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Le città del futuro

Una riflessione di Luca De Biase, da qui.

Le città del futuro

Argomento appassionante, le città. Perché sono il principale contesto esistenziale della maggior parte della popolazione mondiale (secondo l’Ocse). Perché sono generatori di senso e di fatica di vivere. Perché ci parlano del progetto, implicito o esplicito, sul quale la comunità a noi più vicina sembra avere per costruire il futuro.Le città sono reti di relazioni e connessioni. Spesso si pensano come insiemi di case e strade appoggiate su un territorio, ma sono essenzialmente le persone che le abitano. Si attraversano in orizzontale ma nascondono gerarchie talvolta inestricabili. Sono piene di segni e di storia. Sono piene di sofferenze e di indifferenza. Le città sono la rivincita della geografia sulle tecnologie che si pensava le abolissero.

Sono il luogo dal quale parte la disperazione. Ma anche il centro dove nasce la costruzione del futuro. Il paesaggio industriale lascia quotidianamente il posto al paesaggio della conoscenza. Ma è una trasformazione che possiamo pensare. Dedichiamo tanto tempo a pensare internet, ma vale la pena di dedicare altrettanto tempo a pensare la città. In fondo, le nozioni di internet e di città hanno molto in comune…

Ecco alcune riflessioni sulla città che immagino si prepari a costruire il futuro:
1. La città migliore pensa al lungo termine. Il che si vede dalla sua capacità di raccontare la sua missione, identità, visione. Di definire il suo progetto. Di costruire il consenso. Di lasciare scorrere il dibattito e l’informazione libera. Per questo ci vuole, anche, una classe dirigente che sia davvero animata da uno spirito di servizio per la comunità. E una buona rete di relazioni tra università, autorità, innovatori.
2. Emergono indicatori che danno il senso dei risultati ottenuti nella direzione progettuale di lungo termine: infrastrutture e investimenti in ricerca, dotazione tecnologica e stato dell’educazione, attrazione di talenti e accessibilità, connessioni interne e collaborazione tra i cittadini, valorizzazione e produzione di cultura, ambiente e sanità…
3. Si dà un sistema di valutazioni della qualità dei sistemi incentivanti per lasciar fiorire una quantità sufficiente di iniziative tale da trasformarla in un laboratorio continuo nel quale si sperimentano le idee nuove.

Lo so… Si dicono queste cose e poi ci si guarda intorno… Ma l’utopia è una disciplina da coltivare. Imho.

NuoviAbitanti a Pordenone

Martedì 11 dicembre, alla Sala Convegni della Camera di Commercio di Pordenone (vedi invito) avrà luogo un seminario pubblico promosso dall’Assessorato alle Politiche sociali sulle tematiche dell’e-Democracy e dei social network.

Il Comune di Pordenone sta provvedendo in questi giorni – la notizia è apparsa anche sulla stampa – alla realizzazione di reti wireless per la diffusione della connettività veloce ai cittadini sul territorio comunale, ed è sicuramente un buon segno che presso la Pubblica Amministrazione venga presa seriamente in considerazione la progettazione e l’allestimento di Luoghi digitali dove i cittadini possano ricevere ed offrire informazioni, spazi web dove certo il Comune possa illustrare sé stesso e le proprie iniziative, ma al contempo offrire piazze telematiche e occasioni di incontro per tutti gli attori sociali del territorio.

NuoviAbitanti partecipa al progetto pordenonese portando i propri ragionamenti e la propria esperienza nel delineare alcune dimensioni senz’altro antropologiche della moderna Abitanza digitale, come pure la necessità di una diffusione di una Cultura TecnoTerritoriale in grado di far comprendere il significato “connettivo” e identitario, nonché civico, degli oggetti e degli ambienti vitali interattivi delle generazioni biodigitali.

Tra qualche anno guarderemo indietro e giudicheremo buffi questi incerti primi passi nei Luoghi dell’Abitanza digitale, dove quasi senza mappe noi primi esploratori oggi stiamo costruendo i primi spazi digitali urbani, in quanto espressamente progettati per una fruizione sociale da parte di una collettività residente in modo biodigitale.

Il nostro procedere a tentoni (peraltro, l’unico modo giusto: chi potrebbe saper cosa fare dinanzi all’ignoto?) non può ora che nutrirsi delle idee di tutti, di opinioni, riflessioni, dialogo: i Luoghi sociali dell’Abitanza sorgeranno come risultato olistico della partecipazione della collettività, dei singoli e dei gruppi sociali già motori di socialità e nodi nelle reti di relazioni interpersonali, dell’allestimento corale di una identità multipla e dialogica.

