una corrente di pensiero critico e neo-reazionario nei confronti dei pilastri della modernità. In questa prospettiva, la democrazia liberale non è vista come un ideale compiuto, bensì come un sistema imperfetto, incline all’inefficienza e potenzialmente autodistruttivo, dove le decisioni sono spesso il risultato di dinamiche di massa o di influenze particolari, piuttosto che di una razionalità illuminata appannaggio di menti superiori.
Si manifesta con una certa nostalgia o ammirazione per forme di governo che si percepiscono come più ordinate e capaci di azione, come monarchie o modelli tecnocratici – sorta di tecnofeudalesimo che molti oggi vorrebbero vedere realizzato – in cui si presume una maggiore competenza decisionale e una visione strategica più definita.
L’idea stessa di eguaglianza viene messa in dubbio o dichiaratamente respinta, con argomentazioni che talvolta sfociano nel riconoscimento di gerarchie intrinseche, basate su presunte differenze di capacità o intelletto. Un filo conduttore significativo è la preoccupazione per un presunto declino culturale e sociale dell’Occidente, attribuito a fenomeni complessi come il multiculturalismo, i flussi migratori e una percepita erosione dei valori tradizionali. In questo quadro, si osserva un’enfasi sulla razionalità e sulla scienza, sebbene spesso interpretate attraverso una lente selettiva che tende a supportare argomentazioni relative a differenze innate tra gruppi umani. Non è difficile riconoscere come molte delle sue premesse e conclusioni siano insomma considerate da più parti come portatrici di istanze razziste, sessiste e intrinsecamente antidemocratiche. 

Riflettendo sull’accelerazionismo di destra in relazione al Dark Enlightenment, si nota che le contraddizioni e le debolezze intrinseche della modernità debbano essere esacerbate, portate al loro punto di rottura, per far emergere un ordine sociale ritenuto superiore. Il Dark Enlightenment fornisce spesso un’analisi “diagnostica” di questo presunto declino e suggerisce, implicitamente o esplicitamente, la necessità di un cambiamento radicale di paradigma politico e sociale spingendo attivamente verso una crisi sistemica che possa aprire la strada a nuove forme di organizzazione sociale e politica, ispirate a modelli gerarchici e autoritari evocati dal pensiero neo-reazionario.

IA e politiche linguistiche

L’intelligenza artificiale come strumento di tutela e promozione del friulano: una prospettiva innovativa

La sfida del tempo  
Le lingue minoritarie europee, tra cui il friulano, si trovano dinanzi a una sfida epocale: competere con le lingue dominanti in un contesto di globalizzazione, pur disponendo di strumenti limitati per farlo. La posta in gioco non è solo culturale, ma anche politica ed economica, poiché una lingua che scompare porta con sé un intero sistema di conoscenze, relazioni e opportunità. L’intelligenza artificiale, spesso percepita come forza omologante, potrebbe invece diventare un’alleata insospettabile nella tutela e promozione del friulano.  

Il friulano presenta una frammentazione dialettale significativa. L’IA offre soluzioni concrete per superare questa criticità. La raccolta automatizzata di corpora linguistici attraverso sistemi di NLP (Natural Language Processing) può analizzare testi storici, registrazioni orali e produzioni contemporanee, identificando pattern comuni e divergenze. Questo processo consente di creare una sorta di “memoria digitale”, nonché grammatiche predittive basate sull’uso reale della lingua friulana, piuttosto che su imposizioni accademiche. Inoltre, l’archiviazione dinamica su piattaforme open-source può mappare le varianti locali, trasformando la diversità da problema a ricchezza.  

Un esempio concreto è il progetto Resia dell’Università di Udine, che ha digitalizzato 10.000 pagine di letteratura friulana, che però andrebbero organizzate efficacemente per aree geografiche e temi con algoritmi avanzati.  