Abitanza digitale

Incollo qui le parole della responsabile per la Società dell’Informazione e Media della Commissione Europea Vivane Reding, per come riportato da BeppeGrillo nel suo blog.

“La situazione italiana è molto chiara: in Europa il tasso medio di penetrazione della connettività è del 18%. l’Italia si attesta intorno al 17%, quindi sotto la media europea, ed è del 20% sotto il dato migliore. Credo che l’Italia possa davvero fare meglio, ma c’è qualcosa di più preoccupante, cioè la copertura dell’accesso.
Guardiamo le persone che vivono nelle città: hanno accesso alla banda larga. Ma appena si esce dalle città le persone non hanno alcun accesso alla Rete. Sono ciò che chiamo “macchie bianche”, sulla mappa. Abbiamo troppe macchie bianche ed è una situazione che va cambiata perché credo che tutti abbiamo diritto all’accesso alla banda larga in una società che voglia svilupparsi in modo omogeneo.

Nel mondo, i quattro migliori Paesi per tasso di penetrazione della connettività sono europei, mi riferisco a Danimarca, Olanda, Finlandia e Svezia. Bene. Ma abbiamo una coda orribile, con tassi bassissimi e questo, ovviamente, abbassa la media al 18%, quando i player migliori hanno un tasso del 20% più alto e la differenza con i peggiori è del 30%.

E’ evidente che nei Paesi dove il tasso è alto c’è concorrenza nel mercato. La concorrenza porta investimenti, innovazione e ciò permette l’accesso prima di tutto agli enti pubblici, cittadini anche a prezzi accettabili. Quindi, il punto centrale è investire in concorrenza e innovazione che spingono in basso i prezzo e l’accesso verso l’alto. Questo è il motivo per cui devo promuovere le riforme in favore della concorrenza, che è il cuore dello sviluppo.
Più offerte ci sono meglio è.

Credo che tutte le tecnologie vadano usate perchè sono complementari. Infatti, non è molto economico portare la fibra ottica in un paese di montagna, ma si può usare il WiMax, è logico. Anch’esso dovrebbe essere introdotto con la competizione tra differenti aziende e la migliore dovrebbe fornire il servizio. Ma fornire il servizio è la cosa importante, non come viene introdotto. Io sono contraria a tutti i monopoli perchè non portano concorrenza. Se non c’è concorrenza non c’è accesso, è chiaro. Se ci sono più provider i cittadini possono scegliere e i più informati possono scegliere l’offerta migliore.

Questo è il motivo per cui nella mia riforma è previsto l’obbligo per i provider di informare davvero i cittadini. La trasparenza è una regola fondamentale.
Non credo che ci sia conflitto di interessi. Credo solo che sia da incentivare la concorrenza. Alla gente non interessa chi gli fornisce la banda larga. L’unica cosa a cui è interessata è avere il servizio a un prezzo decente.

Non è importante il “brand”, non è importante l’operatore. E’ importante che sia fornito il servizio. E il modo migliore per farlo è in un mercato concorrenziale.
Se libero accesso significa gratuità, non sono d’accordo. Ma se vuol dire che si possa accedere liberamente all’informazione, questa è la grande battaglia che sto combattendo, in nome dell’Europa, alle Nazioni Unite in termini di Internet governance: ho spiegato con parole molto determinate che copiare le informazioni non è la strada che Internet deve intraprendere.
Crediamo che la creatività e le libertà individuali debbano potersi esprimere in Rete e questo è il motivo per cui crediamo in una Internet libera non solo in Europa ma a livello planetario. Questa è la ragione per cui insistiamo, e l’abbiamo fatto alla conferenza sulla Internet governance a Rio, nel dire che Internet, l’informazione, deve restare libera e senza ostacoli. Il Web 2.0 è la nostra risposta a coloro che cercano di impedire che le persone siano informate.
La mia opinione è che i blog debbano restare liberi, che la creatività e l’espressività dei blogger non siano limitate.

Ovviamente i blog non possono essere criminali, lasciatemelo dire molto chiaramente – non credo che nessuno voglia aiutare i blog criminali – ma a parte questo i blog devono restare aperti, dovrebbero… devono dare alla gente la libertà di esprimersi, di dire quello che vogliono, di criticare i politici se lo vogliono. Credo che noi dovremmo imparare a (comprendere) le critiche sui blog. Io amo i blog, sono un ottimo strumento di libertà di espressione.”