Nell’educazione, l’insegnamento del friulano nelle scuole, previsto dalla Legge Regionale 29/2007, soffre di carenze strutturali: docenti non formati, materiali obsoleti e scarsa attrattività per i giovani. L’IA può rivoluzionare questo ambito attraverso l’impiego di app di apprendimento adattivo. Piattaforme come Duolingo o Memrise, customizzate per il friulano, potrebbero adattarsi al livello e al dialetto dello studente, utilizzando il riconoscimento vocale per correggere la pronuncia. Inoltre, tutor virtuali basati su chatbot conversazionali potrebbero simulare dialoghi quotidiani, rendendo l’apprendimento interattivo e coinvolgente. La gamification, con sistemi di reward basati su IA, incentiverebbe i giovani a usare la lingua in contesti digitali, come videogiochi con narrazioni in friulano.  

In ogni caso la realizzazione di questi progetti richiede investimenti significativi per creare dataset di qualità. Il progetto basco “Berdin”, con 200 ore di audio annotato, dimostra che è possibile raggiungere risultati tangibili, ma necessita di una collaborazione stretta tra istituzioni e comunità.  

Digital Divide e Nuovi Spazi Pubblici  

Il friulano è quasi assente nel digitale, con meno dello 0,01% dei contenuti online in questa lingua (dati Euromosaic). L’intelligenza artificiale potrebbe modificare la situazione integrando al meglio il friulano in strumenti di traduzione automatica come DeepL o Google Translate (già presente, ma con evidenti limiti), sfruttando modelli “low-resource” addestrati con piccoli dataset. Inoltre, la generazione di contenuti multimediali, come audiolibri o podcast con voci sintetiche che riproducono accenti locali, potrebbe aumentare la visibilità della lingua. Un caso studio interessante è l’app “SaySomethingInWelsh”, che ha aumentato del 30% i parlanti under 35 in Galles. Perché non replicare un simile successo con un progetto analogo per il friulano?  

In realtà anche nelle politiche linguistiche servono dati per decidere. Le istituzioni spesso agiscono al buio, mancando di strumenti decisionali precisi. L’IA può fornire dati in tempo reale per monitorare l’uso del friulano nei social media e nei testi su web, mappando dove e come si parla questa lingua. Inoltre, simulazioni di policy basate su modelli predittivi potrebbero testare l’impatto di leggi o finanziamenti, aiutando a ottimizzare le risorse disponibili. La comunicazione mirata, con chatbot per uffici pubblici in friulano, garantirebbe accesso ai servizi nella lingua madre, migliorando l’inclusione sociale.  

Un esempio virtuoso è il sistema “Plataforma per la Llengua” in Catalogna, che usa l’IA per analizzare la presenza del catalano nei media, spingendo riforme legislative.  

L’entusiasmo per l’IA non deve in ogni caso oscurare i pericoli potenziali: l’appiattimento linguistico è un rischio reale se un modello IA addestrato sul friulano “standard” marginalizzasse le varianti locali. Sarebbe inoltre eticamente significativo mantenere sempre alta l’attenzione sugli algoritmi utilizzati per evitare forme di dipendenza tecnologica

Serve un piano di intervento per le politiche linguistiche aumentate, certo. L’IA non salverà il friulano da sola, ma offre strumenti senza precedenti per la sua tutela e promozione. Servono finanziamenti mirati, come quelli previsti da Horizon Europe e PNRR, che includono fondi per il digitale e le lingue minoritarie. È fondamentale una co-progettazione con i parlanti, coinvolgendo associazioni e agenzie linguistiche e formative, per evitare soluzioni calate dall’alto. Una strategia transnazionale che collabori con realtà che lavorano su altre lingue minoritarie (es. occitano, sardo) potrebbe condividere modelli e risorse, massimizzando l’impatto.  

In sintesi, l’IA non è la bacchetta magica per rivitalizzare il friulano, ma una leva per trasformare la tutela linguistica da mera conservazione a innovazione attiva. Il tempo stringe: secondo l’UNESCO, il 40% delle lingue mondiali rischia l’estinzione entro il 2100. Per il friulano, la scelta è tra l’adattarsi o diventare un reperto da museo. L’intelligenza artificiale, ironia della sorte, potrebbe essere l’elemento più “umano” di questa battaglia.  

Approfondimenti:  

Il progetto “CLARIN” per le risorse linguistiche digitali, l’esperienza basca con “HiTZ Zentroa” (IA per l’euskara), e il modello di “Common Voice” di Mozilla per raccogliere dati vocali open-source, offrono esempi di come l’IA possa essere impiegata per le lingue minoritarie.