Viviane Reding

Imbavagliare il web italiano

Prepariamoci: dopo le riflessioni (?) massmediatiche di un mese fa per il VaffaDay, un altro argomento del tipo “Il potere oscuro di Internet” sta per arrivare su tutti i telegiornali, e si tratta veramente di una cosa vergognosa.

Un disegno di legge di agosto, approvato lo scorso 12 ottobre, stabilisce l’iscrizione al ROC Registro dell’Autorità delle Comunicazioni anche per qualsiasi attività editoriale su web, come ad esempio i blog; tutto questo comporta ad esempio che chiunque voglia scrivere su web le proprie  impressioni sul matrimonio di zia Matilde debba dotarsi di una società editrice, ed avere un giornalista iscritto all’Albo come direttore responsabile.

Se questa cosa passa, l’Italia non è degna di chiamarsi paese civile.

Ne parlano Grillo, Punto Informatico, Folletto.

Società e tecnologie interagiscono

Cosa succede quando appare una nuova tecnologia (TIC, ma non solo) in un sistema sociale? E se la diffusione degli ultimi ambienti interattivi su web, da YouTube a SecondLife, avvenisse secondo curve di “accettazione sociale” ben identificabili, come in un grafico?

Qui trovate un interessante articolo, scritto da Dario de Judicibus, sull’attuale sviluppo di certi luoghi abitati della Rete.

L’Indipendente

Il panorama non è tuo, è mio

WIKIPEDIA…D ’AUTORE

La legge 633/1941 sul diritto d’autore fa ancora una vittima illustre.
Ammininistatori e utenti di Wikimedia Commons e di Wikipedia italiana, hanno deciso di eliminare dall ’enciclopedia telematica le fotografie di molti architetti famosi. Si rischia quindi di non vedere più rappresentata nell ’enciclopedia più grande del mondo l’intera architettura contemporanea e moderna italiana. Questo perché la legislazione italiana non contempla il cosiddetto «panorama freedom»,ovvero una «libertà di panorama» che permette a chiunque di fotografare quanto «pubblicamente» visibile, senza preoccuparsi per l’appunto, del diritto d’autore.

da ilmanifesto, 20070703

Ma perché gli italiani tutti devono sempre fare queste figure da cretini, agli occhi del mondo? Per miopia intellettuale poi di questi legislatori che non riescono a vedere più in là della punta del naso? Ma come pensa, questa gente?

foto: Palazzo di vetro, Udine 1935. Arch. Ermes Midena
da comune.udine.it (il Comune paga i diritti per la foto di un’opera architettonica di 72 anni fa?)

La legge sulle intercettazioni


Qui trovate le impressioni di Filippo Facci sulla nuova legge di Mastella sulle intercettazioni e sulla cronaca giudiziaria.Qui trovate le impressioni di Marco Travaglio sulla nuova legge di Mastella sulle intercettazioni e sulla cronaca giudiziaria.

Per par condicio, linko le opinioni di due tipi che dicono?, sembrano?, essere di destra, ma sostengono due visioni contrapposte. Quale occasione migliore di capire meglio le cose?

Su Mastella taccio, ho già scritto il suo nome tre volte in questo post.

 

Rivoluzione digitale

Nessun altro fatto storico, salvo la rivoluzione neolitica e quella industriale, è stato così profondamente, così drammaticamente, così inequivocabilmente rivoluzionario come la rivoluzione digitale. La rivoluzione digitale ha creato una irrevocabile discontinuità nel processo storico. Dopo la rivoluzione digitale il mondo non è stato più e non potrà più essere quello di prima. E il cambiamento è avvenuto nel giro di poche generazioni. L’origine dei nostri affanni, della nostra insicurezza, della nostra angoscia, è tutta qui.

Istituzioni, abitudini, gusti, strutture, idee, modi di essere e di pensare, modi di amare e di odiare, consocenze e sentimenti che servirono l’uomo e le sue società per secoli e millenni, sono di colpo divenuti inutile retaggio, gravoso bagaglio archeologico, peggio ancora ostacolo alla vita della società, nata dalla rivoluzione digitale. I termini del problema umano sono tutti drammaticamente mutati in ogni aspetto e ad ogni livello della vita: nell’arte come nella politica, in economia come in medicina, per l’individuo come per la società, nei rapporti tra uomo e natura, a livello biologico. Nulla e nessuno è stato risparmiato. E il tutto è avvenuto e continua ad avvenire con una rapidità tale per cui il nostro adeguamento sia fisico sia psicologico è arduo e penoso. La vecchia casa va in frantumi travolta da poderose anonime forze innovatrici che però non ci danno il tempo di riflettere e di pensare con chiarezza e con raziocinio a come costruire la casa nuova e renderla abitabile preservando la nostra condizione di uomini.

Gli è che la rivoluzione digitale, emersa da uno sviluppo filosofico ed economico, si attuò essenzialmente come e traverso un progresso tecnologico. Ed il progresso tecnologico, per sua natura cumulativo, impone ora tempi e dimensioni che sono al di là della misura dell’uomo – almeno dell’uomo quale ancora è oggi, frutto di secoli e millenni di civiltà preindustriale. D’altra parte tecnologia e ricchezza di per sé non determinano il proprio uso. Possono venire usate per costruire. E possono venire usate per distruggere. Mai l’uomo ha potuto produrre come oggi. E mai ha potuto distruggere e uccidere come oggi. La tragica antinomia insita nel suo essere mai assunse, nei secoli dei secoli, valori così tragicamente disparati. E’ questo l’altro aspetto del fenomeno che aumenta la nostra angoscia, alimenta i nostri dubbi, accresce la nostra insicurezza in mezzo alla nostra crescente, frastornante ricchezza. Per capire quel che siamo, quel che godiamo e quel che soffriamo, i problemi che ci assillano e le ricchezze che ci circordano dobbiamo far capo alla rivoluzione digitale. Chi vanta i grandiosi risultati raggiunti e chi si preoccupa dei grossi problemi da risolvere, chi fa del passato la ragione del proprio ottimismo e chi fa del futuro fonte del proprio pessimismo, chi vede rosa e chi vede nero, tutti devon far riferimento alla rivoluzione digitale per spiegare la ragione dei successi o degli interrogativi, dell’ottimismo o del pessimismo, dell’orgoglio o della paura. E bisogna fare il punto lì, alla rivoluzione digitale e penetrarne l’intima essenza e la logica interna anche quando si vuol cercare di affrontare razionalmente il domani immediato così pieno di luci e di ombre, di grandiose promesse e di incognite spaventose.

C.M. Cipolla, introduzione a P. Deane, La prima rivoluzione industriale, Bologna, 1971

Ok, ho fatto il solito giochino: ho sostituito a questa famosa prefazione di questo famoso libro la parola “industriale” con “digitale”.

Ammappalo

Aggiornamento sui toollini per fare mappe concettuali su web, in pieno stile 2.0

Bubbl.us il più veloce, anche senza iscrizione, con la grafica fatta di rettangoli stondati e cicciotti.

Mindomo sofisticato, con i livelli di visualizzazione, e formattazioni avanzate

Mindmeister, che richiede una iscrizione via mail arzigogolata, però trasforma la mappa in vero strumento collaborativo, permettendo ai più utenti remoti di lavorarci sopra in modalità sincrona, chattando o skypando.

C’è anche Skrbl, una lavagna interattiva su web abbastanza funzionale

Mindomo – Web-based mind mapping software

… e pensare che Arrigo Boito era uno scapigliato

From Giulia
perché io vorrei sapere chi di voi ritiene con me che quell’ispettore siae sia un essere potenzialmente in grado di compiere le peggiori atrocità.
mah. un rettile con la zampa tesa a chieder soldi.

Blitz della Siae alla festa multati i bimbi di Cernobyl – Local | L’espresso

Poi i bambini, che da giorni si organizzavano con le due accompagnatrici, hanno indossato abiti buffi fatti di carta igienica e piatti di plastica e dalle casse del portatile era partita la musica.

AGGIORNAMENTO: ecco il link per la puntata di Report sulla SIAE. Amo la Gabanelli.

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Un logo su un giornale

Ad onor di questo blog, devo anch’io riportare la notizia: i supplementi tuttolibri e Tuttoscienze de La Stampa hanno una licenza Creative Commons.
Ripeto, che magari leggete di corsa i blog, visto che non sono libri: du eopere editoriali classiche escono con una licenza Creative Commons, di quelle che riguardano le modalità di distribuzione dei contenuti.
Sono con .mau.: speriamo sia il primo passo verso un cambiamento, nella mentalità e nelle cose.

Notiziole di .mau.: Tuttolibri sotto Creative Commons

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CC Creative Commons

Quasi quasi mi tatuo, metto su una chiappa (ok, sulla nuca) il logo della creative commons, il tondo con dentro CC.
Però poi mi tocca scrivere “Some rights reserved”, ché mica vorrei mi utilizzassero per fare gli spot e non mi arrivasse neanche un soldino in tasca

CreativeCommons.it | Creative Commons, un copyright flessibile per opere creative

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Beatles, Apple, Times (are a-changing)

Innanzi tutto, cerchiamo di ricordare: i Beatles sono dei poveretti, in confronto a quello che hanno venduto e tuttora vendono. Il buon Epstein aveva forse fiuto come pr e curatore d’immagine, ma dal punto di vista economico-finanziario si è fatto buggerare in lungo e in largo.

Notorio è l’episodio di quando andò a contrattare i diritti per la Capitol americana, ed esordì dicendo: “Non accetteremo meno del 12,5%”, al che i manager prontamente assentirono, visto che stavano per offrirgli il 25% su tutti i proventi delle vendite americane dei dischi del Favoloso Quartetto.

Oppure quella volta che affidarono tutto il merchandising per gli States ad un tipo ubriaco conosciuto in un bar (se avessi il diritto di vendere anche solo una spilletta con sopra la parola Beatles, vi scriverei dalla mia stazione spaziale orbitante).

Insomma, i Beatles hanno visto solo pochi spiccioli dell’immensa fortuna guadagnata, hanno avuto pessimi consiglieri ed amministratori che cercavano solo di fregarli, in piene visioni da acido hanno dato vita a progetti imbarazzanti, tipo comprare un intero building a Londra, dipingerlo di bianco e venderci solo abbigliamento di colore bianco, un negozio dove non serviva pagare e le impiegate telefonavano per farsi accompagnare a casa in limo mettendo tutto sul conto della Apple, dopo che loro e decine di altre persone avevano festeggiato tutto il giorno con cibo alcool e acidi offerti dalla casa.

Ecco, la Apple Corporation, l’idea finanziaria che avrebbe dovuto cercare di rimettere in sesto i conti dei Beatles. LE vere questioni volgarmente pecuniarie per cui di lì a tre anni, nel 1970, il gruppo si sarebbe sciolto. Non approfondisco il discorso, compratevi i libri o cercate in rete.

Senonché, fin dal 1978 la Apple Corps ha cercato di far causa alla Apple Computer, perdendo regolarmente. L’8 maggio 2006, l’Alta Corte ha sancito che l’utilizzo del marchio della mela, in relazione alla novità dell’iTunes Music Store, è legittimo, intanto perché è collegato al negozio, e non ai contenuti creativi musicali veicolati, ma soprattutto perché in un contratto del 1991 la Apple Corps aveva riconosciuto alla Apple Computers, al punto 4.3, il fatto che “alla computer company è permesso usare il logo mela in connessione con ogni forma di distribuzione musicale eccetto i formati fisici”.

Ahia, che batosta. Negli ottanta l’ex-negretto pedofilo (vedi foto) ha comprato i diritti delle canzoni e Paul si arrabbiò alquanto. I Beatles non ci sono su iTunes, non hanno mai dato il permesso per via dell’annosa questione. Hanno cercato di tutelare il marchio Apple, e non ci sono riusciti. Il mondi si è evoluto in direzione di formati immateriali, e loro non hanno saputo prevederlo. E ora Paul, Ringo e le vedove Lennon e Harrison devono pagare qualche milione di sterline per la causa persa. Sono 40 anni che cercano di tutelarsi, e non hanno ancora capito niente.

Read more at www.timesonline.co.uk/a…

Geotags

Giusto un appunto per un’ideuzza, per dar senso al mondo: quando andiamo in giro a far foto, dovremmo avere anche un GPS per sapere subito latitudine e longitudine di dove siamo, e inserire questo dato nella foto (ci son fotocamere che lo fanno, mi dissero).
Dopodiché pubblichiamo su googleearth il riferimento (link alla nostra foto caricata su web, da qualche parte, anche gmail), nella posizione corretta, e chiunque navighi potrà avere anche una visione rasoterra del luogo.
Già mi immagino migliaia di foto uguali del colosseo e della torre eiffel e della statua della libertà, ma tant’è… questo è web 2.0, gente (e se non ve ne siete accorti, tutti noi viviamo nel mondo 2.0, adesso.